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PROTESTANTI E CATTOLICI 5: Mediazione liturgica e sacramentale

La differenza fondamentale fra la comprensione cattolica e la comprensione protestante consiste dunque nell'ecclesiocentrismo della chiesa cattolica. Si può dire che praticamente tutto quello che la chiesa cattolica afferma di se stessa viene affermato dalle chiese riformate riguardo la Parola che è il Cristo, il Verbo incarnato. Noi riteniamo che l'ecclesiocentrismo della chiesa cattolica tenda a soppiantare il ruolo di Cristo e dello Spirito Santo nella chie­sa, e che renda immanente l'opera trascendente di Dio Uno e Trino; confonde la chiesa che è solo strumento del Regno con il fine ultimo; annulla di fatto il sacerdozio universale dei credenti. Le chiese rifor­mate non credono di essere l'unica chiesa in possesso della pienezza dei mezzi di grazia e di santificazione. Chiediamo alla chiesa cattolica di avere una visione di sé stessa più teologica e meno giuridicista, più biblica e meno dogmatica. Nell'amore che ci unisce tutti in Cristo chiediamo alla chiesa cattolica di modificare il suo ecclesiocentrismo. Questo sarebbe un contributo fondamentale per fare dei progressi sostanziali nel cammino dell'unità dei cristiani.

L’esempio più evidente per noi di questa tendenza si vede nella teoria generale sacramentale a cui abbiamo già fatto cenno la settimana scorsa: la grazia divina ci è mediata necessariamente e insostituibilmente dalla chiesa attraverso un ministero valido e una cerimonia liturgica approvata dalla chiesa, la doppia mediazione personale del sacerdote e per actum della cerimonia stessa (che deve svolgersi secondo l’ordinamento liturgico della chiesa), esclude per assurdo che Dio stesso possa aggraziare gli esseri umani  direttamente in modo pieno e usando la pienezza dei mezzi della grazia, Dio a sua volta limita la sua grazia alla mediazione della chiesa, all’infuori di questa mediazione si hanno soltanto elementi di santificazione parziale, ma non la pienezza dei mezzi della grazia. Se la mediazione esclude la possibilità dell’acceso alla grazia nella direzione Uomo verso Dio, è evidente che lo stesso si può dire nella direzione Dio verso uomo. Se la mediazione sacramentale e liturgica per la santificazione dipendono dal soggetto che compie un atto liturgico secondo le leggi della chiesa, e se questo atto per essere valido esclude pure la fede dell’individuo coinvolto, poiché avviene ex opera operato, si segue che pure Dio avrà bisogno di qualcuno, il sacerdote che compia l’atto liturgico secondo le norme approvate dalla chiesa per poter compiere la santificazione concreta dell’individuo o per applicare i benefici della messa. Questa conseguenza della dottrina delle mediazioni necessarie anche a Dio, non è tenuta nella dovuta considerazione dal sistema cattolico, ma è un’obiezione potente perché significa in pratica la scomparsa della libertà trascendente di Dio, vale a dire il dogma cattolico ritiene che Dio abbia rinunciato alla sua libertà e trascendenza conferendo alla chiesa la esclusiva dell’amministrazione della santificazione. Dio stesso è obbligato a concedere la grazia e la santificazione se un sacerdote compie per qualcuno o una assemblea un atto liturgico approvato dalla chiesa, non può non accordare la sua grazia.
