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Un abbraccio tenace.

Desidero iniziare questo mio tempo di riflessione oggi con voi raccontandovi un fatto di cronaca avvenuto in maggio di quest’anno al confine di Ceuta tra Spagna e Marocco. A partire dalla notte tra sabato 15 e domenica 16 maggio le guardie di frontiera marocchine hanno smesso di pattugliare il confine a Ceuta, un confine di solito blindato soprattutto dal lato marocchino. L'atteggiamento delle autorità marocchine si sospetta sia stato una ritorsione di Rabat per la decisione di Madrid di consentire il ricovero in un ospedale iberico di Brahim Ghali, leader del Fronte Polisario, il movimento per l'indipendenza del Sahara Occidentale considerato nemico dal Marocco. Fatto sta che 8 mila migranti circa hanno cercato di arrivare a Ceuta a nuoto, in canotto o arrampicandosi sulle scogliere che segnano il confine tra i due Paesi. C’erano padri, madri, anziani, bambini, di tutto. Un giovane è morto prima di riuscire ad arrivare in territorio spagnolo. La Spagna ha schierato l'esercito e usato gas lacrimogeni contro i migranti arrivati via mare. Sulla spiaggia di Tarajal sono arrivati veicoli blindati e soldati inviati da Madrid. La Guardia Civil ha soccorso le persone in difficoltà. In tutto questo trambusto si verifica un fatto, immortalato da una foto iconica: il salvataggio di un neonato.

Eccovi un estratto del racconto della Guardia Civil Juan Francisco: «Abbiamo preso il piccolo, era gelato, freddo, non si muoveva molto. Eravamo tre persone in acqua, stavamo aiutando varie persone. Ho visto una donna con un salvagente giocattolo, cercava di sopravvivere. Pensavo che avesse in spalla uno zainetto con dei vestiti, ma dopo un suo movimento ho capito che si trattava di un neonato. Io e un collega ci siamo diretti rapidamente verso di loro, io ho preso il bimbo e lui ha soccorso la madre. Era così pallido e immobile che non sapevo se stesse bene o no».
Osservate come il militare stringe tra le sue grandi mani il neonato. Lo abbraccia, lo protegge da una situazione drammatica assurda. Lo sottrae alle grinfie della morte, lo salva, infatti il bambino è sopravvissuto insieme alla sua mamma. Certo non lo avrebbe mai mollato dopo averlo preso, nulla avrebbe potuto separare il piccolo dal suo salvatore. Vorrei che questa immagine ci sia di memoria di quello che oggi voglio annunziarvi: nulla può separarci dall’amore di Dio.

Testo di Romani 8:

31 Che diremo dunque riguardo a queste cose? Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? 32 Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui? 33 Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica. 34 Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi. 35 Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 36 Com'è scritto:
«Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno;
siamo stati considerati come pecore da macello».
37 Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. 38 Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, 39 né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

