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l Battesimo del Mondo, il Nostro Battesimo

Genesi 8:20-22: “(20) Noè costruì un altare al Signore; prese animali puri di ogni specie e uccelli puri di ogni specie e offrì olocausti sull’altare. (21) Il Signore sentì un odore soave; e il Signore disse un cuor suo: ‘Io non maledirò più la terra a motivo dell’uomo, poiché il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza; non colpirò più ogni essere vivente come ho fatto. (22) Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno mai”.

1 Pietro 3:18-22: “(18) Anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurvi a Dio. Fu messo a morte quanto alla carne, ma reso vivente quanto allo spirito. (19) E in esso andò anche a predicare agli spiriti trattenuti in carcere, (20) che una volta furono ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l’arca, nella quale poche anime cioè otto, furono salvate attraverso l’acqua. (21) Quest’acqua era figura del battesimo (che non è eliminazione di sporcizia dal corpo, ma la richiesta di una buona coscienza verso Dio). Esso ora salva anche voi, mediante la risurrezione di Gesù Cristo, (22) che, asceso al cielo, sta alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti”.

Introduzione
Il testo della predicazione di oggi è particolarmente denso e di non facile lettura, fatto che ha contribuito a far sì che nella storia si siano prodotti diversi modi di leggerlo e di interpretarlo. Particolarmente spinosa è la questione di quello che succede tra i versetti 18 e 20, che hanno al loro centro questo riferimento a prima vista misterioso agli “spiriti trattenuti in carcere”. Chi sono costoro? Qual è il loro rapporto con Noè? Che cosa predicò loro Gesù? E come dovremmo intendere l’affermazione che Gesù “fu messo a morte quanto alla carne, ma reso vivente quanto allo spirito”? Sebbene meditare su queste domande sarebbe sicuramente proficuo per la nostra comprensione dell’insegnamento delle Scritture in generale e di 1 Pietro in particolare, ho deciso di lasciarle da parte e di concentrarmi in questo sermone su un altro aspetto contenuto in questo passaggio.

Per la precisione mi concentrerò in particolare su quello che l’apostolo Pietro scrive nel versetto 21 e specialmente sulla sua affermazione che “quest’acqua [e cioè, l’acqua del diluvio] era figura del battesimo”. In che senso dunque viene affermata questa cosa? Cosa significa che il diluvio universale viene visto come una figura del battesimo e che cosa significa questo per la nostra comprensione del battesimo? In che modo questa affermazione ci aiuta a comprendere il modo in cui una persona viene condotta al battesimo e quali sono le conseguenze di quest’evento nella nostra esistenza?

Per poter cominciare a formulare delle risposte a queste domande, dobbiamo prima fare un viaggio indietro nel tempo: dobbiamo ritornare ai giorni di Noè, ovverosia i giorni in cui il mondo fu coperto dalle acque del diluvio.

Ai tempi della pioggia
La vicenda di Noè e dei suoi familiari, narrata tra i capitoli 6 e 10 del libro della Genesi, è dominata dall’evento del diluvio ed è molto nota, per cui ci limiteremo a ricapitolarne i punti fondamentali.
Lo scenario che ci viene presentato dal capitolo 6 è quella di una profonda degenerazione morale e spirituale che affligge la totalità del genere umano, tant’è che leggiamo che il cuore degli esseri umani “concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo” (Ge 6:5). Di fronte a questa situazione Dio decide di provocare un cataclisma – il diluvio – che faccia pulizia del male. Unica eccezione viene fatta per il giusto Noè e la sua famiglia, a cui viene affidato il compito di costruire un’arca in cui salvare sé stesso e un campione degli animali del cielo e della terra – si noti infatti che nelle conseguenze del peccato umano vengono trascinati, loro malgrado, anche gli animali, ma che al contempo essi sono benedetti da Dio tramite la giustizia di Noè e della sua famiglia. Il diluvio arriva e sommerge ogni cosa ma, dopo 40 giorni, l’arca si deposita sul terreno asciutto e i suoi occupanti escono alla luce del sole e si dedicano a ripopolare la terra. In un passaggio fondamentale al termine dell’ottavo capitolo Noè offre un sacrificio al Signore e Dio afferma che, nonostante il male nel cuore dell’uomo non si sia estinto del tutto ma che esso finirà di sicuro per ripresentarsi in futuro, nulla di così sconvolgente accadrà mai di nuovo.

