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Gli angeli in atti e nelle epistole

Studieremo due tipi di testi in Atti collegati agli angeli, il primo tipo si riferisce alle doppie visioni che segnano momenti di svolta nella narrazione, il secondo all’idea dell’angelo personale che già abbiamo analizzato in altri momenti, ma che ora appare con una più nitida chiarezza. Nelle epistole vedremo il complesso e articolato discorso delle gerarchie, principati, poteri celesti e il loro rapporto con lo sviluppo delle idee riguardanti gli angeli, vedremo alcuni testi esemplari non avendo il tempo necessario per studiare i testi a uno a uno.

Le doppie visioni in Atti: Due visioni poste in parallelo indicano una svolta nella narrazione lucana di Atti. Un esempio è la doppia visione di Paolo e Anania a Damasco, la svolta verso i gentili al capitolo 9 di Atti. Dopo questi eventi si racconta doppia visione di Pietro e di Cornelio che narra la prima predicazione e conversione seguita da battesimo dello Spirito e nelle acque, da parte di Cornelio e il suo gruppo di pagani alla ricerca di Dio. La visione di Pietro segue una linea apocalittica e si ripete tre volte con una parte visiva, il lenzuolo pieno di animali immondi, e una auditiva con un doppio messaggio, uccidi e mangia e “non chiamare impuro (koìnou) quello che Dio ha purificato (ekatharisen)” Atti 10,15. La visione di Cornelio è una tipica apparizione angelica descritta in 10,3-8.  La chiave di lettura è questa, l’angelo funge da araldo celeste che comunica a Cornelio un messaggio di salvezza. Le sue preghiere ed limosine sono “salite in memoriale” (anébesan eis nemosynon) al Signore, così dice l’angelo, e ricordate che questo è compito degli angeli. Segue il messaggio che ordina di inviare delle persone a Giaffa, alla casa di Simone l’acconciatore di pelli, per far venire a Cesarea un certo Simone Pietro. Se paragoniamo la descrizione dell’angelo con il testo del “racconto” di Cornelio stesso in 10,30 (“un uomo aner vestito con vesti splendenti”), noteremo la vicinanza di questa apparizione a quelle già conosciute. L’angelo è un messaggero di Dio che comunica un messaggio, rivela una via, perché il timorato di Dio e il gruppo che si incontra in casa sua, possa avere una descrizione più precisa della via che mena alla salvezza, della fede in Gesù.

Pietro in carcere e l’angelo liberatore 12,7-15: questo racconto è particolarmente lungo, nella prima parte il protagonista è l’angelo che libera dalla prigione Pietro (mentre Giacomo era stato ucciso), non dimentichiamo mai che dobbiamo fare i conti con una doppia realtà quando analizziamo questi testi, vi è la liberazione ma anche la non liberazione, comunque poi Pietro subirà il martirio, secondo la tradizione, qualche anno dopo. Ci interessa ora, più del racconto dell’intervento dell’angelo in favore del servo di Dio, la seconda parte del racconto. Pietro in goni momento pensa di essere oggetto di una visione, non capisce immediatamente di “vivere un’esperienza reale”, si rende conto proprio quando già sulla strada, fuori dalla prigione, l’angelo “si dileguò da lui” (apeste ap’autou). La sorpresa è chiara al vs. 15. Pietro bussa alla porta della casa di Maria, madre di Marco, dove gli altri discepoli si erano nascosti in preghiera. La serva riconosce Pietro ma non apre la porta, ma le persone nella casa pensano che lei è matta o che abbia visto “il suo angelo” (ho angelos estin autou), letteralmente “l’angelo è di lui”. Un testo simile si trova in Matteo 18,10 (gli angeli di loro) riferito ai minimi e che abbiamo visto la settimana scorsa. Vale quello che abbiamo detto la settimana scorsa come spiegazione.