Questo appena letto è un testo molto ben costruito e di grande effetto. L’apostolo sa usare le parole e costruisce sapientemente il discorso così che chi ascolta al termine si emozioni e si rinforzi nella fede. È così equilibrato e perfetto che mi chiedo se abbia senso aggiungere altro.
Infatti non aggiungerò nulla oggi, mi limiterò a riflettere con voi sul messaggio di speranza che ci consegna. Inizio smontando la retorica di questo discorso e riformulando quello che penso sia il messaggio principale: NULLA PUO’ SEPARARCI DALL’AMORE DI CRISTO.
Vedete il testo utilizza una serie di domande retoriche (Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?), e di domande cui viene, a maggior chiarezza, fornita una risposta esplicita (Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica.).
La domanda è quindi la forma scelta per passare il messaggio di speranza che nulla può separarci dall’amore di Cristo. Ho pensato che questa non fosse una scelta legata solo ad un artificio retorico, ma che potesse essere una indicazione significativa.
Ci sono domande che mettono in questione la nostra fede, ci sono dubbi che gelano il nostro cuore, è la sete di trovare delle risposte che ci convoca al culto ogni domenica. Al centro del culto evangelico c’è la predicazione della Parola, che avviene nel momento del sermone, ma anche negli inni che cantiamo, nelle testimonianze che vengono rese, nei Credo che recitiamo insieme. Ci viene consegnata una Parola, perché abbiamo una domanda che non si placa mai del tutto. Le domande forse sono più di una e saranno diverse per ciascuno di noi, o cambieranno nel corso della nostra vita. La domanda cui l’apostolo Paolo ha urgenza di rispondere è: Dio ci abbandona? Dio abbandona il mondo al suo destino? È la tentazione della disperazione.
Accadono cose nella nostra vita e nel mondo che ci disperano, il testo direi ne fa un elenco piuttosto efficacie: la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada. Vengono nominati fatti che affliggono la nostra psiche e il nostro corpo. Ci sono pericoli che minacciano l’esistenza fisica in vita come la fame, la povertà che impedisce di procurarsi una protezione per i corpi (vestiti adeguati o un riparo per la notte, una casa), i rischi che derivano da guerre, assalti violenti, rivoluzioni, repressioni, persecuzioni, inondazioni, malattie e rapine. Ci sono pericoli invece che possono lacerare il nostro animo e sono ugualmente insidiosi. L’apostolo parla dell’angoscia, dei patimenti, della persecuzione. Potremmo tradurre con parole moderne in depressione, bullismo, mobbing, discriminazione, solitudine, anoressia. Un elenco questo che ci siamo fatti che ci spinge a pensare che il mondo non abbia senso, che sia dominato dal male, dalla cattiveria o nel migliore dei casi dalla precarietà. Pochi versetti prima di quelli che abbiamo letti lo stesso Paolo dice che: “la Creazione è condannata a non aver senso, è schiava della corruzione, geme ed è in travaglio”. Non facciamoci illusioni, viviamo in un mondo difficile e ancora dominato dal peccato. Di fronte a tutto questo che diremo? Ci faremo mettere in difficoltà? Saremo travolti come pecore portate al macello?
Sapete quale è il pericolo maggiore? Che tutto questo possa irrimediabilmente incrinare il nostro rapporto con Dio. Quando la disperazione assale i nostri cuori, quando il pericolo minaccia i nostri corpi, la domanda dove è Dio in tutto questo che mi accade può trasformarsi in una valanga che seppellisce la nostra fiducia in Dio. Ecco quindi il pericolo più insidioso. Sappiamo che i credenti non hanno una vita più fortunata, protetta dai pericoli e priva di difficoltà. Nelle difficoltà e nei pericoli Gesù ci insegna a pregare perché dice quale è “quel padre fra di voi che se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra?”. Eppure nella nostra esperienza, o in quella dei nostri fratelli e sorelle, ci capita di vedere che le pietre arrivano al posto del pane tanto pregato. Diventa quindi come vedete fondamentale rispondere alla domanda: Dio ci abbandona?

