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La silenziosa provvidenza di Dio

Testo: Ruth 1,1-22

I nostri album di famiglia di solito vengono conservati in delle scatole all’interno di qualche mobile. Di tanto in tanto ci piace sfogliarli, soprattutto oggigiorno, quando il supporto cartaceo è stato superato da quello digitale. Ogni volta che prendiamo in mano uno di questi vecchi album, iniziamo a rivivere ricordi della nostra giovinezza o della nostra famiglia; le immagini ci aiutano a mantenere viva la storia. La Bibbia è un po’ come questi album, sfogliandola, troviamo alcune pagine che ricordano ad esempio la storia di un amore fedele: la storia di Ruth. Una storia sì, del passato, che continua ancora ad insegnarci qualcosa. Ruth, nel panorama dei personaggi biblici, non è annoverata tra quelli più famosi dell’Antico Testamento, ma proprio per il suo stile di vita, oggi ci viene offerta la possibilità di conoscerla meglio, e di scoprire la più bella e breve storia mai scritta. Si tratta di un resoconto di ansia, paura, amore, pazienza,  impegno, umiltà e fedeltà; un libro che si apre  con la disperazione e si conclude con la gioia.

Il libro di Ruth quindi è una semplice storia d’amore? No assolutamente! La storia di Ruth e degli altri personaggi del libro hanno qualcosa da insegnare anche a noi oggi! Ruth è stata un antenata di Gesù e nell’Antico Testamento troviamo altre due Sue antenate: Tamar e Rahab. Sicuramente anche quest’ultime hanno avuto cose interessanti da raccontare sulle loro vite, ma non hanno ottenuto un libro. Ruth ottiene un libro, perché? A me piace pensare che Dio ne fu impressionato. Dio fu impressionato dalla sua dedizione al lavoro duro, dalla sua umiltà, dal cuore servile, dalla sua fedeltà. Il libro di Ruth è più di un romanzo rosa. L’esperienza di Ruth, come modello di vita e di apprendimento, viene tramandata di generazione in generazione, arrivando sino ai giorni nostri, donandoci degli insegnamenti.

Fratelli, sorelle! La vita è una passeggiata? La vita non è sempre una passeggiata. Tutti, prima o poi, passiamo dei momenti difficili e a volte, dolorosi. Talvolta sembra proprio che la vita ci remi contro, vero? Sono quei momenti in cui sembra che piova sul bagnato con i problemi che si accumulano l’uno sull’altro dandoci la sensazione che non ci sia una via d’uscita. Naomi, si è trovata proprio in una situazione di questo tipo. Naomi e suo marito Elimelec erano Israeliti della piccola cittadina di Betlemme in Giuda. Essi vissero durante il periodo dei giudici, un periodo della storia d’Israele caratterizzato da instabilità sia dal punto di vista spirituale, sia dal punto di vista politico. A causa del declino spirituale del popolo, durante quel periodo Dio lasciò molto spesso che Israele fosse in balìa dei popoli circostanti e si trovasse in miseria. 

A causa di un periodo di carestia, essi presero la decisione di recarsi in Moab, una scelta che può destare delle perplessità, se consideriamo che Moab era uno dei nemici storici di Israele. C’è una sottile e amara ironia nel racconto se consideriamo che la parola “Betlemme”, che in ebraico significa letteralmente “casa del pane”. Naomi e suo marito lasciarono infatti la “casa del pane” e la terra di Israele per andare a cercare “pane” altrove, in un paese straniero e idolatra. 

