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Esodo 13

17 Quando il faraone ebbe lasciato andare il popolo, Dio non lo condusse per la via del paese dei Filistei, benché fosse vicina, poiché Dio disse: «Bisogna evitare che il popolo, di fronte a una guerra, si penta e torni in Egitto». 18 Dio fece fare al popolo un giro per la via del deserto, verso il mar Rosso. I figli d'Israele partirono armati dal paese d'Egitto. 19 Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe; perché questi aveva espressamente fatto giurare ai figli d'Israele, dicendo: «Dio certamente vi visiterà; allora, porterete con voi le mie ossa da qui». 20 Gli Israeliti, partiti da Succot, si accamparono a Etam, all'estremità del deserto. 21 Il SIGNORE andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli lungo il cammino; di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero camminare giorno e notte. 22 Egli non allontanava la colonna di nuvola durante il giorno, né la colonna di fuoco durante la notte, dal cospetto del popolo.

Premessa

Questa mia meditazione, accoglie a piene mani le intuizioni esegetiche della predicazione tenuta da Simone De Giuseppe all’Assemblea Generale dell’UCEBI.

Ho deciso di riprenderla, perché spero di trasmettervi così qualcosa dell’atmosfera di questa Assemblea Generale e delle riflessioni importanti che l’hanno accompagnata.

Nella sua versione integrale il sermone di Simone sarà pubblicato sulla nostra pagine web. Ne raccomanda a tutti la lettura.

1. Memoria e speranza

Il capitolo 12 ha è parlato della istituzione della Pasqua. L’evento fondante della tradizione dell’Esodo. Mediante la piaga dei primogeniti, a cui gli ebrei scamperanno per effetto del sangue dell’agnello sugli stipiti delle porte, comincia una grande avventura di liberazione di cui Dio è protagonista e il popolo di Israele, insieme a tanti altre persone di varia provenienza, sono i destinatari.

La narrazione della Pasqua ebraica, è fatta in maniera da rendere chiaro che quanto avvenne sarà oggetto di una memoria annuale che Israele continuerà a celebrare nel futuro, per fare in modo che quella memoria non vada dispersa.

Anzi la celebrazione stessa si svolgerà con una modalità secondo la quale chi celebra quella memoria, la drammatizza, al punto da sentirsi parte di quell’avvenimento.

“Quando in avvenire tuo figlio ti chiederà dicendo: Che significa questo? Tu gli risponderai dicendo: Il Signore ci fece uscire dall’Egitto dalla casa di schiavitù, con mano potente e quando il faraone si ostinò a non lasciarci andare, il Signore uccise tutti i primogeniti del paese d’Egitto. Tanto i primogeniti degli uomini quanto i primogeniti degli animali”.

La coltivazione della memoria ha dunque un valore altamente pedagogico.

Dalla cura e dallo scrupolo con cui i genitori ricorderanno l’Esodo, nascerà nei figli la sana curiosità che li porterà a comprendere le proprie radici.

Tutto questo, nel nostro testo è espresso dal fatto che Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe. Giuseppe il patriarca era il motivo stesso per cui Israele si era trovato a soggiornare in Egitto, prima che questa si trasformasse in una con dizione di duro servaggio.

Giuseppe stesso aveva chiesto al popolo che quando Dio li avesse visitati, essi lo avrebbero portato con sé. (Genesi 50,25).

Dunque la memoria di Mosè che prende le ossa di Giuseppe, è memoria antica che comprende tutti quelli che in Egitto hanno vissuto solo una condizione di dura servitù e vi hanno trovato la morte.

Ma dal punto di vista di Giuseppe, quella memoria deve chiamarsi speranza. Egli chiede di essere portato col popolo.

Potremmo dire: la nostra speranza di oggi è di diventare buona memoria dei nostri figli e nipoti, perché, in qualche modo noi possiamo vivere i loro processi di liberazione come i nostri. La speranza è che la memoria di ciò che Dio ha fatto per la nostra liberazione, diventi la loro forza di desiderarla.

