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I nostri nomi scritti nei cieli Luca 10:1-12, 17-19

1 Dopo queste cose, il Signore designò altri settanta discepoli e li mandò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dov'egli stesso stava per andare. 2 E diceva loro: «La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della mèsse perché spinga degli operai nella sua mèsse. 3 Andate; ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. 4 Non portate né borsa, né sacca, né calzari, e non salutate nessuno per via. 5 In qualunque casa entriate, dite prima: "Pace a questa casa!" 6 Se vi è lì un figlio di pace, la vostra pace riposerà su di lui; se no, ritornerà a voi. 7 Rimanete in quella stessa casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno del suo salario. Non passate di casa in casa. 8 In qualunque città entriate, se vi ricevono, mangiate ciò che vi sarà messo davanti, 9 guarite i malati che ci saranno e dite loro: "Il regno di Dio si è avvicinato a voi". 10 Ma in qualunque città entriate, se non vi ricevono, uscite sulle piazze e dite: 11 "Perfino la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scotiamo contro di voi; sappiate tuttavia questo, che il regno di Dio si è avvicinato a voi". 12 Io vi dico che in quel giorno la sorte di Sodoma sarà più tollerabile della sorte di quella città. […]

17 Or i settanta tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demoni ci sono sottoposti nel tuo nome». 18 Ed egli disse loro: «Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore. 19 Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e su tutta la potenza del nemico; nulla potrà farvi del male. 20 Tuttavia, non vi rallegrate perché gli spiriti vi sono sottoposti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.

1. In questo troviamo Gesù impegnato ad organizzare quello che potremmo chiamare un tirocinio. Infatti, quest’invio dei discepoli prefigura quello che avverrà più tardi alla fine del mandato terreno di Gesù (Mt. 28:16-20). Allo stesso tempo, la missione affidata ai 70 è la stessa che in precedenza era stata affidata ai 12 (Luca 9:1 e seguenti). Pertanto, si potrebbe dire che Dio ha già inaugurato la sua agenzia missionaria ma che allo stesso tempo non siamo ancora nel pieno delle operazioni. L’invio dei 70 quindi è un addestramento, un’assegnazione a breve termine che gli aiuti a prepararli per l’opera futura.

Dunque, in quanto noi siamo discepoli che si collocano dopo Matteo 28:16-20 e dato che siamo stati assunti dall’agenzia missionaria di Dio quando era già a pieno regime, ora possiamo guardare al mandato dei 70 per vedervi uno specchio del nostro stesso mandato. In un certo qual modo potremmo quindi affermare che in questo testo i 70 fungono come una rappresentazione della Chiesa, inviata a portare la pace del Signore annunciando il suo arrivo nei luoghi che egli stesso sta per visitare – annuncio che è anche sempre un invito alla conversione e ad accogliere il Signore della pace presso di noi.

2. Se è vero che noi possiamo vedere il nostro compito di discepoli riflesso come in uno specchio nel compito affidato ai 70, questo significa che è possibile estrarre dalla loro missione dei principi operativi validi anche per noi oggi. Ecco alcuni di questi principi:

1) La messe è grande, allora come oggi; ci sono tantissime persone che non conoscono la pace del Signore e che hanno un disperato bisogno di ricevere questo dono. Il Signore, infatti,
appaga i desideri del nostro cuore (Salmo 37:4) e tutte le nostre ansie, aspirazioni, desideri sono in definitiva determinati dall’assenza della sua pace. Allo stesso tempo, allora come oggi gli operai sono pochi: le persone che si dedicano attivamente a portare questa pace e a raccogliere i figli della pace per portarli al Signore non sono sufficienti. A tal proposito, la considerazione espressa da Gesù non dovrebbe essere applicata limitatamente a coloro che hanno un ministero ordinato (per esempio, pastori e missionari ufficialmente riconosciuti come tali). Invece, le parole di Gesù si applicano ad ogni credente, che in quanto tale è un missionario inviato nel mondo per portare la pace del Signore. Quindi il 1° principio operativo che possiamo derivare da questo testo è il seguente: dobbiamo pregare costantemente perché ogni cristiano si senta un operaio inviato a lavorare nella messe, qualunque forma possa prendere quest’opera (ossia, che sfoci o meno in un ministero ordinato).

