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Il Cantico dei Cantici: il terzo canto

Chi è colei che viene dal deserto?
3,6 a 4,8

In questo studio considereremo tre poesie diverse che possiamo anche intitolare così: 3,6-11 chi è  colei che viene dal deserto; 4,1-7 tu sei bella amica mia; 4,8 vieni dal Libano o sposa mia. La nostra lettura analogica ci porta ora ad una parte fondamentale del testo, possiamo dire che l’esperienza del deserto è creatrice, poiché Dio ha creato Israele, il suo popolo, nel deserto. Il rimando alla bellezza è importante perché conviene domandarsi come mai una nazione peccatrice diventa bella agli occhi di Dio? In terzo luogo il riferimento al Libano, nella chiave di lettura storica allegorica ha un preciso significato, la voce dell’amato chiama Israele perché lasci le divinità pagane (che sono adorate nei monti del Libano) e ritorni al Signore.

3,6-11 chi è colei che viene dal deserto? Il deserto è l’esperienza fondante di Israele, il richiamo al deserto significa evocare la storia primordiale d’Israele che è diventato popolo di Dio nel Sinai, in mezzo al deserto. La domanda è alquanto pertinente, ce la poniamo in tre modi: il primo è il riferimento immediato alla ragazza sposa, il secondo fra riferimento alla relazione tra Dio e il suo popolo (Israele e la Chiesa), il terzo si riferisce alla realtà teologica significata dal rapporto e che rimanda all’azione divina di creazione e redenzione nell’ordine della salvezza. La ragazza sposa adesso in modo chiaro e concreto, rappresenta la nazione che viene incontro a Dio, rappresentato da Salomone, il cui nome significa uomo di pace (o che porta la pace). Si esce dal deserto per entrare a Gerusalemme proprio nel luogo dove Salomone ha edificato il Tempio che è la dimora dell’Altissimo. La ragazza è profumata di mirra e d’incenso e d’ogni aroma dei mercanti, se ricordiamo l’uso della mirra e dell’incenso e degli aromi nel culto a Dio, capiremo che la ragazza è circondata degli aromi liturgici, cioè rappresenta l’assemblea di Israele che rende culto a Dio e che è venuta dal deserto per istallarsi in Gerusalemme come qehal Yahvé. La parola lettiga ha suscitato un intenso dibattito tra gli esperti, è chiaro il riferimento al Tempio, costruito con cedro del Libano, ed oro ed argento e porpora. Salomone ha costruito il Tempio dove Israele incontra il suo Dio. Le colonne di fumo ricordano la presenza divina che precedeva Israele nel deserto, una colonna di fuoco la sera e una nube di fumo durante il giorno. Il fuoco e la nube erano perpetuamente presenti nel luogo Santo a significare la presenza (shekinah) di Dio che accompagna il suo popolo. Il significato di quelle immagini cultuali ora evocate era la promessa della perpetua presenza divina in mezzo al suo popolo. L’incontro tra il ragazzo e la ragazza sembra riprodurre il giorno delle nozze e sarebbe un’allegoria dell’incontro tra Dio e il suo popolo. Il giorno della gioia del suo cuore, fa riferimento al giorno delle nozze, quando gli sposi si sono incontrati e amati, questo evento rimanda all’incontro tra Dio e il suo popolo nel Tempio di Salomone. Ci sono due immagini teologiche che compaiono in questa poesia: la creazione e l’alleanza. Il matrimonio tra un uomo e una donna appartiene nel racconto della Genesi al proposito iniziale della creazione. Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina perché si unissero per diventare una sola carne. Questa parola carne, è molto importante in ebraico, e non significa evidentemente la carne nel senso greco (peccaminoso), ma creatura, perché l’unione dei due fa nascere una sola carne, cioè la discendenza perché Dio ha reso feconda quest’unione con la sua benedizione, i due diventano uno nel nascituro/a che perpetua il nome di entrambi ed è il frutto della benedizione divina che li rende fruttiferi. L’alleanza è invece evocata con l’immagine del deserto e del tabernacolo (la lettiga) che rimandano al Tempio, costruito secondo il modello del Tabernacolo o tenda dell’incontro del deserto. L’alleanza è una decisione divina di scegliere un popolo che fosse suo testimone dinanzi alle nazioni per il proposito di salvezza eterna che Egli avrebbe rivelato alla fine del tempo attraverso il Messia.

