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Conformati o trasformati

Testo: Romani 12, 1-8

Un esperimento ormai classico condotto nel 1956 chiamato l’esperimento di Ash, sul conformismo dimostra che abbiamo la tendenza a fare le scelte della maggioranza. Certe volte perché pensiamo che se tutti la pensano diversamente da noi, ci deve essere qualcosa di sbagliato in noi stessi. Altre volte, perché non vogliamo portare il peso della nostra diversità. Temiamo di essere emarginati o di non essere compresi, e perciò assecondiamo quello che dice la maggioranza non per umiltà, ma per vigliaccheria.
L'esperimento dimostra anche che, se rispetto alla opinione della maggioranza, c'è qualcuno che ha il coraggio di dissentire, per il solo fatto che lo faccia, rende più possibile anche ad altri la possibilità di una opinione propria
Inutile dire che questa tendenza al conformismo viene sfruttata per fini commerciali. Il bambino che si rifiuta di andare a scuola se non ha lo stesso zainetto firmato dei compagni, agisce sulla base dello stesso principio di conformismo, per il quale i suoi genitori si vestono alla moda, comprano il  cellulare di ultima generazione, consumano gli stessi cibi ecc.
I regimi totalitari sanno benissimo che basta un piccolo dissenso rispetto alle idee del regime a creare spazio per altri dissensi. Ed è questa la ragione per cui non tollerano altro che il pensiero unico.
La società moderna usa strumenti potentissimi per costringerci a comportamenti conformisti. La pubblicità, ad esempio, ci induce a consumare dei prodotti anche proponendo modelli a cui conformarci. Il Mulino Bianco promuove i biscotti sfruttando e promuovendo una certa idea di famiglia. E un profumo da uomo vende non solo un odore, ma il successo maschile.
Chi di noi può veramente dire di potersi sottrarre a tutto ciò?
Forse nessuno, indipendentemente dal fatto che sia disposto ad ammetterlo oppure no. E allora l’invito a non conformarci al mondo è una richiesta irrealistica?
Alcune persone che desiderano prendere sul serio la parola, si sforzano di seguire regole religiose molto rigide, applicando quanto affermato nella Bibbia in materia di etica. E spesso non si riesce e si vive la fede accompagnati da un continuo senso di colpa o si finge. In generale chi si propone di resistere sempre e comunque al conformismo, diventa una persone triste, solitaria, spesso rancorosa verso tutto il mondo.
Ci sono comunità religiose settarie, che si configurano come fortemente anticonformiste rispetto alla società, ma a prezzo di un altro conformismo interno alla setta che non tollera diversità di opinioni e che applica la disciplina in maniera implacabile.
Credo che il nostro testo ci indichi due strade per resistere al conformismo del mondo.
La prima è cristologica e la secondo è comunitaria.


La via cristologica. In 2 Corinzi 3, 18 è scritto: " E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione del Signore, che è lo Spirito". La via suggerita non è quella etica. Noi ci specchieremo in Cristo ritrovando in Cristo la nostra umanità. Ma come si fa?
Prima di ogni azione etica, quello che conta è la nostra relazione col Signore. Si tratta di incontralo ogni giorno di nuovo nei racconti evangelici, di contemplarlo nella meditazione, di raccontargli le nostre pene e per conoscere la sua libertà. Si tratta di vivere in comunione con lui.
Ecco come si diviene anticonformisti. Non facendo i bastian contrari, non mediante un rigido e settario sistema di norme religiose ed etiche, ma acquisendo la "mente di Cristo" (1 Corinzi 2,16). Come?
Rimanendo ben collegati con la comunità di fede. Questa è la officina della "trasformazione", questo è il luogo in cui nella Scrittura, come nella Parola predicata e condivisa, troviamo lo specchio della immagine di Cristo. Non ci sopravvalutiamo: non ci basterà essere delle brave persone a casa nostra. Non possiamo portarci a casa lo specchio. La chiesa è importante. E' importante esserci la domenica. E' importante leggere e studiare le Scritture con altri fratelli e sorelle. Non può bastare scaricarsi un buon sermone in podcast.
La comunità è il luogo in cui specchiamo la nostra umanità in quella dei nostri fratelli e insieme in quella di Cristo. Nella vita comunitaria incontriamo il fratello e la sorella peccatore-perdonato. Fuori dalla chiesa finiamo per odiare/giudicare l'umanità e sentirci i soli giusti.
Le ragioni legate ai nostri impegni di lavoro, alle distanze, alla gestioni dei tempi tra lavoro e famiglia rendono molto difficile combinare tutto ciò con una partecipazione regolare. Però possiamo fare di più. La domenica, non consideriamo il venire in chiesa una opzione tra le altre. Essere qui è un debito con noi stessi, con la nostra umanità, prima che con Dio. Si tratta di offrire un sacrificio vivente coi nostri corpi...