Viene dunque raggiunto un “punto di non-ritorno” nella relazione tra Dio e gli uomini: il diluvio è una soglia da cui non si torna indietro perché la relazione tra il Creatore e le sue creature ora è maturata al punto da raggiungere un nuovo “stadio”; Dio stesso con le sue parole riconosce implicitamente che il diluvio è servito al suo scopo, tant’è che ha aperto una nuova fase: il diluvio infatti non ha cancellato il male per sempre (del resto la giustizia di Noè e dei suoi familiari in nessun modo poteva garantire che sarebbero stati giusti anche i loro discendenti e il diluvio in questo senso è fin dall’inizio un rimedio specifico per una situazione specifica, non un rimedio definitivo che doveva risolvere per sempre ogni problema) ma è servito allo scopo di ri-produrre un certo equilibrio nella creazione, un equilibrio che non sarà mai più sovvertito in una maniera altrettanto drastica – questo almeno, non prima della fine dei tempi. Questo passaggio viene ulteriormente confermato dal patto che Dio fa con Noè e la sua discendenza – e dunque, con tutta l’umanità – e che viene descritto nei capitoli 8-9 di Genesi. Le benedizioni e gli avvertimenti stabiliti nel patto segnano che ora siamo in un capitolo successivo della storia del creato rispetto a quanto precede e quanto segue nel racconto biblico.

Più che una “semplice storia”

Il racconto del diluvio è molto noto e questa notorietà contribuisce a modo suo a renderlo ingannevolmente semplice: leggendolo infatti rischiamo infatti di inciampare nell’effetto del “già letto”. Quando infatti conosciamo bene un racconto biblico per averlo letto o ascoltato più di una volta, finiamo per non farci più e caso e quando lo incontriamo nuovamente diventiamo incapaci di soffermarci sui dettagli e gli aspetti meno superficiali del racconto, che ci consentirebbero invece di coglierne la densità e la profondità. Questo penso sia particolarmente vero per il racconto del diluvio il quale, letto senza attenzione e meditazione rischia di diventare una storia un po’ strana collocata nei meandri delle Scritture, un racconto che tutti conoscono ma che nessuno capisce.

Siccome però il nostro obbiettivo è comprendere come le pagine di Genesi vengano utilizzate da Pietro, mi limiterò qui ad esporre schematicamente l’infrastruttura teologica di questo racconto, per poi ritornare al Nuovo Testamento per comprendere in che modo questa infrastruttura venga riletta alla luce di Cristo. In estrema sintesi possiamo presentare la questione in questo modo: 1) in principio Dio crea i cieli e la terra ma c’è molto da fare, tutto è disordinato e confuso; 2) progressivamente, dal disordine Dio crea l’ordine e le varie creature fino a giungere all’essere umano; 3) l’essere umano viene creato il sesto giorno a immagine e somiglianza di Dio e riceve il mandato esplicito di prendersi cura del creato, diventando di fatto un co-operante di Dio nella missione di concludere l’opera della creazione; questo compito è predisposto in modo tale che la vita dell’umanità sia una vita di gioia, pace, intimità reciproca e di profonda contemplazione dei misteri del creato e di Dio; 4) l’essere umano si ribella al creatore sovvertendo parte dell’ordine che era stato creato e introducendo nella propria esistenza una miseria che altrimenti non sarebbe stata presente; 5) segue a questa ribellione un’escalation per cui la depravazione umana si intensifica e si diffonde fino al
diluvio; 6) arrivato al culmine della pazienza dopo secoli di attesa in cui aveva aspettato che le sue creature tornassero da Lui, Dio usa il diluvio per ricreare un equilibrio che comunque è ancora precario e che non porta alla risoluzione della ribellione umana.