Questa dottrina delle mediazioni obbligatorie della grazia santificante divina, ci offre l'immagine controriformista dell'esaltazio­ne della chiesa trionfante, insieme ad alcuni degli aspetti della comprensione teocratica medioevale della chiesa: la chiesa sareb­be una società visibile, con una struttura gerarchica che ha il potere di governare, santificare e insegnare.29 La chiesa cattolica persiste nella sua pretesa di essere "l'unica chiesa" che possie­de e insegna l'intera verità cristiana, mentre le altre chiese insegnano e possiedono soltanto alcuni o molti elementi parziali di verità e di santità; sarebbe l'unica che l'insegna infallibil­mente,30  che non può errare (sull’infallibilità ritorneremo la settimana prossima).31  Tutti questi aspetti presentano la chiesa quasi come una statua perfetta in marmo baroc­co", come se rasentasse la perfezione escatologica. La chiesa così intesa rappresenta il Regno escatologico, la realtà ultima. Invece la chiesa è pellegrina, è realtà che appartiene alle cose penultime, è insieme una chiesa di peccatori e di santi, non si può perdere questa prospettiva ambigua, altrimenti non abbiamo una chiesa, ma il Regno di Dio in terra. La mediazione tra Dio e gli esseri umani è questione invece del Cristo che non si confonde con la chiesa, egli è il suo capo, la chiesa è il suo corpo ma lo è conservando il suo essere chiesa, comunione di essere umani con la realtà divina attraverso la mediazione unica del uomo-dio, Gesù Cristo. La salvaguardia della distinzione Chiesa Cristo è imprescindibile proprio per quello che la chiesa cattolica vuole preservare, l’oggettività della fede e la garanzia del collegamento storico al Cristo. La fede in Lui come mediatore è l’unica salvaguardia di questo insieme con la necessaria preservazione della trascendenza divina.
Il problema del soggettivismo cattolico diventa in questo punto evidente come notava per esempio Schaff, perché la sua ecclesiologia è semplicemente autoreferenziale, confonde trascendenza  e immanenza, nega di fatto la libertà e la sovranità della grazia divina. Si tratta di una chiesa che con­fonde il suo ruolo di strumento del Regno considerandosi fine del Regno e realtà ultima, che si crede oggetto di fede e di culto dulico essa stessa, di amore e di passione esaltata che raffigura la madre, la maestra ma anche il potere e l'autorità che non può essere contrastato né disubbidito.  Questa combinazione di imma­gini ha una forza di cementificazione molto forte, annulla le individualità, dà un potere oltre ogni limite umano a chi la governa poiché il potere esercitato trae la sua origine da Dio stesso, crea una dipendenza psicologica e sociologica tanto potente da essere conosciuta in profondità soltanto da quelli che l'hanno esperimentata soggettivamente come individui e oggettiva­mente come appartenenti a una società dove il cattolicesimo sia radicato al punto di fondersi o confondersi con la stessa socie­tà. In modo sincero e benevolente la maggioranza dei vescovi cattolici e i papi, hanno esercitato questo potere fondato su metafore e costruzioni dogmatiche con parsimonia e saggezza. Ma non c'è dubbio che il pericolo d'un uso arbitrario del potere si cela all'interno della chiesa cattolica e ha mietuto troppe vittime nel passato e nel presente. E' ora di rivendicare un modo diverso di parlare di se stessa, di concepire e di pensare se stessa, se si vuole sinceramente fare qualche passo in avanti sulla strada dell'ecumenismo per l'unità dei cristiani divisi. L'ecclesiologia va insomma costruita dogmaticamente in modo diverso e la chiesa cattolica deve rinnovare e modificare il suo ecclesiocentrismo che ha più a che vedere con le determinazioni giuridiche che con la scrittura, la storia o la teologia.
Una chiesa così intesa tende a sostituire, nella concezione protestante, la sovranità di Cristo sulla chiesa.  Per questo la tendenza della Riforma è stata sempre il sottolineare la distinzione fra chiesa e parola, e fra Cristo ‑ Parola di Dio, e le parole autorevoli di Dio su Cristo, contenute nella Sacra Scrittura.  Da qui il rifiuto dell'infallibilità della chiesa, che è sempre sotto accusa e sospetto di volere occupare il posto della Parola, l'unica infallibile, per sottrarsi alla sua sovra­nità: ed espandere qua e là, secondo il piacere degli uomini, il potere ecclesiastico ... fuori dai limiti stabiliti dalla Parola di Dio.