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Apocalisse (cap 4 e 5) 5

L’adorazione dell’Agnello
Apocalisse 5:7‑14
In questo brano appare un nuovo elemento liturgico importan­te, il canto nuovo. Il canto corale è una forma di adorazione della divinità conosciuta in tutte le religioni. Gli inni più antichi che cono­sciamo sumeri e egiziani, celebrano la potenza e la gloria degli esseri celesti. Questo riconoscimento aveva un doppio valore: esprimeva la sottomissione dell'adoratore perché riconoscere la divinità equivale a dichiarare la propria dipendenza. In secondo luogo, l'inno cantato aveva un valore propiziatorio perché accom­pagnava i riti di purificazione e i sacrifici espiatori. Gli antichi, inoltre, ritenevano che la poesia e la musica avessero un'origine divina. La combinazione di entrambe nell'inno indicavano la consapevolezza che l'unico strumento degno di comunicazione con la divinità era il risultato dell'incontro fra il linguaggio umano (poetico, musicale) e l'ispirazione della divinità. L'innologia ebraica ci è stata preservata nel libro dei Salmi. Il Salmo è una preghiera scritta in forma poetica, secondo le regole della poetica ebraica, alla quale viene assegnata una melodia musicale eseguita con diversi strumenti (archi, fiato e percussione). Il cristianesimo ereditò dall'ebraismo le forme e i modi dell'espressione liturgica e dell'adorazione. Come possiamo definire l'adorazione? Essa è il riconoscimento della sovranità divina e della sua maestà. Manifesta un sentimento di devozione, di gratitudine, di dipendenza, di fiducia. L'adorazione è dunque la forma in cui si esprime il sentimento religioso, perciò diven­ta non soltanto un elemento fra altri, ma un orientamento e un atteggiamento esistenziale che definisce l'intera esistenza. La vita del credente non è divisa in compartimenti stagni, il tempo non è diviso in periodi, tutta la vita e tutto il tempo, ogni attività e momento sono una resa della propria vita in adorazione e sacrificio vivente a Dio, in Cristo per mezzo dello Spirito. L'adorazione è dunque un sentimento primario, elementare e prima di trovare espressione in modi di dire, è un istinto e un impul­so, un'emozione del corpo, dell'anima e della mente. Perciò ogni tipo di linguaggio, corporeo (danza), artistico, o altro è legit­timo per esprimere il sentimento di adorazione. Fra i linguaggi dell'adorazione l'inno, che combina l'espressione poetica e la musica, ha occupato fin dall'inizio un luogo vitale nella liturgia del culto cristiano. Per questo motivo Giovanni inserisce nel suo Apocalisse diversi inni culti­ci. Per la prima volta troviamo in questo brano un inno cultuale di adorazione rivolto all'Agnello. L'adorazione di Cristo, nel contesto monoteistico della chiesa cristiana primitiva, non può avere un altro significato che quello di mostrare la coscienza presente nella chiesa primitiva della divinità di Gesù.

L'inno corale che inneggia all'Agnello ha una progressione. Inizia con le voci dei quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani che cantano “prostrati dinanzi all'Agnello” (in atteggia­mento di adorazione). Questa è la prima fase dell'adorazione celeste di Cristo, vi è un primo cerchio dell'adorazione in cielo che rappresenta l’intero cosmo che deve partecipare a questa adorazione del Cristo. La seconda fase vede coinvolti tutti gli angeli (le schiere dell'esercito celeste), milioni e milioni di voci in cielo. La terza fase vede coinvolte tutte le creature in cielo, terra e mare. In un crescendo continuo l'intero creato adora l'Agnello attraverso il canto liturgico. Del coro che adora  è parte  l'intero universo, lo inizia in cielo una piccola parte, si aggiunge un'altra più grande in cielo, e si conclude con un crescendo senza paralleli dove tutti insieme adorano l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. L'adorazione della chiesa ripette questo inno che del continuo viene da ogni particella del creato, da ogni creatura. Dovremmo fermarci di più e considerare la meravi­glia della creazione e come la sua armonia raccolga in sé un canto di lode che inneggia al Creatore, al Cristo e allo Spirito che conserva la vita. Noi siamo chiamati ad unire le nostre voci rotte dalla stanchezza, smarrite, senza persistenza perché invo­chino insieme a tutto ciò che esiste la grazia di Dio che salva in Cristo. Perché nessuna voce adori e inneggi al male, alla distruzione. Mancherà qualcosa alla redenzione del mondo mentre una sola voce dissonante inneggi alla creatura e non al Creatore. L'inno parte dall'opera redentrice dell'Agnello che ha raccolto la sfida dell'Angelo potente, ha presso in mano il rottolo e ora si dispone ad aprirlo. Il pianto simbolico del veggente diventa gioia, le creature riconoscono finalmente colui che “è venuto” ed è “degno di aprire il Libro”. La gioia del canto ci stringe la gola, adesso il mistero sarà rivelato, il piano divino potrà essere messo in atto. Il paladino, colui che “è fra Dio e noi”, il crocifisso, ha sostituito l'urlo lacrimoso dell'impotenza, il silenzio di Dio, con una decisione di conseguenze eterne e con coraggio tenero ha saputo morire per amore, dando la sua vita per noi senza condizioni.