2) Inviando i discepoli a due a due e con il minimo indispensabile il Signore ci insegna l’importanza di affidarci agli altri credenti e allo stesso tempo – e soprattutto – nella Sua presenza. Infatti, sta scritto che “dove due o tre sono riuniti nel Mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Matteo 18:20). Dunque, inviando i discepoli in coppia Cristo non ha solo preso in considerazione delle necessità umane e materiali (in due ci si può incoraggiare, proteggere e consigliare a vicenda). Implicitamente, inviandoli in coppia gli ha assicurati che la Sua presenza gli avrebbe accompagnati. Ecco, quindi, il 2° principio operativo: dobbiamo affidarci alla compagnia dei credenti, perché è solo condividendo il cammino di fede tra di noi che il Signore diventa presente ed è solo così che diventa possibile condividere la Sua pace con chi ancora non la conosce.

3) Gesù invia i 70 affermando che vi saranno case in cui troveranno dei figli di pace. Quello che è importante sottolineare è il fatto che i discepoli non creano dei figli di pace, ma li trovano. Dunque, il Signore non accompagna soltanto i 70 ma addirittura li precede, preparando delle persone pronte a ricevere il loro annuncio. Figli della pace significa “persona incline alla pace” e come si comprende chiaramente dal nostro testo questa inclinazione non viene creata dall’annuncio della pace del Signore: al contrario, l’annuncio della pace del Signore è ciò che fa venire alla luce la presenza di figli della pace in una certa casa. Nello Spirito Santo, il Padre ha già preparato i cuori di queste persone che ora incontrano il Figlio grazie all’annuncio rivolto loro dai 70 discepoli.

Non tutte le porte sono state aperte però; i discepoli sono invitati da Gesù ad esercitare il loro discernimento spirituale per comprendere quando una porta è chiusa e a non insistere lì dove ogni sforzo sarebbe inutile. Anche questo però, è qualcosa che diventa manifesto solo grazie all’annuncio della pace del Signore (che in questo caso viene respinta): l’annuncio, quindi, fa emergere cosa c’è nel cuore delle persone. Alla luce di tutto ciò, il 3° principio operativo che possiamo ricavare dalla missione dei 70 è il seguente: non aspettiamoci di fare dei discepoli con i nostri sforzi; Dio ci apre di fronte delle porte, mettendo sulla nostra strada figli della pace pronti ad accoglierci; quando una porta è chiusa lo dobbiamo riconoscere e procedere oltre. Questo non ci esenta dal pregare per quella persona e magari ribussare più tardi – costui potrebbe essere ora diventato un figlio della pace.

3. Vorrei ora concludere questa meditazione prendendo in considerazione il ritorno dei discepoli da Gesù dopo aver compiuto la loro missione. Infatti, la “scena” dell’incontro tra i 70 e Cristo dev’esserci di grande conforto e incoraggiamento. Andare ad annunciare la pace del Signore è
un compito che può apparire tutt’altro che semplice e ci si può facilmente scoraggiare di fronte agli ostacoli, veri o presunti, che prevediamo di affrontare nel corso del nostro cammino.

Certo, come si è visto più sopra Cristo promette la sua costante presenza ai 70 e ciascun discepolo inviato a compiere l’opera del Signore ha accanto a sé fratelli e sorelle che collaborano con lui in questa impresa. Questo promessa però non è sufficiente da sola fino a che non viene messa alla prova. Ciò è vero per tutte le promesse del Signore: non possiamo veramente trarne beneficio fino a che non diamo a Dio la possibilità di dimostrarsi per quello che è, un Padre fedele e amorevole che non si trattiene dal dispensare doni verso i suoi figli bisognosi. Rispetto a questo passo specifico, ciò significa che non possiamo veramente trovare sostegno nella presenza del Signore fino a che non ci mettiamo realmente nella situazione in cui questa presenza diventa indispensabile.

