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La figlia di Iairo

Questo racconto è segnato da due movimenti.  Il primo è il movimento di andare verso la ragazza ammalata, da parte di Gesù e di coloro che l'accompagnano.  I passi sono la notificazione del padre, la sua supplica disperata e urgente, il messaggio degli inviati che portano la notizia della morte, e dunque dell'inutilità dell'intervento del guaritore, l'arrivo alla casa, l'entrata alla camera mortuaria.  Il secondo movimento va in sen­so contrario e pretende di fermare o annullare il primo: la folla che accerchia Gesù, che lo stringe, la donna col flusso di san­gue, gli emissari che tentano di convincere Giairo di tornare in­dietro, di non disturbare più il maestro, la gente che piange di­sperata.  Qual'è la forza, la potenza che tenta di impedire che Gesù raggiunga la casa della bambina? La folla che circonda Gesù è un altro ostacolo all’incontro di Gesù con la bambina morente, tutto sembra cospirare contro di lei.

Giairo rappresenta tutti noi, tutti gli esseri umani che ab­biamo rivolto, in una o altra maniera la nostra supplica a Gesù, rappresenta tutti gli esseri umani che soffrono, non importa il perché, e che ten­tano di avere una risposta alle loro domande e sofferenze.  Un’umanità che cade in ginocchio davanti ai tanti idoli che prometto­no una rapida soluzione ad ogni problema, una risposta ad ogni domanda.  Ecco, forse Giairo si avvicina con questa mentalità a Gesù, ci vuole provare attirato forse dalla fama di Gesù come guaritore, sua figlia sta morendo, talvolta egli possa trionfare dove tutti i medici hanno fallito. Luca, nei suoi racconti, è interessato a questi risvolti psicologici dei personaggi. La domanda che sembra porsi è il perché ci si accosta a Gesù? Quali sono le motivazioni delle richieste d'intervento miracoloso? Cosa nasconde la mente e il cuore di chi si affida all'intervento miracoloso?

Gli emissari sono in questo caso, la voce del dubbio che grida ai nostri orecchi: "Tua figlia e morta, non disturbare più il Maestro!"  Ecco, davanti alla morte neppure il guaritore, il taumaturgo potrà fare niente.  Adesso Giairo ha soltanto due possi­bilità, o accettare l'ineludibile forza della morte, o credere ad una parola che Gesù gli sta dicendo.  "Non temere, credi e tua figlia sarà salva".  La fede è qui la rispo­sta di Gesù all'angoscia, al dolore, alla disperazione del padre che ha perso l'unica figlia.  Fede significa in questo testo la potenza che permette all'uomo di sperare contro ogni speranza, afferrandosi a una parola che Gesù gli ha dato. La fede non è il presupposto del miracolo ma della salvezza. Il miracolo non è definibile nel Vangelo secondo il concetto illuministico della temporanea sospensione delle leggi fisiche naturali; né tanto meno, come oggi lo definiamo, l'ambito del mistero o di quello che ci sembra inspiegabile. Il miracolo è innanzitutto la "presenza" stessa del Signore, che Dio voglia salvare dei peccatori come noi. Il miracolo è l'apparire dell'erjomenos, l'incontro con Lui è l'incontro con il ditto di Dio (o la mano destra di Dio). Gesù è Colui che mette in relazione e a contatto le due realità: quella divina e quella umana. La potenza del taumaturgo e il dispiegarsi nel tempo e nello spazio umano, la dynamis di Dio. La fede non è credere che Gesù potrà compiere dei miracoli, quello non è fede, basta guardarlo mentre agisce. La fede è credere in Lui come portatore e araldo del Regno, come inizio della salvezza. La fede si configura dunque come fede nella persona di Gesù. L'espressione "abbi fede", significa in realtà "credi in me, nelle parole che io dico".

Il Signore parla del sogno della bambina, che ella dorme.  Alcuni ridono di lui sapendo benissimo che era morta.  Gesù invece sapeva che per Dio onnipotente la nostra morte non è altro che un sonno dal quale soltanto egli ci può svegliare.  Questo segno messianico ha questo scopo che deve rafforzare la nostra fede, è un segno epifanico che rivela la divinità di Gesù e il suo potere sulla morte. Nella camera mortuaria Gesù prende la mano inerme e morta della bambina.  La mano di Gesù tocca l'impuro, questo contatto, nel contesto ebraico significa contaminarsi, diventare impuro.  Quasi sta a dire questo gesto che Gesù prende su di se tutte le nostre morti e tutte le nostre impurità e morti.  E che la disperazione che piange a contatto con quella mano divina si trasforma in gioia di salvezza, speranza compiuta e fede operosa che vede ri­tornare da noi i nostri morti, per vivere per sempre.  Viene alla nostra mente l'immagine dell’AT della mano potente, protettrice, che offre l’ausilio di Adonai: "Il Signore ci prende per mano perché i nostri piedi non scivolino nel vuoto" (Sal 37:24).

Il Signore tocca la morte con mano, al suo gesto così commo­vente segue una parola efficace, piena, datrice di nuova vita: Tàbita Kun, a te lo dico, fanciulla.  E' la voce, il suono di una parola che sveglia la bambina da un sogno.  La parola di Gesù mo­stra la sua potenza che sconfigge la morte, che obbliga il sepol­cro a rendere la sua prematura preda.  No, il Signore non ci la­scierà in preda alla morte.  Un giorno, quella stessa voce sarà rivolta a tutti noi, che da tempo dormiremo il sogno dell'oblio nelle stretta dimora della tomba.  Sarà rivolta a noi quella pa­rola restitutrice della vita.

Nel frattempo, quella stessa parola che può dare la vita, che nutre l'attesa e la sete, la fame di Dio, è qui, è presente nella predicazione della chiesa, quando la parola è esposta e predicata fedelmente, ubbidita e onorata nell'assemblea dei san­ti, rigenerati, ricreati, rinati da questa parola, essa frantuma i limiti, la frontiera tra morte e vita.  La fede di Giairo e la potenza della parola hanno fatto possibile il miracolo.  Nella tua vita, questo segno si può ripetere.  La tua fede che nasce dall'ascolto della parola può salvarti dalla morte.  Devi come Giairo solo avere fede, la mano potente di Dio farà il resto.  Vuoi tu ricevere nella tua camera mortuaria, il tocco e la parola di Gesù?  Accettalo come il tuo Signore e Sal­vatore, e davanti alla sua tenera onnipotenza fuggirà la morte e l'ombra che ti circonda.