Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

Paga il male con il bene

Testo: Romani 12,17-21

«Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene». Questo versetto mi accompagna da tanti anni. Ogni volta che mi trovo in situazioni spiacevoli, queste parole appaiono all’improvviso davanti a me: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene».
Siamo figli di una generazione che ha manifestato una certa diffidenza davanti a elenchi di imperativi imposti in qualche modo; noi crediamo nel valore della libertà di scelta e comportamento che fa riferimento alla propria coscienza resa responsabile dalla Parola di Dio perché radicata nel Vangelo di Gesù Cristo. Eppure qui, nella lettera ai Romani, l’apostolo pronuncia con forza una serie di imperativi, rivolti ai credenti della chiesa di Roma. È evidente che l’apostolo fa riferimento a una realtà particolare, concreta; è sensibile ai problemi che quella comunità attraversa. Si deduce che nella chiesa di Roma ci sono fratelli e sorelle che subiscono del male e sono oggetto di odi, violenze, ritorsioni, forse anche di intolleranze; non sappiamo perché. Probabilmente fu perché una componente giudaica era stata cacciata dall’imperatore e quando era tornata in comunità aveva visto i convertiti dal paganesimo, al potere. Quindi, si parte da un problema della vita della chiesa di Roma per arrivare alla questione del rapporto con il nemico. 

L’apostolo si sente di offrire dei consigli derivati dalla sua esperienza di credente che ha subìto violenza, che è stato in carcere, perseguitato ingiustamente, e propone una risposta nonviolenta dei credenti nei confronti di chi ha inflitto loro del male; l’apostolo insegna a rispondere alla provocazione in modo costruttivo, lontano dalla logica di «occhio per occhio e dente per dente», logica che conduce sempre a inimicizie e ostilità senza fine. Quindi afferma con grande determinatezza: «Non rendete male per male». Non è affatto facile non reagire alla provocazione o alla violenza o non rendere il contraccambio: è umana una reazione di difesa, di presa di distanza con lo stesso linguaggio o azione dell’altro. Come ha fatto Dietrich Bonhoeffer, pastore della chiesa protestante tedesca, alla fine della seconda guerra mondiale, ha ceduto alla tentazione di rispondere al male con un attentato alla vita di Hitler, assumendosene la responsabilità personale di fronte al suo essere cristiano. Sono situazioni e scelte che non si possono giudicare con cuore leggero. Possiamo solo ringraziare Dio perché non ci troviamo in situazioni estreme.  

Perché, allora, l’apostolo propone un imperativo così gravoso per tutti?Innanzitutto perché l’apostolo vive nell’ottica secondo la quale tutti i credenti sono chiamati a essere “credenti” a motivo della sola grazia del Signore; ed è il Signore che solo può assumersi la prerogativa della vendetta. «Cedete il posto all’ira di Dio», afferma l’apostolo, quell’ira, però, è quella rivelata sul Golgota come l’ira del Dio amorevole che colpisce il male per guarire e convertirci. C’è una giustizia di Dio nella Storia, ma la conosciamo soltanto dopo aver conosciuto la giustizia di Dio in Cristo per noi, la giustizia di Dio che ci salva.

Non rendete male per male: qui ci è tolta la spada vendicatrice dalle nostre mani per cedere il posto a Dio che, con la sua misericordia, può trasformare il nemico in amico e compagno, l’inimicizia in fraternità e in stima reciproca.

I credenti, vivendo della grazia del Signore, sono chiamati a impegnarsi nella lotta contro il male a condizione di non adottare la stessa logica del male che è quella della violenza e della prepotenza, perché così facendo diverrebbero anch’essi prede di quel male che vogliono combattere.

L’impegno nella lotta contro il male non può essere passivo, non è detto «Tieniti lontano dal male»  ma l’apostolo afferma: «impegnati a fare il bene». Può solo essere un impegno attivo quello della lotta contro il male; esso richiede fatica, preghiera, tutta la partecipazione, la passione e l’autenticità della fede. Il male non si sconfigge tenendosi alla larga da esso, ma contrapponendosi ad esso facendo il bene.

Solo così possiamo sconfiggere il male, così come è accendendo una luce che vinciamo sul buio; è per questo che l’apostolo ci può consigliare dicendo: «Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere; così facendo radunerai dei carboni accesi sul suo capo», in altre traduzione traduce: «Comportati così, lo farai arrossire di vergogna».

È nelle situazioni di difficoltà, di sopruso, di sofferenza, dolore, che il tuo intervento attivo, il tuo “fare il bene”, fratello sorella, può determinare un cambiamento, allargare un orizzonte, permettere che si intravveda una nuova speranza; è nelle realtà di sconfitta, di indifferenza, egoismo, prepotenza, di respingimento che la tua presenza attiva di credente può fare in modo che il bene vinca, attraverso la tua accoglienza, la tua solidarietà, il tuo sostegno, la tua partecipazione; in questo modo qualcuno può ritrovare il senso della fiducia, dell’attesa e la voglia di tornare a sognare e a lottare, a guardare oltre un presente privo di futuro.

Questo dice anche a noi l’apostolo che ci incoraggia, come credenti, a non limitarci soltanto a non fare il male, ma di non restare indifferenti davanti al male. Il Mahatma Gandhi diceva che la più alta forma di violenza è l’indifferenza.

L’apostolo Paolo dichiara che il male si vince facendo il bene, si ostacola con una forte e attiva presenza di contrasto.

«Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» non è una semplice frase da appendere a una parete. Noi siamo chiamati a operare per il bene della città, per il bene comune, il bene della missione, non certo per guadagnarci i favori di Dio, il perdono o la vita eterna di cui, invece, già il Signore ci rende partecipi, ma siamo chiamati a fare in modo che il nostro impegno costante costruisca comunione, solidarietà, getti dei ponti, crei accoglienza, diventi luogo in cui il sofferente può ritrovare forza, l’oppresso può essere liberato, il disperato può rialzare il suo volto e guardare avanti per avere nuove progettualità. E tutto ciò è possibile perché, mentre eravamo nemico di Dio, Dio ci ha riconciliati con sé mediante la morte di suo figlio. La morte di suo figlio! Chi darebbe la vita di un figlio per fare la pace con un suo nemico? Lasceresti uccidere tuo figlio non per fare la guerra, ma per fare la pace con il tuo nemico? Tuo figlio, la persona che ti coinvolge di più, dato alla morte per una riconciliazione? Pensate per un attimo! Ma forse stai arrossendo, stai sentendo caldo in cima alla testa, stai sentendo i carboni accesi, stai comprendendo che la confessione di peccato non è una pia abitudine, e che c’è un’opera, un dono, una riconciliazione di Dio anche per quello che la pensa in modo completamente diverso, e che forse l’ambasciatore della riconciliazione di Dio verso il tuo nemico sei proprio tu. Le ragioni umane sono sotto l’ira di Dio. Il torto di cui Gesù è stato caricato ha rivelato l’ira di Dio, ci ha resi liberi dalla vendetta e ci permette di conformare la nostra volontà al dono della riconciliazione che Dio ci ha fatto in Gesù Cristo, a noi, quando eravamo ancora suoi nemici.

Perciò, vincere il male con il bene non è un compito che è affidato alla nostra capacità . «Vincere il male con il bene» è l’opera che Dio stesso intende compiere nel mondo attraverso il nostro agire per il quale egli stesso agisce efficacemente in noi.