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L’uomo della mano secca

I personaggi del nostro testo sono tre: Gesù che occupa il centro dell'attenzione di tutti, è il personaggio su cui si concentrano tutti gli sguardi, che occupa la scena; l'uomo la cui menomazione servirà come occasione all'insegnamento autorevole di Gesù, e gli avversari che fanno tre cose. La prima è osservare Gesù per vedere se osava fare qualcosa che potesse essere usata contro di lui, la seconda giudicare la guarigione come non necessaria (perché non c'era pericolo di vita) e dunque la condannano, e la terza cospirano per uccidere Gesù. La condizione dell'uomo della mano secca può essere spiegata in modo simbo­lico e così hanno fatto molti esegeti: è l'uomo impotente di fronte a Dio, incapace di osservare l'antica legge fatta di comandamenti, incapace di santificare il giorno di riposo, menomato nell'anima, sminuito nelle sua capaci­tà spirituali per il peccato. La mano secca sarebbe la condizione di chi è incapace di lavorare per la sua salvezza, di giustifi­carsi di fronte a Dio e alla sua legge. Siamo noi gli uomini e le donne della mano secca, quell'uomo siamo tutti noi. Accorriamo ai nostri templi  e chiese, cerchiamo con tutte le nostre forze e fino all'estenuazione di osservare i nostri doveri religiosi, ma la nostra mano è secca, siamo incapaci di fare il bene e di salvare la vita. Quell'assemblea nella sinagoga è una figura poetica, un luogo comune che tutti abbiamo calpestato. Siamo noi tutti lì in mezzo a quel luogo pieno di mani secche e di uomini e donne impotenti di fronte al proprio peccato. Una mano secca è una mano morta e incapace di essere utilizzata.
Gesù è presente in mezzo a quell'assemblea. Si tratta di un puro caso che egli si trovi lì e veda l'uomo della mano secca? Qual'è il problema o la questione radicale in gioco? L'uomo della mano secca si trova fra due sguardi diversi: sotto lo sguardo di Gesù, pieno di compassione che vuole dargli la vita, rinvigorire quella mano secca e impotente; e lo sguardo degli uomini religiosi che vedono la sua mano secca come un problema dell'uomo, perché le loro mani, credono, non sono secche, si considerano giusti e credono di essere in regola con i comandamenti della legge di Dio. Due sguardi molto diversi, non vi sfugga questo conflitto di sguardi che potrebbe ricordarci alcuna immagine potente del cinema muto dove tutto era spesso affidato all'intensità dello sguardo degli attori. Uno sguardo di compassione e uno sguardo spietato, lo sguardo della misericordia divina che ha pietà della nostra condizione, lo sguardo dell'uomo religioso spietato che si considera a posto e giudica tutti gli altri dalla superiorità pretesa della sua giustizia, che è il realtà ipocrisia. Lottano gli sguardi, sono in conflitto. Gesù guarda l'uomo della mano secca e sente una compassione senza limiti, un amore profondo. I farisei guardano l'uomo con indifferenza, ma Gesù con attenzione per coglierlo in un fallo e accusarlo e condannarlo per toglierlo di mezzo. E Gesù guarda lo sguardo duro di quegli uomini e sente una tristezza profonda, un dolore intenso. Perché quello che si è seccato dentro quegli uomini religiosi è il cuore. Forse riescono a compiere ogni comandamento con una precisione da macchine collaudate, da meccanismi religiosi senza macchia. Ma i loro cuori sono vuoti, sono un deserto dentro, sono un lago di ghiac­cio incapaci di sentire compassione, tenerezza, di commuoversi, di sentire pietà. Gesù preferirà poi la compagnia delle prostitu­te, piene di peccato, ma anche piene di umanità e di bisogno di amore e di perdono per i loro innumerevoli peccati, a questi ghiacciai antartici piazzati dalla loro ipocrisia alle antipodi dell'amore.
