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Gli angeli in Isaia ed Ezechiele

La visione del serafino, l’angelo della presenza che si trova secondo la descrizione di Isaia e di Ezechiele “in piedi affianco (attorno) a Dio, ci fornisce la cornice di interpretazione dell’angelo secondo i profeti. Questa è la caratteristica dominante in queste due visioni fondamentali: sono dei serafini (angeli) della presenza (shekinah) portatori del riflesso della gloria divina, sono agenti della rivelazione divina (portatori della parola) e servono Dio, sono costantemente dedicati al compimento della volontà divina, proprio il contrario dell’umanità infedele e peccatrice. L’angelo rappresenta dunque un contrasto tra quello che siamo e quello che dovremmo essere.

Cosa vedono Isaia ed Ezechiele, vedono i serafini della presenza che hanno sei ali, con due si coprono il volto, con altre due la loro nudità, e con due i piedi. Perché si coprono il volto? Perché nemmeno gli esseri angelici possono contemplare senza danno la gloria del volto divino, non devono contemplare Dio (perché Dio trova pure in loro dei diffetti, tale è la santità divina). Tanto meno l’uomo Isaia o Ezechia sono indegni e non possono contemplare direttamente la santità divina. Questa è un’immagine teologica del “mistero” che circonda l’essere divino, talmente altro e differente di noi da suscitare allo stesso tempo adorazione e timore riverente, paura e senso del numinoso, della meraviglia e dello stupore. Si tratta di un tentativo di costruire teologicamente una concezione di Dio attraverso “immagini e metafore”. Le ali coprono, proteggono dal pericolo di vedere o di entrare a contatto con colui che eccede in santità.

Il trono dove siede Dio è fisso in Isaia e mobile in Ezechiele, perché? Perché in Isaia la gloria divina si manifesta nel tempio di Gerusalemme, da lì esercita la sua sovranità su Israele (la terra ed il popolo) e lì si manifesta la sua gloria che giudica il peccato e offre la salvezza attraverso il complesso sistema dei sacrifici e del culto. Il tempio è un “luogo” e una sede dalla quale Dio governa e santifica, giudica e salva, esercita la sua regalità. In Ezechiele il trono è mobile, si è spostato in terra pagana, Dio non è dunque soltanto sovrano sulla terra santa a lui dedicata, ma è signore e sovrano anche del mondo, può essere presente con la sua gloria anche in mezzo degli esiliati in una terra pagana e maledetta. Dio non è costretto in un territorio, la sua presenza non si limita ad un luogo geografico della terra, ma raggiunge con la sua sovranità tutto il mondo creato che gli è soggetto. Gli angeli reggono e portano in volo il trono mobile divino.

Il tema dell’inno dei serafini che sono affianco al trono è la SANTITA’ di Dio. La santità qadosh significava potenza originariamente. Nei profeti il termino diventa una qualità morale un attributo divino, la sua forma di essere, Dio è il Santo, la sua santità è comunicata al suo popolo, alla terra e al tempio che occupa. Questa comunicazione comporta una vocazione alla santità, Dio conferisce il dono dell’essere santi a quelli che gli appartengono, ma dal momento in cui sono scelti e separati si devono comportare in santità, l’esigenza della legge non è soltanto un compiere superficiale ed esterno la torah, ma devono interiorizzare la legge data da Dio come via per rimanere nella santità,  così diventeranno santi se adempiono tutti i comandamenti. La via della santità è dunque morale e non si rimane nella santità compiendo sacrifici ma adempiendo la legge divina. L’azione rende santi come gli angeli partecipano alla santità attraverso l’ubbidienza perfetta alla volontà divina. L’angelo della presenza è esempio del vero culto a Dio che celebra la santità divina (equivale alla formulazione cristiana Dio è amore in quanto l’amore è allo stesso tempo potenza e qualità morale). La santità dunque descrive l’alterità divina, Dio è altro rispetto a noi, e lo specchio di essa è la gloria che riempie la terra, a cominciare dal tempio la sua gloria “si diffonde” sull’intera terra. Un atto di adorazione consumato nel tempio da parte dei serafini è l’inizio di una “liturgia” che coinvolge l’intero mondo, nel momento della morte del Re umano, Uzia. Non dimentichiamo questo riferimento, nell’anno della morte del Re rimane seduto sul trono dal quale governa il mondo Dio stesso avvolto nello splendore della sua santità e gloria che riempie la terra. Questa trema dopo aver ascoltato l’inno di lode e di adorazione degli angeli, mentre il fumo dell’altare si diffonde. Il fumo sta ad indicare la presenza nascosta divina. Si tratta di un segno costante nell’AT dell’essere Dio presente nel nascondimento, Dio si rivela, si mostra ma non nella completezza, rimane sempre nascosta una parte, si accenna dunque ad una teologia della rivelazione che però mostra sempre l’impossibilità di una piena conoscenza divina, noi conosciamo e vediamo soltanto una parte infinitesimale della divinità, attraverso le opere che compie nella storia di giudizio e di salvezza. Di nouvo gli esseri angelici, i serafini a forma di serpente alata in questa occasione (in Isaia e in Ezechiele) fungono da simboli teologici di questa presenza divina nell’assenza, indefinibile, sfuggente e alquanto pericolosa dalla quale bisogna sempre proteggersi.

La santificazione del profeta in entrambi i casi (Isaia ed Ezechiele) segue una dinamica cultuale. I serafini sono chiamati a purificare il giovane Isaia con un carbone acceso sull’altare. Il fuoco è segno di giudizio e di purificazione. La santità divina agisce con gli strumenti cultuali (il fuoco perennemente acceso sull’altare) e comunica santità alle labbra che dovranno proclamare la dabar di Dio. La purificazione dello strumento, la parola umana, perché possa trasmettere la parola divina è un simbolo importante. Il serafino è angelo o messaggero della presenza custode della parola e prima che questa possa venire nell’uomo che è bugiardo e dimora in mezzo ad un polo bugiardo (peccatore), dev’essere purificato e reso degno di poter comunicare la parola divina con le sue parole umane. Il processo di trasmissione della parola attraverso il profeta richiede l’intervento dell’angelo che purifica con il carbone acceso le labbra del profeta. Allo stesso modo la presenza del trono divino nel territorio pagano porta la shekinà in mezzo agli esiliati e il profeta Ezechiele potrà trasmettere la parola santa a quelli che abitano in mezzo a un territorio pagano lontano dalla santità. La purificazione concede una chiamata ed un invio a “parlare”, ad essere strumenti della volontà divina. Passa da Dio all’uomo attraverso l’angelo. Questa mediazione angelica comincia ad essere fondamentale. Troviamo qui l’inizio della tradizione apocalittica che svilupperà oltre misura questo concetto dell’intermediazione angelica.

 

Isaia 63,9 Si annuncia come chiave del tempo messianico non l’invio di un angelo ma Dio stesso verrà a salvarci.