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La sapienza dell'amore

Testi: Proverbi 8,1-36 I Corinzi 6,1-9 e I Re 3,16-28

Il conflitto é parte della esperienza umana. Chi di noi può dire di non averne mai vissuto uno? Ci sono conflitti che scavano buchi profondi nelle nostre anime e ci arrecano una sofferenza indicibile. Sopra tutti, i conflitti più dolorosi, sono quelli con persone che ci sono state amiche e/o compagni.

Due donne, unite da una medesima condizione, vivono assieme, condividono spazi, ma anche la comune attesa di un figlio. E in una notte, a causa di un evento inaspettato, la morte di uno dei bambini appena nati, si trovano in una situazione di aperto e aspro conflitto. 

In una comunità di credenti, costituita di persone che credono in Cristo, si formano, per ragioni pare molto banali di gelosia spirituale, delle fazioni che li portano a contrapporsi e a denunciarsi vicendevolmente davanti alle autorità secolari. La Bibbia non loda i conflitti, ma neppure li demonizza. La Bibbia in una molteplicità di circostanze, ci indica piuttosto la via per elaborare e se possibile, risolvere nel segno della trasformazione positiva il conflitto. In queste circostanze, appare di particolare importanza essere saggi, comportarsi da saggi. 

Secondo Proverbi la Sapienza è una personificazione di Dio (i teologi dicono "ipostasi"). Essa è un principio ordinatore di tutta la creazione. Il testo di Proverbi, infatti, ruota intorno a due fuochi: Il primo è che la Sapienza è la ragione stessa della vita ed ha in Dio la sua origine. Il secondo è che la Sapienza "chiama", interpella l'essere umano, il quale più che "essere sapiente" per sua intrinseca capacità, deve assumersi la responsabilità di rispondere alla sua vocazione. E quindi la Sapienza è l'intelligenza del mondo, ma nella forma di una intelligenza che salva la vita  o la preserva. 

Il caso del giudizio di Salomone  rappresenta un esempio emblematico. Due donne sono in contesa. Il motivo è grave. Uno dei loro figli, appena nati è deceduto durante la notte. Il caso è difficile perché ciascuna rivendica che il figlio vivo sia il suo. Il caso, forse proprio a motivo della sua difficoltà, viene portato davanti al re. Questi ascolta le parti. Ma la cosa non aiuta. Ognuno sostiene una  versione che non si concilia con l'altra. Il testo ci dice che la casa era abitata solamente dalle due donne, dunque niente testimoni. La prima donna dice che l'altra avrebbe sostituito il bambino nottetempo, dopo averne procurato la morte per soffocamento, involontariamente. Già qui ci viene da obiettare: se la donna dormiva, come fa a sapere addirittura come sarebbe morto il bambino? E' evidente che i fatti si presentano già inestricabilmente intrecciati con le interpretazioni. 

Ecco quello che rende il conflitto ancora più difficile: la nostra mente ci induce a ricostruire scenari e intenzioni dell'altra parte, e in preda alla passione del conflitto, possiamo essere indotti a saltare alle conclusioni che sono più convenienti per noi. Il meccanismo è talvolta alimentato dalla malafede, ma spesso, il più delle volte, dalla nostra convinzione sincera di aver ragione. Mediare, o addirittura giudicare è difficile, in certi casi impossibile. 

Salomone ricorre ad una decisione "rischiosa". Dinanzi alla impossibilità di stabilire chi dica la verità, egli esperisce un'altra via: "la soluzione salomonica", appunto. Si divida il figlio in due parti e ciascuno ne abbia metà. "Summum ius summa iniuria" che potremmo tradurre "massimo della giustizia, massimo della ingiustizia". La locuzione indica che una applicazione acritica del diritto - che non tenga conto delle circostanze a cui le sue norme devono essere applicate nel singolo caso e delle finalità a cui esse dovrebbero tendere - ne uccide lo spirito e può facilmente portare a commettere ingiustizie o addirittura costituire strumento per perpetrare l'ingiustizia. Equa spartizione, significa in questo caso, iniqua condizione per entrambe e soprattutto per il figlio sopravissuto.  E qui che avviene il colpo di scena. Una delle due donne, ma il testo non ci fa individuare chi delle due, rinuncia al suo diritto per la salvezza del bambino. Questa rinuncia rivela inequivocabilmente chi sia la vera madre? Non necessariamente. In ultima analisi, come siano andate effettivamente le cose, rimane una verità conoscibile solamente da Dio. E quante volte è così! Ma la risposta rivela al Re-giudice, senza ombra di dubbio, chi delle due donne sia la più adatta a crescere quel bambino come un figlio: è quella che è pronta a rinunciarvi pur di lasciarlo vivere.