In altri termini, Dio introduce una maggiore dose di disordine nel creato, facendolo sprofondare a un livello di confusione e di indistinzione che ricorda da vicino quello del primo giorno – nulla rimane se non la superficie delle acque – ma questo disordine è sua volta funzionale al ricrearsi di un ordine – per quanto un ordine ancora tormentato e provvisorio. Al ristabilirsi dell’ordine Dio afferma e promette che nulla di simile accadrà mai più – il che ovviamente non esclude la possibilità di sconvolgimenti di minore impatto – e crea le condizioni perché il rapporto tra lui e la specie umana si rinnovi, approfondisca e continui. Dunque il diluvio si rivela come uno strumento estremo ma giustificato della provvidenza divina, che conduce l’uomo verso la riscoperta della sua vocazione come co-operante di Dio nel completare l’opera della creazione. Leggendo questo testo da cristiani possiamo dire che tutto ciò prelude alla venuta di Cristo, sebbene ovviamente in termini temporali siamo ancora molto lontani: Dio agisce qui come altrove nell’Antico Testamento sempre avendo davanti agli occhi il sacrificio di Gesù sulla croce, che da questo punto di vista è lo strumento definitivo che viene approntato dal Creatore per riconciliarsi alla sua creazione – per cui ogni patto precedente a quello fatto per mezzo del sangue di Cristo è fatto in vista di e in preparazione di quest’ultimo.

Arrivati a questo punto, possiamo ritornare alle parole di 1 Pietro da cui siamo partiti.

Figura del battesimo

Ora che abbiamo chiarito i tratti essenziali di quanto implicato dal racconto del diluvio universale, possiamo rivolgerci direttamente alle parole di Pietro. Il gesto compiuto dall’apostolo è semplicemente quello di accogliere quanto la tradizione religiosa del suo popolo gli ha tramandato estendendone l’interpretazione alla luce della buona notizia che Gesù è morto e risorto per i nostri peccati. Letteralmente la rilettura di Pietro del racconto genesiaco si pone a metà tra la crocifissione e la resurrezione di Gesù: infatti nel versetto 18 leggiamo “anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurvi a Dio” e nel 21 troviamo scritto che il battesimo “ora salva anche voi, mediante la risurrezione di Gesù Cristo”. In altri termini la lettura fatta da Pietro dell’acqua del diluvio come “figura del battesimo” si colloca a metà tra la strada che si apre con la morte di Gesù e per la quale siamo ricondotti a Dio e l’effettiva applicazione di questa salvezza alla nostra condizione personale per la potenza della sua resurrezione. Questa potenza si esprime nel battesimo che è quindi un frutto e manifestazione visibile della salvezza, che mostra pubblicamente come in effetti noi siamo stati ricondotti a Dio per il sacrificio di Gesù.

Vediamo quindi come la rilettura e approfondimento del significato del diluvio alla luce della figura di Gesù viene utilizzata dall’apostolo Pietro per spiegarci in che modo noi veniamo connessi agli eventi della morte e della resurrezione di Gesù, al punto in cui essi non sono solo dei fatti storici “esterni a noi”, ma una forza a cui diventiamo intimamente uniti e che trasforma radicalmente la nostra esistenza. Ripercorriamo allora la strada che abbiamo già svolto alla luce di questa connessione che il Nuovo Testamento stabilisce tra i fatti che ci vengono raccontati in Genesi con quelli che ci vengono raccontati nei Vangeli:

