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La parabola del prodigo

Abbiamo un racconto complesso che procede a tre livelli: narrativo, psicologico e analogico-simbolico. A mettere insieme i tre livelli vi sono una serie di parole chiave che sono polivalenti e sottolineano volta per volta un aspetto o l’altro. Nell’analisi dobbiamo focalizzare questi momenti e andare verso il quarto livello quello dell’applicazione a noi della parabola.

Il patrimonio diviso e la dilapidazione delle sostanze: vvs. 12-14.

Per descrivere il patrimonio richiesto dal figlio minore e diviso dal padre si usano due parole: ousia (sostanza) e bios (vita). Dal momento della divisione non si fa più menzione se non in astratto (riunì tutte le cose panta e le dissipò dieskòrpisen andando in un paese lontano) e ancora (e avendo dilapidato dapanesantos tutte le cose panta). Il testo non funziona al livello narrativo, poiché la pretesa del giovane è contraria al diritto del tempo. Questa è la prima sorpresa (che non sorprende), la sorpresa non è che il ragazzo chieda la parte che gli aspetterebbe soltanto alla morte del padre, ma la sorpresa consiste nel fatto che il padre consenta a farlo, con il risultato che tutti si aspettano, cioè che il ragazzo sperperi la sua eredità in modo scellerato, a ragione dunque la legge conferisce al padre il diritto sulla vita e sulla morte dei figli in quel tempo. Il racconto è dunque una scusa per trattare una questione ben più profonda: il rapporto tra Dio e l’essere umano (rappresentato dai due figli il minore e il maggiore), chi è il ragazzo che prende congedo dal padre e parte verso la terra lontana e straniera ( Choran Makran il paese di Nod di Caino)? Questo ragazzo è l’uomo che rivendica la sua autonomia nei confronti di Dio e richiama la sua vita autonoma e il diritto alla sua libertà (oggi noi diciamo che la sostanza ousia dell’uomo è la libertà), si tratta dunque dell’uomo moderno che raccolti i suoi beni (la sua sostanza) e la sua vita si porta lontano da Dio, ignora Dio, prende congedo dal rapporto con Dio (lo si chiami religione o relazione). Altrettanto importante è il fatto che il fratello maggiore sia rimasto nella casa del padre. Ma parleremo dopo del significato simbolico di questo personaggio. Notate infine due cose: la prima è che il padre non ha impedito la decisione del figlio, lo ha lasciato libero e non ha nemmeno tentato di dissuaderlo a intraprendere questo viaggio che lo porta lontano dalla casa del padre; la seconda è che il padre continua a considerare  il figlio partito come suo figlio malgrado la lontananza. Questo è l’elemento secondo me centrale dell’intero racconto.

Il viaggio interiore del ragazzo dall’autonomia alla schiavitù vvs. 15-19.

Il viaggio (odisea) della libertà e dell’autonomia del ragazzo si trasforma in una trappola. Il vs. 14 si chiude con la grande carestia che ha colpito la regione e il conseguente stato di indigenza (hystereisthai) di colui che prima era ricco di vita ora è vicino alla morte. Il suo viaggio verso la libertà si conclude con il patto di asservimento che stringe con uno dei cittadini di quel paese che consiste nell’alimentare boskein i maiali choiroi, animale immondo per un salario infimo che non copre i suoi bisogni elementari. In questo viaggio verso l’infero del bisogno il ragazzo cade nella bizzarria spaventosa di desiderare epythemei di sfamarsi con le ghiande che egli riceve per dare da mangiare ai porci. Questa è la catastrofe della storia del 20simo secolo: l’uomo moderno che ha presso congedo di Dio è finito negli inferi delle due guerre mondiali, dei gulag e dei campi di sterminio. Abbiamo nutrito i demoni impuri dell’odio, del razzismo, delle ideologie, i fantasmi dell’incubo nucleare, della distruzione e inquinamento del pianeta. Lontani da Dio ci siamo sfamati spiritualmente con cibi tossici e abbiamo desiderato le ghiande del male e della distruzione. Lo stato del ragazzo ora è evidente a tutti come uno stato di completa perdizione e smarrimento, il prodigo lo è stato del suo bene più prezioso la vita che ha buttato in pasto ai maiali, la sua libertà si è trasformata in schiavitù, il paradosso consiste nel fatto che egli era veramente libero nella casa del padre, ma non lo sapeva. Ora inizia un secondo viaggio di ritorno, una seconda odisea che prende congedo dalla libertà che conduce alla schiavitù per entrare nel servizio che porta alla libertà. Il viaggio di ritorno inizia con un’altra coppia di parole sorprendenti nell’applicazione: heauton de elthon (essendo tornato in sé) e anastas (essendosi alzato), tornato in sé significa avendo ricordato chi era suo padre, un uomo che sfamava anche i suoi operai salariati (misthoi), cioè il padre è di una tale bontà che sfama non soltanto a quelli che sono della sua famiglia ma anche a quelli che prende come salariati, tutti potevano mangiare il pane (artos) della vita liberamente, fino a scoppiare in quella casa dell’abbondante misericordia. Il ricordo ridesta la memoria vivente di quello che sia ha e di quello che si è perso. Ma più sorprendente ancora è l’uso della parola anastas che significa letteralmente risurrezione, che poi è confermato alla conclusione dalla doppia affermazione era morto (nekros) ma è rivissuto (etsesen), perduto ma è stato ritrovato (salvato). La memoria o il ricordo come fede vivente che salva, questa è la premessa del ritorno: la conversione. Il ragazzo allora decide di ritornare e di consegnarsi nelle mani del padre come schiavo poiché ha peccato e non è più degno di essere considerato figlio.

La restituzione della vita e della libertà vss. 20-24

C’è qualcosa di eccesivo nel racconto dell’accoglienza. Il padre vide ritornare il figlio da lontano e corse verso di lui, l’incontro con il figlio non avvenne dunque nella casa del padre ma nella strada che portò il ragazzo lontano e che adesso lo avvicina all’amore del padre. La veste prima (stolen ten proten) era la veste di colui che presiedeva il banchetto (il principale invitato) nominato dall’oste, il ragazzo è restituito alla sua dignità (riceve l’anello, i sandali, si fa festa per lui), il peccato è cancellato dal sacrificio del vitello ingrassato, e la festa inizia la sera, cioè quando il giorno è concluso per gli ebrei e si è scontato lo stato di impurità. Il ragazzo non diventa schiavo ma si riprende pienamente lo status iniziale. È perdonato, purificato e riconsacrato alla sua dignità di figlio libero: ora è veramente libero.

Il fratello maggiore vvs. 25-31.

Questo si è indignato e simbolicamente la sua valenza è quella dei personaggi che incontra Gesù (gli scrivi, i farisei, i sacerdoti, le persone religiose del tempo) e che si considerano a posto e criticano la vicinanza di Gesù ai peccatori e alle prostitute. Nella lettura storico-critica il fratello maggiore ha ragione dal punto di vista umano. Si considera trattato in modo ingiusto da parte del padre. Il problema è che non ha capito la natura del rapporto con Dio, che anche egli stesso quello che possiede (la giustizia delle opere) è un dono di Dio come il dono della misericordia e del perdono al fratello minore che ha dilapidato la sua vita e la sua sostanza con le prostitute. Doveva invece rallegrarsi perché colui che era morto è ritornato alla vita, colui che si era perso è stato ritrovato e dunque salvato.