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Il canto di Simeone e la danza di Anna

Il canto di Simeone (e la danza di Anna) rappresentano il punto di vista degli anawim, letteralmente i poveri di Adonai, un gruppo religioso che possiamo definire come quelli che aspettavano la “redenzione d’Israele”. Nei racconti dell’infanzia pure Zaccharia con la moglie Elisabetta (e il fatto che appartenessero allo stesso gruppo religioso getta una luce nuova sulla questione della parentela tra Maria ed Elizabetta), Simeone ed Anna la vedova, hanno la stessa prospettiva. Sono i poveri di Adonai che confidano nel Signore per la salvezza e redenzione di Israele che sperano imminente. Nulla fidano nel loro sforzo od operare, tutto affidano all’azione potente divina. Sono poveri in questo senso radicale di rinuncia alle opere della carne e di assoluto abbandono nel Signore e nelle sue promesse. Sono due personaggi di SOGLIA, vivono in bilico tra l’AT e il NT, sono come sospesi tra la promessa e il compimento. Più che di personaggi storici concreti si tratta di personaggi TIPO che rappresentano l’Israele vero che aspetta e crede alle promesse divine compiute in Cristo poiché riconoscono nel bambino il Messia atteso (possiamo dire che sono poste in parallelo ad Abramo e Sara, a Mosè e a sua sorella Miriam).

SIMEONE: Gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di avere visto il Messia del Signore. Mosso dallo Spirito va al tempio mentre i genitori di Gesù lo portano per compiere le prescrizioni della Legge. Prende in braccio il bambino e pronuncia la sua benedizione /lode (un salmo) sotto l’impulso dello Spirito.

ANNA: Non si allontanava dal Tempio e serviva Dio con digiuni e preghiere, anche lei è un modello o tipo della vera spiritualità che attende il Messia, la sua lode non è cantata ma probabilmente danzata (in parallelo con la figura di Miriam sorella di Mosè). Poi parlava del bambino a tutti quelli che arrivavano a Gerusalemme.

COMMENTO vvss. 29-32 incentrati nella persona del bambino e 34b-35 detti a Maria.

Vvss. 29-32. Si incontrano tre generazioni sulle soglie del tempo e dello spazio del vecchio Tempio di Gerusalemme. La generazione che rappresenta il passato Simeone ed Anna che hanno conservato la promessa una epaggelia; la generazione che custodisce il presente (la promessa incarnata); la generazione futura Gesù il Cristo che adempierà la promessa della salvezza.  La prima generazione custodiva nello spazio sacro del tempio di Gerusalemme una “promessa”, niente altro. A Simeone gli era stato “rivelato” dallo Spirito santo che “non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore”. La generazione che invece non custodisce semplicemente una promessa, ma la realizzazione precaria, insolita, sbalorditiva, della promessa incarnata, non più un Dio da visitare nel tempio nello stretto spazio fisico e temporale della coordinata geografica di un “luogo”, ma un Dio che visita noi e ci incontra in un tempio di carne, nello spazio di una biografia, di una vita giovane appena nata e che deve crescere intensamente fra noi e dentro di noi, un tempio non di pietra a Gerusalemme o Roma o Witemberg o Ginevra, ma un tempio vivente che realizza tutte le promesse divine, che è messaggero e rivelatore di Dio per l’umanità e pure il messaggio e la rivelazione stessa di Dio che in Lui incarna per portare salvezza, libertà e redenzione a tutte le genti, a te e a me, per sempre, per l’eternità.

Questo incontro ha una finalità precisa che ora noi considereremo:Notate che è Natale ora per Simeone, ed è Natale dappertutto e per sempre per tutti noi, in ogni angolo e curvatura spaziale del tempo. Da quando Gesù è nato è sempre Natale e perpetuamente nasce in noi e per noi il Figlio di Dio. “Oggi nella città di Davide”, significa un oggi eterno ed intrattabile, è l’eterno presente di Dio che raduna nell’istante del suo esserci come Dio e in quanto uomo, tutto il tempo, attira a sé incarnato ed innalzato sulla croce tutti e tutto, abbraccia ecumenico ed universale l’intero creato e tutta l’umanità senza eccezioni. Poiché il tempo si trasforma nell’oggi permanente dell’incarnazione del Verbo, il passato (Simeone), il presente (la piccola comunità domestica dove due o tre si incontrano nel nome del Signore “egli è presente”), ed il futuro (il bambino che è principio e fine, alpha ed omega, arjé e telos (dunque esjaton), questo presente ingigantito accoglie (e non supera come fu interpretato erroneamente nel passato) il passato ma anche il futuro nella forma di un bimbo che cresce. Il presente senza tempo, dilatato nello spandersi continuo dello spazio e delle galassie contiene il passato, la promessa dell’arrivo del Messia consolatore, ma anche il futuro del suo secondo avvento fra noi. La conseguenza è che in quella soglia del tempo e dello spazio il presente del bimbo di Dio accoglie il passato e trasforma il presente in anticipazione del futuro, viviamo già nell’esjaton ma non ancora nella pienezza salvifica della sua consumazione nell’ultimo giorno. L’ora di Simeone si trasforma in oggi di salvezza: posso andare in pace, i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che è disposta per tutti i popoli e non più possesso esclusivo di una sola nazione. La definizione di salvezza è LUCE che illumina perché tutti possano vedere la gloria di Dio rivelata nella storia di Israele e nella persona di Gesù Cristo. Egli è la salvezza universale attesa e compiuta.

Vvss. 34b-35. Ma per la salvezza occorre pagare un prezzo, essa non è a buon mercato. Per Maria le parole di Simeone sono dolci (come quelle dei profeti quando la parola è mangiata) all’inizio, ma amare alla fine “il bambino è posto come pietra che farà cadere o rialzare molti in Israele”, e “una spada ti trafiggerà l’anima”.

Simeone ed Anna identificano Gesù, e la loro profezia è semplice, vedeno in lui: una luce che sarà rivelata ai pagani, e la shekinà divina per Israele. Ma Simeone identifica anche quale sarà la via alla salvezza di questo bimbo che è il tempio nuovo: la spada che trafiggerà Maria, la croce, sarà la via alla salvezza di Gesù. Adesso posso morire in pace, dice Simeone, perché con i suoi occhi ha visto e con il cuore ha intuito quale sarà la via di Dio, la via dell'incarnazione per la redenzione del mondo. La parola di Anna è invece danzata, è una lode del corpo dedicato al digiuno e alla preghiera in attesa dell’arrivo del messia. Da quando ha visto Gesù non cessa di parlare, la sua vita ora passa al servizio del vero Tempio vivente di Dio dove si realizza l’incontro definitivo con la salvezza.

Questo non è solo il messaggio dell'Avvento, è anche la fede della Chiesa che attende, non più le promesse che in Gesù sono state compiute, ma che attende di diventare come Gesù: un Tempio vivente, non in virtù ai suoi meriti e ottenimenti, ma attraverso la fede nella presenza vivente di Gesù in mezzo a noi. La presen­za del Signore risorto fra noi ci trasforma in chiesa di Dio e in Tempio dello Spirito.