Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

Togliete via quel vecchio lievito che vi corrompe

Prima della partenza da Egitto, Dio aveva ordinato di togliere tutto il lievito dalle case ebree. Quest'ordine aveva almeno due motivazioni, una era di carattere teologico, l'altra di natura etica. Significava lo stabilire una frontiera o demar­cazione fra il prima e il dopo la liberazione, fra il vecchio e il nuovo, fra la schiavitù in Egitto e la libertà. La libertà aveva una sua destinazione e un impegno storico: da una parte l'adorazione di Dio e lo stabilire l'alleanza definitiva con il Signore; dall'altra, costruire la nuova società senza schiavi a partire dal Decalogo. La seconda motivazione era di carattere etico, perché la liberazione dall'Egitto era anche una liberazio­ne dai loro peccati, soprattutto di due dei peccati del popolo egiziano: il primo l'oppressione degli schiavi e il genocidio compiuto contro un altro popolo, il secondo la loro idolatria che non ha riconosciuto Adonai per ritenerlo un dio degli schiavi. La liberazione dell'Egitto si architetta con una doppia metafora teologica ed etica, togliere il lievito significava rompere con il passato ed iniziare una vita nuova significata dalla nuova pasta "non lievitata" con il vecchio lievito egiziano dell’oppressione e dell’idolatria, ma con il lievito dell'alleanza con il Signore.

La prima metafora che applica, appunto, l'Apostolo Paolo riguarda il "vecchio lievito" e il "nuovo lievito". Paolo riesuma le vecchie metafore, i simboli dell'AT, e li ricrea dando loro una nuova vitalità e significato applicandoli al Cristo e alla chiesa. Paolo ha in mente il prima e il dopo la conversione a Cristo, l'antecedente della fede e le sue conseguenze per il credente negli aspetti non solo religiosi ma anche etici e socia­li. Il "vecchio" è tutto ciò che è stato logorato dal peccato, tutto ciò che non è nuovo, fresco, vivo, è tutto quello che appar­tiene all'eone o età passato, al tempo della morte e dell'oscurità, tutto ciò che ha turbato e deturpato l'uomo e il creato, tutto ciò che ci ha alienato da Dio. L'Apostolo rende evidente una sua analisi della situazione dei Corinzi: fate attenzione, fratelli e sorelle, fra voi vedo ancora avvisaglie del passato, permangono reminiscenze del vecchio lievito, si manifesta fra voi qualcosa che appartiene al tempo passato. Rimangono fra loro delle incro­stazioni del loro primo stadio pagano. Queste sono alquanto pericolose perché “agiscono in loro al modo del vecchio lievito che corrompe la loro vita nuova in Cristo”. Perciò esorta i Corinzi a "localizzare" i frammenti di lievito ancora presenti nelle loro case, in modo metaforico, e toglierlo di mezzo, cac­ciarlo, rimuoverlo se vogliono rimanere intatti ed essere una "pasta nuova". Questa esortazione equivale alla dimensione etica che il simbolo di togliere il lievito aveva per gli ebrei. Nel co­struire la nuova società occorre buttare via i materiali che componevano la società egiziana: lo schiavismo e l'idolatria.

È più complesso il significato da dare al simbolo teologico. Il lievito, nella religiosità ebraica, venne a significare tutto ciò che era impuro, quello che apparteneva al lato oscuro della realtà identificato con i diversi tabù e divieti. Non possiamo entrare adesso nella determinazione del complesso sistema della spiritualità del puro / impuro in Israele. Possiamo soltanto fermarci su una sua conseguenza: la realtà era divisa nettamente in due parti, c'era una sorta di dicotomia, di dualismo etico e fisico. Il puro e l'impuro non erano categorie soltanto religio­se, ma alimentari, politiche, sociali. Colpiva gli uomini, le cose, gli oggetti, gli animali. La divisione era permanente per alcune cose che erano sempre e comunque impure. Le persone, gli oggetti, gli animali e alcune cose pure potevano diventare impu­re, cioè passare dalla sfera del puro a quella dell'impuro in due casi. Il primo, per determinazione divina, era Dio a segnalare lo stato di ogni parte della realtà. Il secondo, quello che ci occuperà era determinato dal "contatto" o dall'uso. Se una parte della realtà considerata "impura" entrava a contatto con una parte "pura", la contaminava, la rendeva impura finché non avve­niva un atto religioso di purificazione o finché non passasse un periodo di tempo minimo. A Paolo interessa il caso dell'impurità che avviene per contatto. Il lievito simboleggia questa capacità che ha l'impuro di rendere impuro tutto ciò che tocca. La vita nuova può essere contaminata dal vecchio lievito che ha la capacità di sporcare ciò che tocca. La difficoltà di questo concetto è doppio. Riguarda una visione arcaica di carattere quasi magico. Noi non crediamo in questa divisione della realtà, e neanche Paolo. Egli usa in maniera metaforica questa "potenza" superstiziosa che gli antichi appen­devano a ciò che ritenevano impuro. Per risolvere la complessità del simbolo adoperato cerchere­mo di andare alla radice, al perché della vecchia azione di "togliere via il vecchio lievito dalla casa". Quest'azione aveva uno scopo di culto o rituale, rendere la casa degna di diventare un luogo adatto alla celebrazione del rito pasquale, della cena simbolica. La casa diventava una specie di luogo di culto fami­liare. Soltanto dopo l'avvenuta purificazione della casa essa sarà degna di trasformarsi in un luogo cultuale. Se la casa è la chiesa che diventa "tempio dello Spirito", "corpo di Cristo" e "famiglia di Dio", togliere via il vecchio lievito, non può che significare renderla degna di accogliere Dio stesso perché la chiesa diventi un "luogo di culto", dove si celebra la comunione con Dio e l'incontro fra i credenti.

Troviamo adesso un'affermazione sconcertante: “siate come una pasta nuova, come i pani non lievitati di Pasqua”. Questa seconda metafora riguarda l'insieme della chiesa, "il popolo" della nuova alleanza. Voi siete come i pani non lievita­ti. La potenza dell'immagine è abbagliante. Dire che siamo come pani, equivale a dire "siete il corpo di Cristo", perché il pane è uno dei simboli adoperati da Gesù per significare il suo "corpo dato per voi". Nella Santa Cena spezziamo il pane simbolico, simboleggia non solo Cristo, ma la chiesa che è il suo corpo. L'Eucaristia della chiesa è dunque un pane senza lievito, cioè, senza peccato, santo. L'assenza di lievito equivale all'as­senza di peccato e dunque all'appartenenza all'ambito del puro, alla santità. La santità in questo caso non è il risultato di una condotta senza macchia, ma la premessa che ogni azione e la condot­ta avranno come fondamento, non il vecchio ma il nuovo, non l'interesse personale, ma l'interesse del Vangelo. Noi siamo santi non perché viviamo senza incrostazioni nel percorso, ma perché è stato tolto da noi ogni frammento del vecchio lievito da Cristo stesso. Il fatto di essere stati purificati è lo stimolo nell'esortazione: non peccate più perché voi siete stati purifi­cati dal vecchio lievito per costituire il nuovo Tempio di Dio, la chiesa dei santi.