Gli angeli nelle epistole: Ci sono due tipi di espressioni che coincidono con l’idea già analizzata da noi degli angeli identificati come potenze dynameis, archai (Rom 8,38; 1 Cor 15,24; Ef 3,10; 1 Pt 3,22) della natura, o come stoicheia tou cosmou (Gal 4,3; Col 2,8) che sono gli “spiriti elementari della natura”. Gli angeli sono immaginati, descritti come personificazioni di fenomeni naturali sui quali hanno potere (la tempesta, il fulmine, il fuoco).

Il testo di Romani 8,38 cita in questo ordine: morte, vita, angeli, principati (cose presenti o future), altezze, profondità, creature, suggerendo una specie di gerarchia e una classificazione di spiriti di diverso tipo, ordine o rango. Gli ebrei e i pagani credevano che “questi spiriti” si corrispondevano a delle potenze cosmiche o sovra mondane (non necessariamente ostili all’uomo). L’Apostolo dice che nemmeno queste potenze potranno separare il credente dall’amore divino rivelato nella persona e nell’opera di Gesù Cristo. Per gli antichi le forze cosmiche possono influenzare o determinare il corso della storia personale o dei popoli, l’astrologia è stata creata dai caldei in Babilonia e molti erano convinti della validità di queste affermazioni. Le parole che Paolo utilizza qui e in altre epistole coincidono con le parole usate per nominare questo tipo di esseri spirituali nelle fonti dell’epoca, il che rispecchia una credenza comune del tempo. Paolo limita fortemente la possibile influenza di queste potenze cosmiche personificate, in nessun caso possono agire al di fuori del controllo sovrano divino sulla natura e la vita dell’umanità. Ci conferma questa idea l’utilizzo dell’espressione finale né qualsiasi altra creatura (tis tisi hetera). Paolo sfida l’immaginazione dei Romani, immaginate qualsisasi “altra creatura spirituale” esistente, dai demoni alle forze personali che reggono la natura e i fenomeni naturali. Nessuno di questi esseri ha una potenza sufficiente per sfidare o annullare la provvidenza divina, nessuna creatura esistente potrebbe intaccare il potere del Creatore che è sovrano e dirige l’universo intero perché i credenti in Cristo Gesù raggiungano l’oggetto della loro fede e speranza: l’amore divino rivelato in Cristo, nulla e nessuno ci potrà separare da questo amore, soltanto la nostra infedeltà o mancanza di fede ci può fare allontanare da Dio e dalla salvezza.

L’altro tipo di testi racconta una realtà simile: In Galati 4,3 leggiamo “così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo resi schiavi (emetha dedoulomenoi) sotto gli elementi del mondo (hypo ta stoicheia tou kosmou). Si tratta degli “elementi costitutivi del mondo”, in questo senso usa Platone questa espressione, anche se può significare anche i pianeti dello zodiaco che influenzano la vita delle persone nate sotto quel particolare astro, secondo le credenze dell’astrologia. Paolo usa questa parola nei sensi comuni in quel tempo, e dice ai galati che anche loro “erano schiavi di questi elementi” prima di conoscere il Signore, mentre ora sono liberi dalla loro determinazione. Potrebbe anche significare, ma questo è improbabile poiché si tratta di un anacronismo storico, che Paolo dica ai galati che prima erano schiavi di certe credenze popolari allora, che erano però soltanto fiabe e opinioni umane di cui ora si devono sbarazzare. Faremmo così di Paolo un razionalista ante literam, il che non fa giustizia alla sua complessa personalità, egli è comunque un figlio del suo tempo. Quest’interpretazione è moderna, non tiene conto del fatto che fino all’arrivo della mentalità moderna e scientifica, cioè all’arrivo della prima sintesi scientifica del mondo ben dentro il XVII secolo Newton e Galileo per intenderci, tutti erano convinti della verità di quelle credenze arcaiche. Notate che non dice che questi “poteri elementari dell’universo” non ne abbiano influenza alcuna, ma che non hanno ora su di loro nessun potere, perché la potenza del Vangelo li ha liberati, come ha liberato gli ebrei dal dominio della legge. L’idea è la stessa, tutte queste potenze sono “create” e non hanno nessuna influenza sul creatore e su quelli che Dio ha liberato.