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La via più eccellente

A Corinto Paolo affronta tre problemi che erano le tre vie alla salvezza: attraverso le opere della legge (ebrei), attraverso la gnosi (i greci), attraverso i doni carismatici (i perfetti), l'apostolo smentisce tutte e tre e mostra deiknymi dunque quale sia la via più eccellente kath'hyperbolen hodon, che consiste nella via dell'agape o carisma più grande.

Perché l'amore è la "via più eccellente"? Il territorio simboli¬co che precede la festa di Pentecoste è segnato dall'attesa dei doni e frutti dello Spirito. L'amore è considerato a volte un dono, altre un frutto, ma sempre si parla dell'amore come di un comandamento. Se l'amore è un dono qualcuno ce lo invia, dunque non può essere un frutto? Se è un frutto possiamo produrlo noi più o meno spontaneamente, non è dunque un dono? Se è un comandamento, come possiamo pre¬tendere di adempierlo se non c'è niente di più libero dell'amare? Nella realtà complessa dell'amore convergono paradossi apparente¬mente sconcertanti. Perché è così scarso il frutto dell'amare fra quelli a cui l'amore viene donato e dunque comandato di amare? Perché produce in noi meraviglia contemplare l'esiguo numero di quelli che seguono la via più eccellente e che finiamo per considerare alla stregua dei santi travol¬ti dallo stupore dell'eccezione che rappresentano?

L'amore è la via più eccellente perché è il dono dello Spirito: in questo dono coincidono il donatore, Dio è amore, e il dono stes¬so, ci è concesso il dono di amare come Dio stesso ama, e alla stessa maniera. Ogni dono divino è anzitutto dono di sé. Il primo dono divino è auto donazione: Dio ci ha fatto dono per pura grazia dell'incarnazione in Gesù Cristo del Figlio suo e del rapporto di filiazione – diventiamo figli anche noi nel Figlio-. L'amore è la via più eccellente perché consiste nel dono di amare come Dio ci ha amato, e dunque per pura grazia e senza motivazione, gratuitamente. L'amore è un dono perché ci viene concessa la possibilità di amare come Dio. Quello che per noi sarebbe impossibile è reso possibile dal dono. La realtà tragica che esperimentiamo non è la nostra incapacità costitutiva di amare, ma il fatto che non amiamo abbastanza e che poniamo steccati all'amore, frontiere perverse dettate spesso da un moralismo convenzionale che ha paura di osare e di essere stravolti dalla potenza dell'amare.

L'amore è la via più eccellente perché è un frutto dell'amore divino che ci viene donato. Ogni dono si trasforma in un impegno. La libertà dalla legge in Cristo diventa "la legge di Cristo" in Galati, legge caritatevole, universale con una sola disposizione immane: amare tutti come egli ci ha amato. Come frutto, l'amore è il dispiegarsi nella nostra vita e azione del dono divino, perché anche in noi si dia la stessa coincidenza unilaterale che si dà in Dio: egli ha scelto di amare noi mentre eravamo ancora dei peccatori, noi scegliamo di amare tutti e non soltanto che ci è affine per vicinanza. C'è un rapporto tra il frutto e la potatura, perché ci sia del frutto occorre potare quei rami che portano soltanto fogliame, apparenza e nessun frutto. Questa è la dimensione tragica delle nostre carenze, non è dovuta al fatto che non abbiamo frutto, ma perché il frutto non è mai sufficien¬te; non viene dal fatto che non amiamo, ma come dicevo prima, perché non arriviamo fino alla fine, all'amare come Dio ci ama, perché ci fermiamo ad un certo punto della strada, perché non andiamo oltre le frontiere e gli steccati che poniamo all'amore. Perciò lo Spirito Santo, con infinita pazienza deve "potare" i nostri pregiudizi e preconcetti, le nostre pochezze ideologiche, il fogliame dei nostri egoismi, tentennamenti, codardie, incapacità, perché possiamo andare oltre, avanzare di qualche altro passo. Dio ci pota affinché rimangano i tre rami essenziali; l'amore che ubbidisce, serve e cerca la comunione totale, la speranza e la fede. E da questi tre rami ancora due dovranno essere potati, recisi, perché neppure la fede o la speranza un giorno saranno più necessarie. Infatti, quando verrà il Regno che attendiamo soltanto una cosa sarà necessaria: l'amore, e cioè l'essenza stessa di Dio che è amore; Dio ci "pota" costan¬temente fino alla fine, finché rimarrà l'unico prodigio sorpren¬dente e divino, che noi possiamo amare come Dio è realtà presente nella forma di dono e di frutto, e sarà la sostanza del futuro.

Abbiamo risolto i paradossi, le apparenti contraddizioni? Manco per sogno. La via più eccellente è la via del paradosso e della sconfitta perché amare come Dio ci ha amati rimane l'indirizzo a cui ci porta la via più eccellente, la meta escatologica. E' la via dell'apprendistato, del comandamento verso la dimora dell'amore: il futuro di Dio. Paolo conclude la sua descrizione della via più eccellente indicando la fine come un territorio sfoltito da tutto ciò che è superfluo e noi consideriamo impre¬scindibile nelle "vie medie" religiose che inseguiamo: l'ascetica non c'è più, né la legge morale, neppure la fede o la speranza sono necessarie nella casa dell'esjaton divino perché la fede ha raggiunto il suo oggettivo e la speranza è già stata realizzata.

Cosa rimane nel luogo della consumazione della salvezza? L'amore che è dono, frutto e comandamento nel percorrere la via insidiosa dell'amare per giungere alla dimora dove potremo finalmente "conoscere come siamo stati conosciuti". Sapevate che nella Bibbia il verbo conoscere è cordiale, affettivo e può significare amare con tutto il corpo, e tutta la mente e tutto il cuore?