“Tutti avevano delle arpe e delle coppe d'incenso che sono le preghiere dei credenti...” L'arpa è nell'AT un simbolo della lode come espressione di adorazione. Le coppe d'oro che contengo­no l'incenso, che sono preghiere, hanno un'importanza fondamenta­le nell’Apocalisse. Tutte le preghiere rivolte a Dio si adempiono in quel momento della presa del libro da parte dell'Agnello. Tutte le preghiere diventano una sola preghiera che dice: “Venga il tuo Regno” finalmente il tempo è arrivato e il Regno di Dio "viene". L'incenso è un elemento utilizzato nel culto del tempio di Gerusalemme. Le offerte di profumo svolgevano un ruolo impor­tante nella liturgia ebraica. Erano utilizzate in contesti di purificazione rituale con un valore simbolico evidente (non è il caso di insistere su questo punto). Nessuna preghiera rivolta a Dio andrà persa, la risposta alla preghiera del credente è sempre la stessa: “non la mia volontà sia fatta, ma la tua volontà”. Nel contesto riformato è avvenuto un fenomeno di impoverimento delle forme della preghiera. Noi conosciamo quattro "tipi" fondamentali di preghiera: la preghiera di lode, la preghiera di ringraziamen­to, la preghiera di confessione, la preghiera di petizione. Dato che i primi tre tipi di preghiera hanno un contesto quasi esclu­sivamente cultuale, la preghiera di petizione è diventata “la preghiera”, fino al punto che ad esempio in italiano preghiera è sinonimo di "richiesta". La preghiera cristiana, in realtà è una sola: “Venga il tuo Regno e sia fatta la tua volontà”. Perché in un mondo dove la volontà di Dio sarà fatta da TUTTI ci sarà ormai il Regno fra noi. Poi, questa unica preghiera può prendere molte­plici forme di espressione. Ogni qualvolta esprimiamo il deside­rio che la realtà cambi perché si conformi alla realtà voluta da Dio,  ogniqualvolta che con il nostro operare facciamo la volontà divina sulla terra, sale fino al cielo la preghiera che diventa incenso conservata in una coppa di oro perché non sia dimenti­cata, persa, perché giunga a Dio perché sia esaudita. Tutte le preghiere dei credente vengono accolte, trovano risposta nell'opera salvi­fica di Cristo, lì si realizza ed esaudisce “la preghiera della chiesa”.

L'inno comincia con le stesse parole del canto al Creatore del capitolo 4: “Tu sei degno”. Questo accostamento significa due cose: l'Agnello condivide la "dignità" di Dio e l'adorazione della chiesa e del creato. Entrambe le cose hanno una conseguenza immediata, dato che l'adorazione è collegata nel monoteismo esclusivamente a Dio, Cristo condivide l'essere divino con il Padre. Si tratta di un “canto nuovo”. Nei Salmi (33:3) il canto nuovo è collegato a una manifestazione della misericordia divina; in Isaia 42:9‑10, il canto nuovo è la lode che suscita la nuova creazione di Dio. La misericordia graziosa e la creazione sono "due opere divine". Cristo è presentato dunque come colui che esegue le opere di Dio. L'opera di Cristo in Apocalisse viene qualificata da un aggettivo kainós. Significa qualcosa che non era mai stata vista prima. La sua opera porta all'esistenza nel nostro mondo e nella vita qualcosa che sostituisce il vecchio e che è completamente nuova e diversa di tutto quello che prima conoscevamo. Due sono le opere di Cristo descritte in v.9: “Tu sei morto” e “con il tuo sangue ci hai redento” persone di ogni tribù, lingua e nazione.