1) Come all’epoca del diluvio, l’umanità è ribelle e in uno stato di inimicizia con Dio; questa condizione non accenna a smettere o decrescere e le conseguenze per l’umanità e per il resto della creazione si fanno sentire e vedere (es.: Cfr. Rm 1:18-32, 8:18-23); 2) Dio non è passivo di fronte a questo scenario e il suo giudizio incombe: come in passato non lascerà che la sua creazione, l’oggetto del suo amore venga deturpato dalle azioni degli esseri umani; 3) come accadde per Noè e la sua famiglia vi è chi “ha trovato grazia agli occhi
del Signore” (Ge 6:8); per chi ha trovato grazia, Dio ha provveduto a che ci fosse un’arca in cui la creazione potesse sopravvivere al giudizio purificata; quest’arca è Gesù stesso che grazie alle sue sofferenze e alla potenza della sua resurrezione ci ha condotti a Dio (1 Pietro 3:18); 4) il battesimo riprende quindi il diluvio come sua “figura” – potremmo dire come sua anticipazione – ma è allo stesso tempo un’anticipazione del giudizio finale sul peccato che deve ancora venire e che però è già stato eseguito alla morte di Cristo: trasformati dalla grazia di Dio, per fede siamo battezzati in Cristo e così noi entriamo nell’arca, scendendo nelle acque della morte che cancellano il peccato (in questo senso questa volta si tratta di un’arca sottomarina!) e che rimandano alla sua morte in croce; infine “usciamo” dalle acque della morte in Cristo ossia nell’arca usciamo in un nuovo mondo segnato dalla sua resurrezione (Cfr. Rm 6:3-6); 5) le vicende che stabiliscono Gesù come “arca della salvezza” portano a un nuovo patto tra Dio e l’uomo: come in precedenza le acque del diluvio hanno battezzato il mondo, cancellando il male e introducendo una nuova fase del rapporto tra il Creatore e la creatura contrassegnato dalla buona coscienza di Noè e dei suoi familiari verso il Creatore, così ora accade che chi entra nell’arca è battezzato e purificato, chiedendo e ricevendo in dono una buona coscienza verso Dio.

Come dopo il diluvio, anche questa volta il nuovo patto, il ristabilimento di un nuovo ordine non cancella del tutto il male e il fatto che tutt’ora l’umanità sia in uno stato di inimicizia verso Dio – cosa che possiamo ampiamente constatare con i nostri occhi. Ma questa volta il patto è definitivo e non ne attende un altro; non vi sarà un nuovo ristabilimento dell’ordine se non l’ultimo, perfetto, in cui infine l’opera di Dio sarà completata in un rinnovamento di tutta la creazione, rinnovamento che vedrà l’esclusione definitiva del male e del disordine dalla scena di questo mondo.

Come facciamo a sapere che questa volta il patto è definitivo? Perché questa volta Dio stesso è coinvolto in prima persona nel patto: non abbiamo più un uomo e quindi una semplice creatura mortale come Noè che si trova di fronte a Dio, compie un sacrificio e stringe un patto con il Creatore. Questa volta è Dio che si fa creatura e sta davanti a sé stesso come un sacrificio, raccogliendo dietro di sé quanti sono inclusi nel patto. Tutto ciò avviene in Cristo: per il sacrificio del Figlio e nella potenza dello Spirito Santo di fare ciò che è impossibile per l’uomo, il Padre costituisce un nuovo e definitivo patto che, se anche in questo caso non elimina subito e del tutto il disordine dal mondo, stabilisce la parola definitiva da Dio sulla questione.

Nient’altro se non l’amore di Dio in Cristo

In conclusione, vorrei tirare le fila del discorso e terminare con una parola di esortazione. Come già detto in apertura, il passo di questa predicazione è molto denso e complesso e non pretendo di essere andato oltre un’esposizione molto superficiale del suo contenuto. Può anche essere che la mia ricostruzione dei diversi passaggi del racconto del diluvio nonché dei paralleli tra i due testi siano stati frettolosi, troppo schematici o semplicemente che non risultino particolarmente convincenti. Se così fosse, ci tengo a precisare che la mia spiegazione – che altro non può che essere imperfetta – non dovrebbe essere confusa con il cuore del messaggio di questo testo: essa è semplicemente un mezzo che, nella misura in cui esso è difettoso, può essere migliorato o scartato.