La seconda è la via ecclesiastica, o comunitaria. Nella seconda parte, il nostro testo riprende in una maniera diversa la stessa metafora delle membra e del corpo che Paolo ha usato in 1 Corinzi 12.
Questa metafora, evidentemente, non era una immagine qualsiasi. Ma in essa si rivela qualcosa di sostanziale circa la vita comunitaria. L'immagine è quella della diversità riconciliata.
Membra diverse che non entrano in competizione le une contro le altre, ma in un serrato dialogo.
Si riesce a non conformarsi al secolo presente, non mediante un inflessibile sistema di dottrine e di comportamenti, ma mediante il metodo dialogico e dialettico. La opinione del fratello, anche quando è di dissenso rispetto alla mia, anche quando riguarda una diversa interpretazione biblica, non è una minaccia alla mia fede, ma un contributo ad una fede più matura, capace di rinnovare la mente e non di atrofizzarla.
Non vado allo studio biblico per essere confermato nelle mie certezze, (benché non è male che questo accada qualche volta), ma per essere edificato nella fede, che comprende il compito di decostruire ogni volta, prima di ricostruire.
Solo chi vive questo rinnovamento della mente, chi esercita la propria mente ad andare oltre il pensiero ovvio, o quello della maggioranza, può opporsi alla propaganda, ed essere capace di distinguere il conformismo convenzionale a cui possiamo accettare di stare, da quello ideologico ed escludente al quale siamo chiamati ad opporci.
Non si può e non si deve essere cristiani a spese della propria mente. La pusillanimità non è una virtù cristiana. Il credente è un palestrato della mente. Indipendentemente dalle sue capacità di fondo, lui/lei ha il cervello e lo usa, lo esercita. Vive la fede nella risposta, ma anche nella domanda. Quando è necessario cambia opinione. Non resta abbarbicato alla tradizione come al lenzuolo di Linus.
Il credente è una persona abituata ad una certa autonomia di pensiero. Ascolta il sermone del pastore, ma poi lo discute, lo accetta o lo emenda.
Non cerca, nel pastore la guida spirituale, ma chi gli può offrire gli strumenti per crescere, per diventare intelligente nella fede e nella speranza, nella solidarietà e nell'amore.
Chi crede che il cristianesimo sia un fatto semplicemente di sentimenti, sbaglia.
Che nel culto ci sia una parte dedicata alla lode, al canto, alla gioia, alla danza, va benissimo.
Ma poi ci vuole lo spazio per la mente. Ci vuole il tempo in cui adoriamo il Signore, mediante la riflessione, il confronto con la cultura, con gli avvenimenti di attualità, con le sfide scientifiche e culturali del nostro tempo.
Dieci, venti o trent’anni di partecipazione alla chiesa, ci hanno aiutato ad essere più intelligenti, ad avere la capacità riconoscere una bugia da una verità della propaganda? Siamo oggi più capaci di riconoscere un buon film da uno pessimo? Una buona musica da un rumore organizzato?
Se la risposta è "no" c'è qualcosa che non va in noi o nella nostra chiesa. Vuol dire che si predica sempre lo stesso sermone. Vuol dire che siamo finiti dentro un conformismo che impigrisce la mente e l’intelligenza. Vuol dire che spegniamo lo Spirito. Così non sia.