Il caso della comunità di Corinto, trasferisce il conflitto in una situazione di contesa tra gruppi e persone all'interno della piccola chiesa. Paolo lamenta la incapacità che questi fratelli e sorelle mostrano a risolvere controversie interne. C'è una "vergogna", dice l'apostolo, non tanto nel fatto che ci siamo contese, ma che all'interno della comunità non ci siamo persone riconosciute dalle parti abili a risolvere le controversie. La parola "vergogna" in greco è "entropè". Una parola che noi conosciamo oggi soprattutto perché usata nel linguaggio scientifico. L'entropia è la perdita della capacità della energia a compiere lavoro. L'entropia è, quindi, cifra del disordine in cui la materia decade. L'energia di un sistema perde la sua capacità vitale. Ecco a Corinto, in una comunità con persone carismatiche, con tanti doni, e tante abilità, nella situazione di conflitto questa "energia" si degrada. Diventa nevrosi inconcludente e autodistruttiva. L'affermazione del diritto di una persona contro l'altra, porta la comunità a denunciarsi davanti alle autorità pagane, le quali in tal modo avranno in mano la prova che in questa chiesa non c'è alcuna Sapienza e alcuna Verità. Una disfatta spirituale, prima ancora che giuridica. E anche qui, Paolo propone un principio, che se ci fate caso, assomiglia a quello applicato da Salomone: "perché non patite piuttosto qualche torto?". La parte che ha "veramente" ragione è quella che è disposta a rinunciarvi, per amore della salvezza della chiesa (qui la chiesa sta al posto del figlio della storia di 1 Re). 

Non che sia sempre giusto rinunciare ad affermare il proprio diritto. Questo darebbe luogo alla dittatura dei prepotenti. Ma in certe circostanza ci vuole una giustizia "maggiore di quella di scribi e farisei" per dirla con le parole di Gesù stesso. E qual è questa giustizia? Quella governata dall'amore. Quella che preserva la vita delle persone e della loro vita di comunione. Questo non ha niente a che vedere con l'insabbiare la verità, o sottometterla alle ragioni di Stato. Ha a che vedere con l'amore, con un atto di auto-rinuncia teso a non portare lo scontro ad un livello tale che esso faccia soccombere tutti.  

Le applicazioni e gli esempi potrebbero essere tanti sia nella vita comunitaria, che in quella familiare e personale. Abbiamo bisogno di una Sapienza che sappia conciliare la giustizia formale con la salvezza del salvabile. Mi soffermo solo su un esempio e lascio a voi il compito di farne altre applicazioni. Faccio il caso di un conflitto coniugale. Due persone che si sono amate e per questo hanno deciso di sposarsi, non dovrebbero mai arrivare ad un conflitto aspro e insanabile. Eppure accade. E, talvolta, accade, perfino tra persone che hanno entrambe una fede sincera. Per noi che siamo amici di entrambi quanto è difficile. A parte i casi in cui uno è palesemente vittima dell'altro, non è facile districarsi. Ognuno racconta la propria versione dei fatti. Ognuno espone le proprie ragioni. E ben presto ci rendiamo conto che, nel merito, non saremo mai in grado di giudicare. Non lo possiamo fare. Ma soprattutto non lo dobbiamo fare. Ma, soprattutto quando ci sono dei figli può accadere che ciascuno tiri il figlio dalla propria parte, lo strumentalizzi, esercitando attraverso di lui una pressione sull'altra persona o mettendo in atto un vero e proprio ricatto affettivo verso l'altro. Con la conseguenza che il figlio, o la figlia, è letteralmente dilaniato dal conflitto dei genitori. Il conflitto tra i coniugi allora si allarga e coinvolge figli e figlie,  nonni,  amici. Si genera perciò una atmosfera di veleno che avvolge la situazione e chiunque ne respira l'aria rischia esserne infettato. Bisognerebbe almeno che la coppia in conflitto andasse alla presenza del giudice già con un accordo tra le parti teso innanzitutto a proteggere i figli. Perché se esiste una maniera cristiana di vivere il matrimonio, c'è una maniera cristiana anche di vivere una separazione e un divorzio. Non mi faccio illusioni. So quanto sia difficile. I conflitti mettono in moto elementi passionali e quindi non facilmente razionalizzabili. Ciascuno sente il dolore del torto subito e reagisce talvolta, rabbiosamente. Chiediamo al Signore sapienza. Quella sapienza che è all'origine stessa della vita e che perciò cerca di preservarla proprio quando è minacciata dall'aspro conflitto.