Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

Sulle orme di Gesù

Testo: Ebrei 12,1-3

 

Ci stiamo perdendo d’animo, care sorelle e cari fratelli? Perché l’autore del testo di oggi ci mette in guardia dal pericolo della stanchezza della fede?

Perché la situazione della comunità giudeo-cristiana era influenzata da un’ambiente pervaso da sincretismo religioso. Tutti discutevano di tutto: dalle teorie angeliche dei filosofi gnostici alla legge mosaica. Ogni argomento era buono per sostenere un certo punto di vista.

In questo clima, preoccupato per il crescente raffreddamento della fede e per i rischi più gravi a cui la chiesa andava incontro, l'autore della lettera agli Ebrei scrive questo discorso esortativo ai suoi destinatari, diventati - secondo lui - apatici, indolenti e pigri rispetto alla via della salvezza. Infatti, ciò di cui hanno bisogno è una migliore comprensione della salvezza e, quindi, del dono che è stato dato loro tramite Gesù Cristo.

Nel dunque di inizio, cogliamo la conclusione di un discorso sul valore della fede di diversi personaggi dell'AT e l'inizio di una esortazione rivolta ai destinatari della lettera.  L'antica alleanza viene saldata alla nuova e gli antichi testimoni hanno la loro continuità nella comunità giudeo-cristiana. 

Qui sono implicitamente messi in contrapposizione due gruppi: il primo, definito "una grande schiera di testimoni" è costituito da quella schiera di uomini e donne[1], che comincia con Abele e termina con i profeti e altri anonimi credenti che morirono per la loro fede; il secondo è costituito dalla comunità cristiana, cioè "noi", per la quale Dio aveva previsto "qualcosa di meglio"[2], vale a dire il compimento delle promesse in Cristo Gesù. Questa schiera di testimoni ci circonda, ci avvolge, sta intorno a noi. Cosa significa esattamente? La testimonianza ha una continuità storica e tutti sono collocati sulla medesima ‘catena’ con un legame che collega l'intero popolo dei fedeli. Anche noi dunque afferreremo la fune per unirci a tutti gli altri che nel corso dei secoli vi si sono aggrappati, per fede.  Ci troviamo, dunque, tutti insieme a formare una comunità di fede ininterrotta. Chi fa parte di questa comunità si trova idealmente a correre la propria gara in uno stadio (la nostra vita cristiana) secondo la vocazione ricevuta, nel tempo e nel luogo assegnato. Il testimone è passato da una mano all'altra per arrivare a noi. Gli atleti di un tempo sono ora ideali spettatori della nostra gara. È il nostro momento. Tocca a noi intraprendere la corsa. È un impegno personale, ma non è escluso un gioco di squadra dato che l'invito a correre è al plurale.

Ma quali sono le condizioni per una gara efficiente?

Leggerezza dello "spogliarsi".

Il nostro testo fa uso d’immagini sportive note al pensiero paolino, e ci segnala alcune regole a cui nessun atleta può sottrarsi: Il corridore si veste il più leggero possibile; niente abiti che si avvolgono intorno alle membra e ne ostacolano il libero movimento; via tutto quanto trattiene e pesa.  Esso va eliminato, altrimenti frena la corsa. Ci sono tante cose che possono essere di peso nel nostro percorso di credenti. Ma qui nel nostro testo, può riferirsi all’apostasia. Quei giudeo-cristiani sono infatti esposti al rischio di ritrattare la scelta di Cristo. Allontanarsi dalla fede, infatti, è l'unico grave impedimento alla corsa in essa. La radice di tale comportamento è l'incredulità.

Dunque, secondo questa lettura, peso e peccato hanno la stessa valenza. Ma quello che  costituisce la minaccia più grave alla corsa, è quando distogliamo lo sguardo dall'obiettivo finale.

La perseveranza. In ogni caso, c'è qui un appello alla disciplina cristiana, perché siamo solo all’inizio della gara. La volata finale è ancora lontana. Per raggiungere il traguardo occorre avere perseveranza, costanza, temperanza, consapevolezza della meta che ci sta dinanzi, come afferma Paolo a proposito delle norme che regolano la corsa cristiana.[3] 

La nostra vita cristiana ha pesi e peccato che la rallentano, ma ha altresì in Cristo le risorse per vincere le difficoltà e gli ostacoli che impediscono la nostra avanzata.