Naomi non poteva immaginare che in Moab, pochi anni dopo, invece della sicurezza economica avrebbe incontrato una vita molto dolorosa. Infatti la sua condizione di vedova, dopo la morte del marito, fu certamente più difficile in un paese straniero senza il conforto dei propri parenti. Grazie a Dio le erano rimasti due figli maschi che potevano provvedere al sostentamento della famiglia ma, trovandosi in Moab, essi finirono per sposare delle moabite.  Ma Naomi non aveva ancora toccato il fondo. Le cose andarono di male in peggio. Infatti nel giro di dieci anni anche i suoi due figli, Malon e Chilion, morirono. Così Naomi si trovò improvvisamente in un paese straniero a piangere il marito e i suoi due figli, con la sola compagnia delle due nuore moabite. Come pensate che si sentisse questa donna? Non è difficile comprendere quanto potesse essere disperata. Lei non vedeva alcun futuro per la sua famiglia, pensava che Dio si fosse accanito contro di lei. Potete immaginare una stato d’animo peggiore? Nonostante un inizio così tragico, il libro di Ruth nei capitoli successivi si mostrerà molto incoraggiante. Infatti, leggendo questo libro vedremo proprio il modo in cui Dio intervenne nella vita di Naomi, il modo in cui utilizzò le persone intorno a lei per trasformare un futuro senza speranza in un futuro radioso. Il libro di Ruth a questo punto della narrazione (vv. 1-5)  ci da un primo insegnamento: quando la vita dovesse remarci contro, quando ci dovessimo trovare ad avere uno stato d’animo simile a quello di Naomi, ricordiamoci che il Dio creatore dei cieli e della terra può far nascere un fiore anche dove sembrano esserci solo rovine.

Ritornando al nostro racconto (vv. 6-14): Naomi avendo sentito che nel suo paese natio la carestia era finita, pensò che la cosa migliore fosse quella di tornare in Giuda, a Betlemme. Rimaneva soltanto un problema: come sistemare le sue due nuore moabite. Secondo la legge che Dio aveva dato ad Israele, se una donna fosse rimasta vedova e senza figli, avrebbe potuto avvalersi dell’opportunità di divenire sposa di un fratello del defunto in modo che il primogenito nato dalla nuova unione portasse il nome del fratello defunto e il nome della famiglia non fosse estinto in Israele. Ma come sappiamo Naomi non aveva altri figli da dare alle sue nuore ed ormai era troppo vecchia per risposarsi ed avere figli, quindi quella possibilità era da escludersi. Naomi immaginava che in Giuda nessuno si sarebbe occupato di loro, e quindi si domandava come sarebbero sopravvissute. Nessun giudeo si sarebbe preso quelle moabite come mogli ed esse avrebbero vissuto di elemosina. Insomma, Naomi avrebbe avuto già i suoi problemi nel ritornare in Giuda e quelle due giovani moabite potevano essere un ulteriore peso per lei. La soluzione più logica sembrava quella di separarsi da loro affinché si rifacessero una vita e una famiglia tra i loro connazionali in Moab. Nei dialoghi di Naomi con Ruth e Orpa percepiamo una totale assenza di speranza e fiducia. Ella vedeva solo nero, vedeva solo un bicchiere quasi vuoto e non riusciva ad immaginare alcun futuro possibile per lei e le sue nuore in Israele. Naomi era triste perché si sentiva giudicata da Dio, sentiva che Dio si era accanito contro di lei: “Io ho tristezza molto più di voi, perché la mano del SIGNORE si è stesa contro di me” (v. 13); si sentiva quindi il bersaglio principale di Dio in quella situazione.

Da una parte Naomi credeva che Dio era potente e poteva benedire le sue nuore: “il SIGNORE sia buono con voi, come voi siete state con quelli che sono morti, e con me! Il SIGNORE dia a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito!”(v. 8). D’altra parte ella sembrava non avere alcuna speranza che tale benedizione potesse giungere alle sue nuore se fossero restate con lei. In qualche modo è come se Naomi pensasse che, dal momento che lei era quella presa di mira da Dio, le sue nuore non avrebbero avuto futuro restando al suo fianco. Il pessimismo e le argomentazioni di Naomi convinsero Orpa a tornare in Moab. Forse la prospettiva di non sposarsi più,  povera, vedova e senza figli, dovette sembrarle un prezzo troppo alto da pagare. Anche Ruth avrebbe potuto fare la stessa scelta ma, se così fosse stato, questa storia sarebbe finita qui, anzi questo libro della bibbia non esisterebbe affatto! 