4,1-7 sei bella amica mia, da dove viene questa bellezza descritta in modo poetico partendo dalle diverse parti del corpo della ragazza? Notate le immagini: occhi – colombe, cappelli – gregge di capre sulla montagna (che è il suo corpo), denti – pecore feconde (non manca nemmeno uno), labbra – filo scarlatto, gote – melagrana, collo – torre, i suoi orecchini e collane – scudi appesi alla torre, mammelle – gemelli di gazzella, la descrizione sottolinea l’aspetto dell’imponenza, la bellezza senza macchia né difetto. La successione di metafore costruisce un’analogia perfetta. Il corpo della ragazza è bello, perfetto, senza difetto, cioè secondo la regola della purità è adatto al culto divino. La bellezza evocata significa che lei è degna di rendere culto a Dio, è pronta e preparata, è disposta e adornata con le qualità giuste per poter svolgere la funzione di popolo e unirsi nel culto al suo Dio. Non ci devono sfuggire due cose. La prima è che questa bellezza non è naturale o propria, anzi Israele è nazione peccatrice, come la chiesa è anche imperfetta e peccatrice. La bellezza dunque di cui si parla non è un attributo naturale del popolo che lasciato a se stesso è idolatra, imperfetto e abbrutito dal peccato. Soltanto una madre può vedere ancora qualcosa di bello in un figlio il cui comportamento nega ogni dignità umana alla madre stessa. La seconda è che questa bellezza è un dono che viene da Dio, è lo sguardo divino sulla chiesa che fa di essa una realtà o corpo bello e perfetto, senza macchia né ruga. Nell’immagine perfetta della chiesa come sposa dell’Agnello,descritta in Apocalisse, la bellezza della chiesa è una realtà escatologica, appartiene alla dimensione finale della storia, quando la chiesa già perfettamente purificata dal divino sposo andrà incontro al Signore nelle nubi del cielo (anche Apocalisse usa dunque l’immagine della nube come presenza divina). Lo sguardo divino anticipa e intuisce nel presente una bellezza che appartiene soltanto al futuro, che è imputata per grazia per mezzo della fede e non una realtà oggettiva appartenente alla chiesa. Questo dichiara la voce dell’amato che Tu sei bella amica mia, soltanto la fede della chiesa secondo Ebrei, la rende accetta agli occhi di Dio, Dio parla in questa sezione chiamando bella la sua sposa, e questa parola creatrice dà alla chiesa la sua vera bellezza che appartiene al dono divino e che si manifesterà soltanto l’ultimo giorno nell’intero suo splendore. Il “corpo” descritto come bello è in tutto il Nuovo Testamento il “corpo di Cristo” la chiesa, a cominciare dal capo che è Cristo stesso, e poi a tutte le sue membra esso è bello perché rivestito di Cristo nel battesimo e accolto per grazia nella pienezza della vita nuova a partecipare alla comunione con Dio uno e trino.

4,8 vieni fuori dal Libano sposa mia… Qui vediamo una chiamata a lasciare il Libano, questo potrebbe essere un riferimento all’abbandono delle pratiche pagane, i riti della fertilità che si compivano proprio nelle foreste di cedro sui monti libanesi. Dio chiama il suo popolo perché si converta e ritorni a Lui, questa chiamata alla conversione è una costante della storia di Israele e della chiesa che nella storia pure lei come prima Israele, ha abbandonato e compromesso la via del Vangelo. Lasciare il passato e tornare al Signore, il richiamo del Libano può essere inteso come l’inizio della fase del distacco, della ribellione che porterà all’assenza dell’amato che sarà cercato inutilmente di notte. Ma stiamo anticipando i tempi.