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La Parabola del Giudizio Finale

Il problema fondamentale per l’interpretazione di questo testo è la sua natura di parabola, si tratta di una parabola e le letture letterali (siano di carattere fondamentalista che liberale) portano ad aporie e contraddizioni con altri testi biblici, soprattutto quelli riferiti alla salvezza per grazia e non per il nostro fare o non fare. Dunque ci troviamo di fronte ad uno di quei testi considerati nell’esegesi come pericolosi perché possono portare a delle letture estreme, fuorvianti e dannose. Interpretiamo dunque il testo nel suo senso di parabola o narrazione che illustra il Regno di Dio, in un momento definitivo quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria circondato dagli angeli.
La prima domanda è per il centro di significato della parabola, ormai questo termine e questa ricerca vi è familiare. Quando vogliamo interpretare un testo lo dobbiamo fare dal suo centro. Non vi è dubbio su quale sia il centro: esso è la divisione in greco chrisi delle pecore e delle capre alla destra e alla sinistra del Figlio dell’Uomo a significare la salvezza o la condanna nel giudizio finale. Il Giudizio si presenta dunque come una crisi nella quale si procede allo scrutinio e divisione di tutti gli esseri umani, e non soltanto di una parte. Questo contraddiceva le aspettative degli ebrei, loro pensavano che il giudizio si realizzava nella storia, Israele è già la nazione scelta e dunque i giudizi divini avvengono per Israele nella storia, mentre il giudizio finale per loro si decide ora in quanto sono il popolo di Dio, mentre i pagani sono anche loro giudicati nella storia ma lo saranno soprattutto alla fine della storia quando subiranno la punizione dovuto alle loro impurità. Notate che qui si rivolta completamente tutto, il giudizio è universale e riguarda tutte le genti (ethne). Inoltre, appartiene anche al centro di significato la causa della separazione fare o non fare, e non di meno la sorpresa che provoca la dichiarazione del criterio della separazione lo che avete fatto (o non fatto) a uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto (non fatto) a me.
Il problema che questa affermazione provoca è la sua apparente contraddizione con quello che insegna Paolo: la giustificazione è per grazia mediante la fede e non perché abbiamo fatto o non fatto diverse opere di giustizia. Come possiamo risolvere questa manifesta (all’apparenza) contraddizione? Nel tentativo di risolvere questa divergenza tra Matteo e Paolo penetriamo nel cuore del Vangelo di Gesù. Notate anzitutto una cosa. La separazione è dovuta al aver fatto o non aver fatto qualcosa nei confronti di quelli con cui Gesù si identifica: i poveri, gli affamati, gli assetati, i carcerati e gli ammalati. Noi vediamo che l’intera narrazione del Vangelo è una continua identificazione di Gesù con quelli che erano in una condizione di sofferenza, questa è una delle chiavi di lettura del Vangelo. Gesù serve i più miseri (che sono quasi tutti) dei suoi fratelli dicendo di essere uno di loro. Il discepolo che insegue Gesù e dice di avere fede in Gesù esprime questa fede nella sequela e nell’imitazione di Cristo, è dunque un atto di fede fare esattamente quello che Gesù faceva, non ci salva dunque il fare l’opera religiosa di carità, ma l’inseguire Cristo che vive e s’identifica nei più poveri tra i poveri. Questo è la prima intuizione che ci aiuta a salvare l’apparente contraddizione.
In secondo luogo, ricordate l’incontro tra Faraone e Mosè. Mosè chiede a Faraone di lasciare andare gli schiavi per adorare e servire il loro Dio nel deserto per tre giorni. Faraone si rifiuta dicendo Io non conosco (ri-conosco) questo Dio degli schiavi. Questo riconoscere o non riconoscere il Dio degli schiavi è fondamentale per capire anche questa parabola. Se Faraone riconoscesse il dio degli schiavi non potrebbe continuare a ridurli in schiavitù, dovrebbe liberarli come vuole il Dio degli schiavi, Faraone riconosce soltanto i suoi dei che gli consentono di opprimere e disprezzare come non umani gli schiavi. La stessa cosa succede nella nostra parabola. Tu non potresti mandare a mani vuote Gesù che ti chiede qualcosa, ma tu devi riconoscere Gesù che viene a te negli immani travestimenti umani, nelle vesti umane di chiunque si avvicina a te perché e nel bisogno e abbisogna di te. Di nuovo, in questa lettura la chiave non è il fare o non fare, non ci salviamo perché facciamo o non facciamo, ma perché abbiamo riconosciuto il nostro Signore, abbiamo creduto che egli viene a noi nella fragile umanità di chi è nel bisogno.