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150 anni dall' Unità d'Italia

Che cosa celebriamo noi come evangelici italiani e come chiese battiste in Italia? I 150 anni della nascita della nostra nazione alla quale abbiamo anche noi contribuito. Il testo di partenza in Gioele ci aiuta a situare il problema fondamentale delle nostre chiese in Italia. Vai a Ninive, la grande città e profetizza contro di essa. La chiesa è chiamata ad andare in missione: Andate e predicate il Vangelo. Ora faremo un’attenta disamina di come le nostre chiese hanno interpretato la missione verso l’Italia, che è simbolicamente la nostra Ninive, la grande città.

I primi missionari arrivati in Italia furono due inglesi Edward Clarke e James Wall. Essi fecero un primo viaggio di ricognizione per l'Italia nel 1863. Nel 1865 si stabilì il primo a La Spezia dove fondò "La Spezia Mission"; il secondo  fondò a Bologna nel 1863 una missione che più tardi diventò un'opera della Società Missionaria Battista (BMS) di Londra. Nel 1870 arrivò il primo missionario battista della Convenzione del Sud, William Cote che costituì la prima chiesa battista a Roma nel 1871. Il secondo missionario dei battisti del Sud, G.B. Taylor, una persona molto capace, arrivò in Italia nel 1873 e diede un forte impulso all'espansione del battismo nel periodo di forma­zione.

Le prime chiese battiste sorsero in Italia come risultato del lavoro di missionari inglesi e americani e attraverso l’aggregazione di chiese evangeliche libere che diventarono battiste come la chiesa di Milano guidata dal pastore Coccorda. Questo è il primo dato di fatto della nostra storia. Ciò produsse nelle prime fasi una forte limitazione. I missionari erano portatori di istanze teologiche e culturali sorte ed evolute nei loro paesi di origi­ne. Il loro interesse, ad esempio nella situazione politica italiana, era funzionale, vale a dire lo analizzavano per scorge­re se era favorevole o meno alla crescita della loro opera. Ci sono state delle eccezioni. Abbiamo l'esempio del Wall che si resisteva a riproporre in Italia la divisione in denominazioni concorrenti allo stesso scopo senza collaborare fra di loro. Loro credevano che il messaggio da predicare alla “città” fosse evangelizzarla e tutte le altre cose erano funzionali a questo scopo. Mancarono spesso di una strategia lungimirante che prevedesse i risultati, nelle chiese e gruppi che man mano si costituivano, non solo della loro opera e di quella degli evangelisti e pastori italiani che li affiancavano, ma anche dei dibattiti teologici, dell'evoluzione della politica italiana, dei cambiamenti sociali in corso. La mancanza di una strategia globale si vede anche in altri aspetti che costituirono altri tanti limiti alla loro opera. E' facile oggi dare lezioni, ma lo sguardo rivolto alle prime fasi di sviluppo vuole riconoscere con gratitudine l'eredità lasciata dai missionari che si sono succeduti, ma anche individuarne i punti deboli. Magari per non ripetere gli stessi errori.

La nascita di queste chiese e gruppi segue linee abbastanza comuni che illustrano la loro strategia missionaria di evangelizzazione. In alcuni casi si trattava di gruppi spontanei. Sorgevano ad esempio ad opera di emigrati italiani in paesi protestanti che ivi diventavano battisti e che, ritornati in patria, iniziavano un lavoro di evangelizzazione. Ci sono casi come quello del Cammisa ad Altamura che diventò battista durante il suo servizio militare a Pistoia e che ritornato in Altamura nel 1890, inizia un gruppo di studio biblico fra gli scalpellini che alcuni anni dopo costituirono una Lega in Altamura nella quale i battisti costituivano la maggioranza. Ci sono casi di altri gruppi sponta­nei sorti attorno a figure carismatiche come il Loperfido, sociali­sta, pedagogo, organizzatore dei contadini nel materano. Quando egli diventò battista, in maniera spontanea, un gruppo di una trentina di persone aderì alla sua scelta e costituirono la chiesa battista di Matera.

Molto più importanti per la nascita o per il consolidamento dei primi gruppi furono i colportori, venditori ambulanti di Bibbie, libri e riviste evangeliche che i battisti producevamo in quantità. Nei loro viaggi attraverso paesi e città entravano a contatto con i gruppi spontanei, li organizzavano, ne indicavano l'esistenza alle missioni, quando non erano loro stessi a formare questi gruppi attraverso l'evan­gelizzazione. La terza fase di costituzione di una chiesa era l'arrivo di un ministro residente nella città. Si prendeva in fitto o si costruiva un locale di culto. Si può affermare che, con piccole varianti, con più o meno aneddoti locali, questa è la costante. In altri casi, le chiese o i gruppi appartenevano ad un'altra denominazione e diventavano battisti o perché li veniva garantita una cura pastorale adeguata, o perché giungevano alla convinzione che il battesimo doveva essere amministrato ai cre­denti adulti.

Questi gruppi sorsero in mezzo ad una profonda ostilità da parte dei loro concittadini cattolici, mentre erano visti con simpatia dai liberali anticlericali e dai massoni. L'ostilità poteva talvolta tradursi in azioni concrete da parte del clero più integralista. Non mancano i casi drammatici come quello di Barletta dove in una sommossa popolana antiprotestante furono uccisi alcuni evangelici. Ma erano più comuni le azioni tese ad esempio al boicottaggio e l'isolamento sociale, politico ed economico dei "protestanti". Questa ostilità provocò come reazio­ne una serie interminabile di diatribe e polemiche anticlericali nei primi giornali battisti di quel tempo. Un'altra conseguenza di questo tentativo di separare i battisti dal corpo sociale come elemento estraneo fu in molti casi delle migrazioni di massa dei primi battisti, come quella avvenuta a Ferrandina in provincia di Matera che stroncò sul nascere la piccola comunità nel 1897.

Per loro l’evangelizzazione non consisteva soltanto nella predicazione. Essi non si limitarono ad aprire chiese. Insieme ai locali di culto essi si occuparono anche del benessere fisico e culturale e fondarono orfanotrofi, ospedali, asili per anziani, circoli ricreativi e culturali, scuole ed altro. Questo tipo di attività non trascende di solito il proprio tempo per entrare nella sto­ria. Occuparsi degli ultimi che normalmente non lasciano traccia di se implica a sua volta passare a popolare le nebbie del Lete della storia. Sarebbe opportuno riscattare dall'oblio tutte le iniziative tese ad alleviare le sofferenze e la precarietà di vita degli assistiti in questi centri sparpagliati in tutta Italia e gestiti dalle chiese evangeliche italiane. Questa doppia spinta verso l'evangelizzazione e il servizio diaconale formano parte dell'essenza di tutte le chiese evangeliche italiane. Sono due squisiti frutti del tipo di spiritualità risvegliata. Orfano­trofi e scuole furono aperte a La Spezia, Napoli, Roma, Altamura e in molti altri luoghi.

A 150 anni dell’unità di Italia, cosa abbiamo perso e cosa abbiamo conservato di quella spinta originaria? Abbiamo perso la spinta evangelistica, abbiamo guadagnato in consapevolezza teologica, politica e culturale, sappiamo chi siamo, ma non sappiamo dirlo ai nostri contemporanei. L’urgenza dell’ora, ne riparleremo ancora in futuro, è la ripresa dell’evangelizzazione tesa alla crescita, al consolidamento e alla maturazione teologica e spirituale delle nostre chiese. Questa è la sfida che troviamo dinanzi e che accettiamo con decisione e speranza.