Era forse un caso che, contro ogni logica, la moabita Ruth stava scegliendo di affrontare una vita difficile e piena di incognite per stare con Naomi? Dio sarebbe rimasto indifferente al coraggio di quella giovane moabita? Dio infatti stava operando in silenzio nella vita di Naomi, la quale, concentrata sul suo dolore, le impediva di vedere la mano di Dio all’opera. Ruth da essere considerata un peso per la suocera, Dio la utilizza per benedire la vita di Naomi in una maniera straordinaria. Non è così anche per noi? Talvolta siamo così concentrati sui nostri problemi che consideriamo negativi anche quei segnali che Dio mette sul nostro cammino. Talvolta, come Naomi, vediamo il bicchiere quasi vuoto e non nutriamo alcuna speranza per il nostro futuro. Talvolta potrebbe persino sembrarci che Dio stia stendendo la sua mano contro di noi. Ecco che il libro di Ruth ci dona un secondo insegnamento: se guardassimo quel bicchiere dal punto di vista di Dio, potremmo accorgerci che egli non è nostro nemico ma ha già cominciato a riempire di nuovo quel bicchiere. Può sembrare pazzesco, ma dal punto di vista di Dio, come stava accadendo per Naomi, quel bicchiere potrebbe essere già mezzo pieno. 

Ruth dunque decide di seguire Naomi a Betlemme, restando con lei ovunque e rinunciando al proprio popolo per appartenere a quello giudaico. Avrebbe lasciato i suoi idoli per riporre la sua fede nello stesso Dio di Naomi. Sarebbe stata per la suocera la sua famiglia, rimanendole fedele persino fino alla morte. Ruth era talmente convinta che chiamò Dio come testimone e invocò una punizione su di sé se non si fosse attenuta all’impegno preso (v. 17). L’atteggiamento di Ruth ci fa riflettere, le sue parole sono davvero commoventi perché non sono un semplice enunciato teologico con il quale diceva di volersi legare al Dio di Naomi ma sono parole che dimostrano una trasformazione interiore. Questa sua confessione può sembrarci davvero fuori luogo, visto che Naomi, nella sua sofferenza, aveva tentato in tutti i modi di allontanarla. Ma quante volte anche noi, nel dolore, parliamo e agiamo con leggerezza come fece Naomi? Ruth superò le parole e l’agire di Naomi decidendo di ascoltare la voce di Dio che le indicava il modo più giusto per aiutarla. Ruth le mostrò l’amore di Dio non a parole ma nella pratica. Dio stava operando nella vita di Naomi in maniera silenziosa e non attraverso un miracolo eclatante; l’amore e la fedeltà di Ruth sarebbero statoùi il miracolo eclatante. 

Tante volte Dio agisce proprio in questo modo, manifestandosi a coloro che soffrono proprio attraverso altri esseri umani che si lasciano utilizzare come strumenti nelle sue mani. Naomi non capiva ancora e non apprezzava abbastanza quel dono di Dio, ma in seguito avrebbe compreso quale tesoro Le aveva messo a fianco. Questo vale per noi ancora oggi; ricordiamoci che quando aiutiamo o cerchiamo di aiutare il nostro prossimo, non servono tante parole ma è necessaria la nostra presenza accanto a lui o a lei. Ecco, un altro insegnamento si aggiunge alla lista: Quando siamo nella sofferenza, non abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci ricordi che Dio ci ama ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci mostri nella pratica l’amore di Dio per noi, qualcuno che rimanga al nostro fianco e ci aiuti a portare il nostro peso. Questo è ciò che Ruth fece nei confronti di Naomi. Questo è quello che siamo chiamati anche noi oggi a fare. Siamo chiamati ad essere dei cristiani di azione e meno proselitistici. Quanto abbiamo da imparare da quella giovane moabita! 

 

Fratelli, sorelle, per concludere: quando tutto va a rotoli, non è facile affrontare la vita in maniera serena e vedere le cose con una prospettiva equilibrata. È facile essere severi con chi, trovandosi nel dolore, sembra vacillare nella sua fede; quanti di noi, trovandosi al posto di Naomi, si sarebbero lamentati nello stesso modo gridando: “Dio, perché mi fai questo? Perché proprio a me?” Potrebbero esserci momenti bui anche nella nostra vita, momenti in cui anche noi potremmo essere tentati di dire “chiamatemi Mara perché non c’è più spazio per la gioia nella mia vita”. Preghiamo il Signore affinché in quei momenti Dio ci aiuti a non rimanere concentrati su ciò che è venuto meno ma su ciò che egli ci ha dato e confidare che Dio provvederà a donarci le forze e le persone per affrontare le avversità della vita. Forse, guardandoci intorno, riusciremo a scorgere la Ruth che Dio ci ha messo al fianco per rendere il nostro cammino meno amaro.