E' paradossale che il kainós di Cristo inizi con la sua morte sacrificale. E' così che il NT ha definito il senso e la direzione della “morte una volta per sempre” (ephapax) di Cristo. La sua morte aveva un proposito e una fine, non fu dunque un incidente, una sventura. Formava parte del proposito divino: una vita "per" la vita di tutto il creato, la vita di Dio "immolata" per le creature. La morte di Cristo non deve associarsi all'ira divina provocata dal peccato umano, ma alla libertà della creazione e degli umani. Già nel Vangelo di Marco la morte di Cristo è interpretata come “un riscatto”. Il riscatto era il prezzo della libertà dello schiavo o del prigioniero di guerra. La parola redenzione è un sinonimo di "riscatto". Si tratta della redenzio­ne dal peccato, dalla legge, dalla vanità e non senso del vivere verso la morte. Il NT non ha una dottrina “unica e ortodossa” che interpreti univocamente il significato sacrificale della morte, i suoi effetti. Usa dei simboli per parlare di ciò che attraverso la morte di Cristo è avvenuto, del nuovo, la realtà nuova che inizia con quella morte. Il Regno di Dio inizia con una morte e prosegue con una risurrezio­ne. Tutto il creato e tutta l'umanità è coinvolta nel riscatto. Non si tratta più di una sola nazione, Israele, o di un suolo essere creato, Adam, l'umanità, ma di tutto e di tutti. Questa morte di Dio è una morte "per tutti". L'impegno della chiesa è proclamare l'apertura del nuovo che inizia con questa morte: siamo entrati nel tempo del giubileo, del riscatto, della redenzione, la schiera dei liberati, di quelli i cui debiti sono stati can­cellati non può contarsi. Si dice che ci ha fatto: “re e sacerdo­ti che regnano (o regneranno secondo altre varianti) sulla terra”. Non si tratta di un Regno materiale o politico, di Re alla maniera dei popoli, né di sacerdoti secondo le antiche usanze. Tutto è “nuovo e diverso”. Siamo Re, Sacerdote e Regniamo sulla terra secondo la maniera di Cristo. Il Trionfo è la morte a sé stessi, al mondo e al peccato, al desiderio di possedere, alla vio­lenza, alla dominazione.

Nell'inno degli angeli (vv.11‑12) abbiamo l'enumerazione di ciò che Cristo "possiede" in virtù della sua morte e dignità divina. All'Agnello appartengono, secondo il canto di questo secondo cerchio di adoratori celesti:

‑ La Potenza che non risiede nella forza della coercizione; è la potenza della vita e della creazione; è la potenza della parola creatrice.

- La Ricchezza di Cristo proviene dalla sua povertà “essendo ricco diventò povero” 2 Cor 8:9; la ricchezza di Cristo e la nostra povertà si incontrano; noi siamo impotenti egli è potente, noi siamo poveri egli è ricco di grazia e di amore.

‑ La Sapienza, perché Cristo è la sapienza nascosta di Dio, egli conosce e porta a termine il piano divino di Dio per la redenzione del mondo.

‑ La Forza che è l'energia dell'amore, l'incredibile, inar­restabile forza dell'agape che vince il male, la resistenza, l'opposizione, sulla croce l'energia più potente dell'Universo è stata liberata per salvare ognuno di noi.

‑ L'Onore, la Gloria e la Lode (Adorazione), tutto questo possiede Cristo in quanto Dio e in quanto uomo, e noi, cosa possediamo noi oltre la nostra impotenza, la nostra notte senza alba, la nostra morte alle spalle? Cosa possiede l'essere umano? Nel poema cantato nell’Apocalisse notiamo un’ironia sotti­le. Il canto delle quattro creature viventi, dei ventiquattro anziani e della schiera degli angeli (milioni di milioni) ricono­sce, adora, onora, il Cristo di Dio. E fra gli esseri umani, cosa accade? Gli uomini adorano Cesare, un uomo rappresentato da una statua di marmo, l'Imperatore che si crede figlio di Zeus, un uomo che muore. E' curioso il quadro che ha dinanzi a sé Giovanni, il Veg­gente. Tutte le creature celesti sono impegnate nella celebrazio­ne dell'Agnello. Ma che cosa succede sulla terra?

Nei vv. 13‑14 troviamo il terzo cerchio che allarga l'adora­zione celeste a tutte le creature dell'Universo (che sono in cielo, sulla terra, sotto la terra e nel mare) che si uniscono nell'inno dell'adorazione all'Agnello. Tutto e tutti riconoscono Dio Creatore e il suo Agnello e l'adorano. Tranne una creatura, quella creata l’ultimo giorno con la prima cosa che si trovò alla mano, l'argilla fresca, il fango rosso dell'altipiano palestinese. L'essere umano adora sé stesso trasformato in statua imperiale, o le sue opere come la grande città  di Roma. E' sconcertante questo dato. C'è una sola creatura che può decidere, scegliere se adora­re Dio o se stesso. La funzione della Chiesa è urgente è necessa­ria, deve comunicare a tutti gli esseri umani il "nuovo" tempo della salvezza, del riscatto e della redenzione in Cristo. Non c'è tempo da perdere occorre perseguire questo annuncio universale finché raggiungerà ogni persona e ogni luogo, ogni tempo, ogni storia umana. Perché Dio vuole che non si perda nessuno e che tutti siano presenti quando il suo Regno verrà finalmente in modo definitivo e perfetto.