Ritornate allora con la memoria all’evento fondante del Cristianesimo: la vita di Gesù, Dio fattosi carne e vissuto tra noi fino alla morte di Croce e la sua Resurrezione. Di fronte alle grandi domande è bene tornare alle radici e trovare grandi risposte.
La testimonianza del Cristo coronata dalla Resurrezione ci dà fiducia e ci testimonia che nulla può separarci da Dio. Se Dio è per noi viene detto nel testo di Romani, ma naturalmente che Dio è per noi! Ricordate che Gesù ha avuto cura amorevole dei suoi discepoli e delle folle che lo seguivano, ha preservato le loro vite nel pericolo (placa le acque durante la tempesta sul lago in Galilea), li ha sfamati (moltiplicazione dei pani e dei pesci). Gesù ha soccorso i peccatori mettendosi dalla loro parte (adultera, tavolate con coloro che erano considerati impuri), ha liberato quanti erano imprigionati da una psiche malata (guarigione dell’indemoniato e donna curva). Ha dato una missione a chi era un semplice pescatore o un odiato esattore delle tasse. Ha insegnato, ha amato, ha pianto. Ha promesso l’amore più grande ai suoi amici quello di morire per loro. Vedete con quanta cura ha accolto e si è avvicinato a tutte le persone che ha incontrato senza badare se fossero ebrei o gentili, donne o uomini, buoni o cattivi, sani o malati. Questa condotta lo ha portato ad essere inviso alle autorità religiose e civili che infatti lo hanno imprigionato e messo a morte. Eppure nel momento supremo della sofferenza e dell’umiliazione non ha ceduto alla tentazione di salvare se stesso (Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce), ha amato anche coloro che lo mettevano a morte. Di tutto questo dobbiamo fare memoria e comprendere che la vita e la morte di Gesù sono un potente testimone del patto di amore che Dio stringe con noi. Dio è per noi, indipendentemente da come siamo noi, anche se le nostre vite ci condannano. E se Dio è per noi? Chi può ostacolarci? Se Dio ci ama anche nelle nostre mancanze, non dovremo più sentirci inadeguati o in colpa. Se Dio ci ha fatto il dono più grande, di tutto il resto possiamo fare a meno. Questa verità dobbiamo custodire nelle nostre menti come una perla di valore: Dio è per noi. Epperò anche noi abbiamo detto di sì al Dio rivelatosi in Gesù Cristo, quindi non solo noi siamo importanti per Dio, ma anche Dio è importante per noi. Non dobbiamo mai smarrire questa consapevolezza e nutrire il nostro rapporto con Dio con la medesima cura, attenzione e accoglienza usata dal Cristo verso l’umanità. Noi siamo importanti per Dio e Dio è importante per noi. Dio ha instaurato con noi una relazione. È necessario questo rapporto nei due sensi (da Dio a noi, da noi a Dio). Se custodiamo questo filo allora non ci perderemo.
Anche se fossero contro di noi angeli, uomini, i potenti della terra, anche nella malattia e nella morte non dovremo temere, perché noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Dio non ci evita le difficoltà e le sconfitte, ma ci insegna come affrontarle, ci è vicino e ci sostiene. Gesù non toglie la fame alla folla che lo stava ascoltando, ma dà loro da mangiare. Gesù non evita a Pietro di sbagliare, ma la resurrezione e la pentecoste daranno a Pietro una seconda possibilità. Gesù non rimane con i suoi apostoli, li lascia, ma
costruisce per loro una comunità animata dallo Spirito di Dio. Gesù non evita la morte né per se stesso e nemmeno per il suo amico Lazzaro, eppure Dio sconfigge la morte con la Resurrezione nel giorno di Pasqua e per noi alla fine dei tempi. Il Signore ci è quindi sempre vicino e prepara per noi le strade migliori per vincere i più grandi pericoli. E tutto questo Dio fa perché ci ama e l’amore è forte più della morte. L’amore di Dio è come le grandi mani guantate di rosso che sostengono fuori dalle acque questo neonato. Non hanno evitato che accedesse una tragedia assurda, ma nel pericolo sono lì a sostenere. In questa immagine c’è asimmetria tra la forza del soccorritore e la debolezza assoluta del neonato, tra l’equipaggiamento della guardia civil e la tutina di ciniglia dell’infante. Questa stessa asimmetria è nel rapporto tra noi e Dio.
Qui non si parla del fatto che Dio è a noi vicino in ogni momento anche quando siamo distratti da altro, o nei momenti che vagamente potremmo definire di difficoltà. Qui si parla di autentiche tragedie che mettono in serio pericolo la vita fisica o spirituale di ognuno di noi. Ecco perché leggendo questi versetti mi è venuta in mente l’immagine dell’abbraccio tenace che il soccorritore in mare opera rispetto a chi sta per annegare. E questa immagine rende molto efficacemente l’idea: perché è ovvio che un bambino così piccolo se lasciato a se stesso in mare annega, perché c’è asimmetria tra l’adulto e il bambino (così come tra Dio e noi), perché è una immagine simbolo di un dramma collettivo senza speranza di esiti positivi, perché sappiamo che nessuno ha fermato Juan Francisco.

Ricordiamo l’abbraccio tenace di Dio nostro soccorritore, nostra responsabilità è mantenere viva la memoria di questi fatti e ricorrervi nei momenti di disperazione. Non pensate che a quel bambino verrà raccontata per tutta la sua vita che un giorno di maggio del 2021 fu salvato da chi non volle arrendersi di fronte all’ineluttabile? Credo che la sua mamma non sarà mai stanca di raccontargli questa storia e poi lui la ripeterà ai suoi figli e ai suoi nipoti. Ebbene con ancora maggior stupore noi ricordiamo e raccontiamo che Dio è venuto ad abitare per un tempo con noi e che è il nostro soccorritore per l’eternità.
Amen