Ecco due considerazioni fondamentali:

La Bibbia parla più di liberazione che di libertà. Evidentemente questo per indicare che si tratta di un processo mai realmente compiuto.

La speranza e la memoria sono intimamente collegate. La prima guarda fondamentalmente al futuro, la memoria, ovviamente al passato. Ma senza l’una non sussiste l’altra.

Inquinare, sporcare la memoria di un processo di liberazione, è sempre dannoso e porta con sé un grave pericolo di smarrimento. L’attacco che da anni ormai, subisce il 25 aprile, ad esempio, è la testimonianza concreta di quanto la memoria della liberazione del nazifascismo, sia un grande antidoto verso tutte le forme vecchie e nuove di nuovi regimi autoritari e violenti.

Il percorso della liberazione non è lineare

v.18 Dio fece fare al popolo un percorso più lungo per evitare di incontrare i Filistei

Se gli ebrei avessero dovuto fare, secondo logica, il percorso più breve da Succot fino alla terra promessa, non avrebbero impiegato più di qualche mese per raggiungerla.

Qui ci viene detto che Dio stesso, per evitare che incappassero nei Filistei gli fa fare un giro più largo. Per arrivare a 40 anni, ci stanno molti giri su se stessi.

Il cammino di liberazione è un processo complesso che fatalmente è soggetto a battute di arresto e anche di regressioni.

Qui ci viene incontro un'altra frase chiave che ha caratterizzato la serata dedicata a Martin Luther King. La frase è questa “L’arco dell’universo morale è lungo, ma inclina verso il bene”. King ha ripetuto più volte questa frase, anche in prossimità della sua fine. E’ una citazione di un filosofo, che esprime una idea speranzosa della esistenza: “We shall overcome!” Ce la faremo!

Nei processi di liberazione, di qualsiasi tipo, siamo accompagnati dalle forze benigna dell’universo. Possiamo vivere delle sconfitte, ma non dobbiamo scoraggiarci, perché la vittoria sarà nostra e perché entreremo nella terra promessa. E se non ci entreremo come individui, ci entreremo come popoli. Qualcuno porterà le nostre ossa e la nostra memoria, e quindi anche noi parteciperemo al trionfo finale.

Tutto questo vale anche dei nostri percorsi individuali. Non dobbiamo mai scoraggiarci. La liberazione non ammette scorciatoie. La liberazione è un processo storico, culturale, e come abbiamo visto, spirituale.

3. Dio è con noi giorno e notte

Non possiamo essere chiesa, e esseri umani, e popolo di Dio, se non siamo in marcia. Il popolo di Dio è errante. Nel senso che è in movimento, ma anche nel senso che chi si muove, fatalmente, commette degli errori.

Ma la Buona e straordinaria notizia, sta nel fatto che Dio erra con noi. Ci accompagna di giorno e di notte.

Quello che conta davvero è fare la sua volontà. Arrendersi al suo progetto di pace e di vita.

Il cammino del riscatto di Gesù avvenne attraverso il suo deserto e soprattutto attraverso quel difficile cammino in salita del Golgota. Ma la sua liberazione fu completa e definitiva.

Tutta la nostra spiritualità è una maniera per dare linguaggio a questo accompagnamento. La preghiera, nelle sue varie espressioni, di lamento, di intercessione, di gratitudine, di pentimento, dice a che punto siamo del nostro percorso, e come Dio è nuvola di fumo di giorno e colonna di fuoco per la notte. Egli è una lampada al nostro piede.

La chiesa cristiana, e in essa, la piccola comunità dei Battisti in Italia, è il luogo in cui coltiviamo la memoria collettiva di una famiglia di cristiani che ha pagato anche col martirio la sua liberazione.

Il nostro cammino non sempre è facile e il percorso odierno tra pandemia e guerra, appare tortuoso e poco comprensibile. Ma non dobbiamo scoraggiarci.

Pensiamo a dare una buona testimonianza della nostra fede, perché questo è quel che nutrirà la speranza dei nostri figli e figlie.

Poi non dimentichiamoci di coltivare la fiducia in Colui che cammina al nostro fianco, giorno e notte.