Ciò non di meno ci tengo a chiudere precisando che quello che sta al cuore di questo testo – la sua forza, la sua ragione d’essere – è l’amore di Dio manifestato in Cristo. Questa è in definitiva la realtà da cui dobbiamo farci afferrare quando ci confrontiamo con la lettera delle Scritture, al punto in cui siamo persuasi che veramente in Cristo e a partire dalla sua croce Dio ci richiama a lui, che veramente nella potenza della sua resurrezione noi siamo protetti dalle acque della morte e possiamo attraversare le profondità dell’abisso dell’annientamento purificati, rinati, liberi da ciò che ci affliggeva. Questa è la verità che in queste parole si avvicina a noi e che può trasformare in modo definitivo la nostra vita.

In ultima analisi tutto ciò è espresso con chiarezza dal versetto 22, a cui fino a questo momento non abbiamo dedicato grande attenzione. L’accesso finale di Gesù nella dimensione del divino – lì da dove in effetti proviene – non è un fatto a margine di quanto abbiamo detto finora, se teniamo conto di come siamo uniti a lui, unione che viene in qualche modo suggellata e resa evidente dal battesimo. Perché se siamo uniti a lui allora la qualità dell’esistenza di Gesù – che alla destra di Dio Padre siede sovrano su ogni potenza celeste e terrena – viene in qualche modo distribuita anche a noi, consentendoci di partecipare – per quanto parzialmente e sempre in contrasto con il male che ancora serpeggia nel mondo – all’intimità e alla prossimità a Dio che in Gesù è perfetta, naturale e incontrastata. Questa è in effetti la trasformazione progressiva che si dispiega nella nostra esistenza una volta che siamo nell’arca della salvezza, che ci consente di misurarci e di non vacillare di fronte alle difficoltà della vita, che ci consente di essere come furono Noè e la sua famiglia: una presenza benedicente per noi, per gli altri esseri umani e in definitiva per tutta la creazione; la nostra unione a Cristo è in definitiva ciò che ci consente di essere vite che sono dedite a generare la vita anziché a distruggerla.

Tutto questo è reso possibile e concreto dalla potenza di Dio espressa nella vita di Cristo e specialmente nella sua croce e nella sua resurrezione, potenza che ha preso su di sé e sconfitto il male nella sua sofferenza, che ha riconciliato la creatura con il Creatore, che si è fatta donazione gratuita di nuova vita capace a sua volta di creare nuova vita.

Per concludere vorrei invitarvi ad ascoltare una preghiera presa dalle Scritture, il salmo 46, un testo che contiene immagini che ci richiamano in maniera estremamente espressiva al contenuto del messaggio di oggi. Vi invito ad ascoltare queste parole e lasciare che esse vi tocchino, che vi trasformino; se le avete già sentite tante volte, lasciate che esse diventino un po’ di più parte di voi stessi, lasciate che sprofondino dentro di voi, non offrite resistenza al Dio che si avvicina a voi in queste parole e che vuole farvi parte dei suoi magnifici doni.



Salmo 46 (1-11):

1 Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà. 2 Perciò non temiamo se la terra è sconvolta, se i monti si smuovono in mezzo al mare, 3 se le sue acque rumoreggiano, schiumano e si gonfiano, facendo tremare i monti. [Pausa] 4 C'è un fiume, i cui ruscelli rallegrano la città di Dio, il luogo santo della dimora dell'Altissimo. 5 Dio si trova in essa: non potrà vacillare. Dio la soccorrerà al primo chiarore del mattino. 6 Le nazioni rumoreggiano, i regni vacillano; egli fa udire la sua voce, la terra si scioglie. 7 Il SIGNORE degli eserciti è con noi, il Dio di Giacobbe è il nostro rifugio. [Pausa] 8 Venite, guardate le opere del SIGNORE, egli fa sulla terra cose stupende. 9 Fa cessare le guerre fino all'estremità della terra; rompe gli archi, spezza le lance, brucia i carri da guerra. 10 «Fermatevi», dice, «e riconoscete che io sono Dio. Io sarò glorificato fra le nazioni, sarò glorificato sulla terra». 11 Il SIGNORE degli eserciti è con noi; il Dio di Giacobbe è il nostro rifugio. [Pausa] Amen.