Gesù pone al centro dell'attenzione dell'assemblea cultica IL BISOGNO dell'uomo della mano secca. Di fronte alla necessità di quell'uomo, anche se non è in pericolo la sua vita, chi si chiama adoratore di Dio deve porvi rimedio, intervenire. Al centro non ci sarà più la discussione teorica o teologica sui concetti e sulle dottrine. Gesù ha posto al centro della sua opera di redenzione l'impotenza di tutti gli uomini e le donne con le mani secche, impotenti, morte. La sua comunità dovrà fare la stessa cosa. Guardate quell'uomo e il suo bisogno, e se potete intervenire per sollevarlo, quello sarà il vostro dovere religioso, l'esigenza che Dio pone dinanzi a voi.
Gesù è chi decide su quello che è lecito fare o non fare di sabato, perché egli è il Signore del Sabato. Osservate cosa fa Gesù: chiama l'uomo, lo fa sostare al centro dell'assemblea, pone la sua domanda a quelli che sono in agguato dietro a sguardi sospettosi e dice all'uomo: Stendi la tua mano! Porgi a Dio la tua impotenza, credi in me. Non ci deve sfuggire la drammaticità di questa scena. Avete mai pensato a stendere la mano impotente verso Dio? Avete capito che questa è l'unica nostra speranza? Guarire quell'uomo non era una questione di vita o di morte, si poteva aspettare il giorno dopo. Ma Gesù vuole salvare dalla morte anche quelli che lo guardano con odio, li vuole salvare da quel veleno che li uccide dentro. Fare del bene è paragonato a dare la vita, anche se si tratta di un gesto umile e semplice come dare un sorso d'acqua o un pezzo di pane. E fare il male (o non dare il bene) è paragonato a uccidere. Il valore etico di questo insegnamento è di una altezza tale da togliere il fiato. La contesa è su quale sia la volontà di Dio, se essa è espressa in comandamenti scritti sulla pietra, o se essa dipende da una legge scritta nel cuore che dice: ama! questo è il dovere religioso unico e fondamentale dal quale dipendono la legge e i profeti. Arriviamo al cuore stesso del Vangelo di Cristo. Il conflitto con le autorità ebraiche è dunque un conflitto sulla natura stessa di Dio, se egli sia una specie di legislatore che ci ha conferito delle leggi che se osservate ci conducono alla salvezza, o se Dio sia un Dio di grazia che ama l'uomo impotente e vuole salvarlo.
Il conflitto è a due livelli. Uno interiore, ci sono dei sentimenti in lotta e di interiorizzazioni che sorgono poi dispo­ticamente trasformati in gesti. Nel caso di Gesù si tratta di sentimenti di compassione, di perdono, di amore, che interioriz­zati sorgono trasformati in un gesto concreto di amore superfluo, grazioso, che eccede anche la necessità e l'opportunità, che non tiene conto né delle conseguenze né delle convenzioni religiose, delle regole umane dettate per controllare i simboli religiosi e per manipolare le coscienze. Nel caso dei farisei e degli erodiani galilei sentimenti di odio e di rivalsa che interioriz­zati sorgono trasformati in complotto: decidono di sabato, contro la loro stessa legge che lo vieta, di uccidere Gesù. Il paradosso è tragico. Loro che hanno criticato Gesù per guarire l'indemonia­to in giorno di sabato, che hanno giudicato la guarigione dell'uomo della mano secca, come un'infrazione del sabato suffi­cientemente grave come per uccidere Gesù, decidono di togliergli la vita. E lo fanno, squisitezze dell'ipocrisia, senza attendere il giorno dopo, lo stesso sabato si incontrano fuori e "lavorano" per complottare di fare del male a Gesù.
Ma sarà la sua morte in croce a trasformare la nostra impotenza. Se l'uomo della mano secca siamo noi, il nostro poter stendere la mano per ricevere vita dipende da quella morte pianificata un sabato. E poi la sua risurrezione trasformerà il sabato cristiano. Non solo perché il suo luogo sarà il primo giorno della settimana, ma anche perché non sarà più una legge del fare o del non fare. Ma sarà una imitatio christi, un fare quello che Gesù faceva. E in questo senso ogni giorno è il primo giorno della settimana che ci deve incontrare occupati nel fare del bene ad ogni essere umano.