Questo non significa però che sia necessario compiere un salto nel vuoto al fine di forzare la mano a Dio. e magari costringerlo a fare qualche miracolo. Ricordiamoci di quello che disse Gesù a Satana, quando quest’ultimo gli chiese di fare letteralmente un salto nel vuoto dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme: “non tentare il Dio tuo” (Matteo 4:7). Così anche noi non mettiamo alla prova Dio, ma seguiamo le sue istruzioni: semplicemente, mettiamoci in cammino e annunciamo la sua pace così da far venire alla luce i figli della pace che incontreremo sul nostro percorso.

A tal proposito la scena del ritorno dei 70 a Cristo diventa per noi una meditazione di conforto perché, come l’invio dei 70 offre uno specchio del nostro invio, così il loro ritorno offre lo specchio del nostro ritorno. Se i 70 sono tornati pieni di gioia perché hanno provato e visto quanto il Signore è buono e che l’uomo che confida in lui è effettivamente beato (parafrasi di Salmi 34:8), così accadrà anche per noi al ritorno dal nostro invio.

È importante in questo caso notare come non ci venga detto quale sia stata la percentuale di successo dei discepoli; non ci viene comunicato il numero di figli della pace che sono stati chiamati al Signore e quanti invece abbiano opposto il loro rifiuto all’annuncio. Quello che però ci viene detto è che la loro è stata un’avanzata vittoriosa: con il sostegno del Signore Dio ha operato attraverso di loro dei segni concreti della sua potenza e della sua attività nel mondo. Nulla ha potuto fargli male perché, accompagnati dalla presenza di Cristo, hanno sottoposto al nome di Gesù le potenze dell’oscurità e hanno calpestato le forze della morte (serpenti e scorpioni) e tutta la potenza del nemico. Per questo nulla ha potuto fargli del male.

Così anche noi come i discepoli dobbiamo aspettarci di essere vittoriosi nel compiere l’opera del Signore, anche se questo non significa necessariamente che questa vittoria corrisponda del tutto a criteri mondani. In altri termini, possiamo aspettarci che la pace del Signore venga rifiutata da molti; possiamo aspettarci che il nostro annuncio incontri grandi resistenze, ostilità e in generale che i nostri sforzi siano ben superiori ai frutti che ci sembra di raccogliere. Ma la nostra gioia non dev’essere basata su questo, come del resto la gioia dei 70 non era basata sul fatto di aver condotto un certo numero di figli della pace a Cristo – sebbene sia indubbiamente implicito nelle loro parole che abbiano fatto dei discepoli sul loro percorso. La gioia dei discepoli è basata sul fatto che nelle loro azioni e nei segni che le hanno accompagnate si è manifestata la presenza del Signore; la loro gioia è basata sulla consapevolezza di far parte del movimento spirituale a cui Gesù ha dato inizio, movimento che vive e si propaga anche nella loro opera; movimento che è contrastato e rifiutato ma che non può essere arrestato e che prosegue, indomabile, il suo cammino.

A questo, infine, li richiama Gesù – e così facendo richiama anche noi. Infatti, nemmeno i segni dell’opera divina sono, presi di per sé stessi, una base adeguata della gioia dei discepoli. La base adeguata della loro gioia, la cosa di cui infine è buono e giusto rallegrarsi, è il fatto di essere
incardinati nella fonte stessa delle opere potenti: i discepoli, infatti, hanno i loro nomi scritti nei cieli; la loro stessa identità è collocata e preservata alla presenza del loro Signore. Dall’alto deriva ogni dono spirituale, buono e perfetto (cfr. Gm 1:17), e questo perché il nostro nome è conosciuto in alto presso Dio come il nome di figli e figlie della pace. Gesù invita i 70 a gioire nella consapevolezza di questo fatto innegabile, incontrovertibile, immutabile. Come loro allora, così noi oggi, siamo avvertiti da Gesù di scambiare i mezzi del Signore (i suoi doni) con il Signore dei mezzi; non rallegriamoci per la potenza che il Signore dimostra quotidianamente nelle nostre vite: piuttosto, rallegriamoci del Signore e della sua presenza, che si mostra con potenza nelle nostre vite. In lui non troviamo così solo l’invio all’opera e la forza di compiere l’opera con efficacia, ma anche e soprattutto la gioia di compiere con efficacia l’opera a cui egli ci ha inviato.

Amen.