Guardare a Gesù con fiducia. Viene qui presentato il terzo elemento utile alla disciplina cristiana per la riuscita della corsa. Chi corre deve avere lo sguardo rivolto verso colui che la corsa l'ha percorsa fino in fondo, raggiungendo il traguardo e ottenendo il premio.

Il termine greco aphorontes ha il significato di fissare qualcuno negli occhi, guardare a qualcuno con fiducia, allo scopo di orientare verso lui la propria vita.

Gesù: la completezza della fede. Gesù è l'autore, il pioniere e il perfezionatore della fede, perché è stato perfetto nel credere, perfetto nel suo cammino di ubbidienza e di sottomissione al Padre, perfetto nella sua opera di aiuto e di sostegno ai poveri, agli emarginati, agli indifesi ed agli esclusi dalla società, perfetto nel ridare voce e dignità a coloro che erano stati ridotti al silenzio e privati di ogni diritto e riconoscimento umano. Gesù è la forza trainante nella fede per coloro che scelgono di appartenergli o per coloro che pongono in lui ogni speranza di salvezza. Egli è colui che perfeziona la fede dei testimoni dell'AT e del NT. Cristo è il modello del credere. Egli, dunque, ha aperto la strada a coloro che lo seguono e ha lottato per tutti noi, assicurandoci la vittoria sul peccato, sulla morte. Per darci la gioia al di là della croce, cioè per Gesù il fine non era soltanto a sedersi alla destra del trono di Dio, ma conoscere la gioia di portare con sé altri atleti, di condurre molti figli alla gloria. Dunque, la gioia è stato uno degli obiettivi della sofferenza della croce. L'apostolo Paolo pone la teologia della croce quale potenza e sapienza di Dio attraverso la debolezza, l'abbassamento e lo svuotamento di Cristo. Croce come luogo della misericordia di Dio per la salvezza di chiunque crede.  

La provocazione è a vivere la fede a dispetto di ogni contrarietà, a riconoscere la propria identità di popolo di Dio che vive la sequela del Gesù terreno e del Cristo morto e risorto.

La vita cristiana è sempre in tensione tra l'essere e non essere, tra impegno e disimpegno, e noi, spesso, sperimentiamo continuamente di essere o spettatori della fede, oppure occupiamo posizioni di retroguardia che rivelano stanchezza, scoraggiamento, indifferenza.

L'esortazione che il nostro testo ci rivolge è quella di riflettere sulla nostra vocazione. Non si tratta di decidere di scendere in campo per correre, perché la gara è già iniziata e noi ci siamo dentro con tutte le nostre responsabilità. Si tratta di avere coscienza che come Cristo è andato avanti fino in fondo, anche noi possiamo proseguire il cammino orientati dal suo amore e dalla sua grazia, in tutte le situazioni della vita. Gesù resta il modello di riferimento per ogni comportamento cristiano.   L'esemplarità della vita di Gesù rimane dinanzi a noi in tutta la sua evidenza. 

 Il contenuto della sequela sta nell'obbedire alla chiamata di Gesù. La risposta è lasciarsi tutto alle spalle e seguirlo. Il discepolo non ha un programma personale, non ha un ideale verso cui possa tendere. Si tagliano semplicemente i ponti alle spalle e si va avanti, abbandonando tutto quello che può distrarci del cammino. La chiamata alla sequela è il vincolo alla sola persona di Gesù Cristo. La conoscenza religiosa o un sistema dottrinale non rendono necessaria la sequela. Anzi le sono ostili.  

La sequela, dunque, è una forma di innamoramento del Signore, che comporta un mutamento interiore che dà un nuovo orientamento alla nostra vita. Significa stare con Gesù e la sua parola e imparare a credere. E credere non significa rimanere silenziosi, ma ubbidire.

Sequela è la proclamazione della parola di salvezza e di liberazione dell'uomo, la denuncia dell'ingiustizia, dei privilegi e delle violenze che generano povertà, fame, guerra, morte. Sequela è fare spazio allo Spirito di servizio per il bene comune: la sequela di Cristo è intraprendere il nuovo cammino nell'ottica del regno di Dio per questa umanità smarrita! Amen!


[1] Ebrei 11, 4-38

[2] Ebrei 11, 40

[3] 1 Cor. 9, 24-27