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Salmo 90

Riflessione sulla brevità del tempo

Questo Salmo è attribuito a Mosè, servo del Signore dai compilatori di questo quarto libro o raccolta dei Salmi, perché presenta un linguaggio arcaico, pieno di strane immagini poetiche come quella della creazione come un parto della terra alla quale Dio assiste, è presente, una allegoria che non possiamo interpretare letteralmente per ovvi motivi. In senso generale questo Salmo dimostra come alcuni brani del Salterio siano molto antichi.

Il Salmo 90 si presenta come un Lamento per il peccato del popolo e contiene una riflessione profonda sulla brevità del tempo umano, quando paragonato con l’eternità divina. Il contrasto tra i due tempi, quello umano e quello divino, porta il salmista ad una preghiera di affidamento della nostra fugacità all’immensa potenza e grazia di Dio perché Egli sia per noi rifugio, dimora, salvezza, redenzione durante il trascorso del tempo. L’uomo è come “seminato sulla terra da Dio”, cresce rigoglioso e poi nel vivere si restringe pian piano, finché diventa soltanto polvere. La sua fine è come il suo principio, poiché Dio ha tratto l’uomo dalla terra e consumato il ciclo breve del nostro tempo lì ritorniamo, precipitiamo. Per Dio addirittura, i nostri mille anni sono come il giorno di ieri appena passato. Un uomo singolo può vedere al massimo settanta, ottanta anni, dunque il paragone tra il nostro tempo e quello divino provoca una sorta di coscienza di nullità travagliata che si piega alla potenza divina in cerca di ausilio e conforto. La convinzione profonda del salmista è che se noi impariamo a contare i nostri giorni, cioè a renderci conto della nostra fugacità, impareremo la sapienza il cui inizio è il timore dell’Eterno.

Quello che rende più grave questa nostra condizione fugace è il peccato che produce morte (l’anticipa nel pensiero ebraico antico), se i nostri giorni sono di per sé brevi, il peccato aggrava questa condizione accorciando ulteriormente la durata dell’esistenza, breve soffio concesso dalla bontà divina. Le generazioni si succedono e rimane la costante del peccato e della colpa. Da Adamo il primo uomo a noi, la successione delle generazioni è segnata dal peccato e dal giudizio, dall’ira divina. Dio chiama tutti come chiamò Adamo il giorno del suo primo peccato: dove sei? Perché ti nascondi? La risposta dell’essere umano è oggi come allora perché ho avuto paura, certamente dello sguardo divino che penetra le cose nascoste e mette in evidenzia la colpa e il peccato occulto. Ma anche paura della propria brevità e dunque dell’agguato della morte sempre pronta a mietere le sue vittime. Gli anni e le generazioni umane passano come il volo dell’uccello, qui il lamento sfiora la confessione della fede, a Dio nulla rimane nascosto ed Egli rimane per l’eternità. Noi passiamo ma Dio rimane. Dalla constatazione della propria fugace esistenza si giunge al riconoscimento dell’eternità divina.

Questa riflessione porta ad una serie di richieste della comunità che prega: il Salmo 90 fa seguire al lamento per il peccato, alla constatazione della nostra vita breve e fugace come erba della campagna o il volo del passero, la richiesta costante dell’umanità ferita a morte dal peccato: al vs. 13 si chiede misericordia, grazia. E’ passato un giorno (mille anni) e il popolo ha provato la disgrazia, i colpi fulminei della colpa per il peccato, ma ora inizia un nuovo giorno, giunge l’alba serena di un nuovo anno-vita, ora il Signore si mostrerà clemente e misericordioso verso di noi, aprirà le sue ali attorno a noi per farci riposare, ci donerà della sua bontà per accompagnare la nostra fragile condizione. Dio manifesterà la sua presenza e il suo favore, ora che la prova è passata, e sarà un rifugio per loro, farà splendere la sua salvezza in mezzo al popolo travagliato e oppresso.

La riflessione del Salmo 90 si articola su due domande che sarebbero chi è Dio e chi è l’uomo (come il Salmo 8 e come Giobbe 38). Il paragone non conduce alla disperazione ma alla speranza, perché? Perché Dio è misericordioso, si ricorda del suo patto, di quello che siamo noi esseri umani, tiene conto della nostra fragilità e ci accompagna per sorreggere la debolezza intrinseca della nostra natura. Qui il Salmo diventa vera poesia, quando libera il nostro spirito dal peso mortale del nostro peccato, del nostro essere fugace, per spostare il nostro sguardo su El, su Adonai, colui che è dal principio e che dunque diventa per noi una forte dimora, un rifugio nel tempo della nostra tristezza, dove la sua presenza rimane trasformando la nostra fugacità nel tempo in eternità.