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Il seme caduto in terra deve morire

In questo testo si anticipa il messaggio della risurrezione di Cristo, evento che secondo il Nuovo Testamento è una primizia, una novità assoluta, un'anticipazione del futuro, una rivelazione del destino finale di tutti noi, di come Dio creerà la nuova umanità: è il seme che cade nella morte per risuscitare in tanti altri esseri umani. L'occasione di questo detto di Gesù che ha la forma di una parabola è la richiesta fatta da alcuni greci di incontrare Gesù. Questo avviene subito dopo l'entrata trionfale in Gerusalemme e l'unzione a Betania, che sono l'antefatto o la preparazione della manifestazione del trionfo di Gesù dopo la morte in croce.

Le domande che ci facciamo di fronte alla risurrezione non sono la domanda che ci poniamo di fronte alla croce. Di fronte al patibolo la domanda che si impone dispoticamente è: Sarà la morte l'ultima parola sul destino di Gesù di Nazareth e sul destino di tutta l'umanità? La morte in Giovanni non è soltanto il morire individuale di ciascuno, ma è tutto quel che blocca e frustra le nostre speranze collettive umane di realizzazione come esseri umani. In Paolo la morte è in realtà "il peccato", e questo è il problema dell'umanità. Lottiamo contro la certezza del morire attraverso la speranza, costruendo utopie e impastando sogni. La morte impone la domanda sconvolgente e definitiva: sono le utopie e i sogni gli analgesici che ci fanno digerire la mortale irreversibilità del morire? Non ci sarà null'altro e ci attende dopo la morte (ma anche prima) esclusivamente il vuoto e la distruzione totale del nulla?

Di fronte alla risurrezione di Gesù ci dobbiamo chiedere sul suo perché. Se ci chiediamo il come, tutto quello che ci rimane fra le mani è la possibilità di introdurre come Tommaso il dito in una ferita. Si tratta di ben poca cosa. Se ci chiediamo sul "quando e il come" ci rimarrà fra le mani soltanto un evento discutibile. In ambedue i casi non cambia nulla: il come ci sfugge perché non ci si presenterà il Cristo perché possiamo verificare i fori nell'osso e nella carne; il "quando e il come" sarà un'opinione e non un dato verificabile storicamente in nessun caso. Lasciando da parte queste questioni apparenti, epidermiche dobbiamo occupa¬re la nostra fede in cose più importanti. Ad esempio ci sono ancora tutti gli elementi che impediscono la creazione di una umanità piena e ricostruita: la morte, il dolore, la sofferenza, l'odio, la violenza, la guerra, il desiderio di ricchezza e di potere, lo sfruttamento, la tortura, la distruzione del creato. E' presente e reale tutto quello che blocca la realizzazione di un mondo nuovo e diverso. Cosa possiamo opporre per contrastare il male e i suoi effetti in noi e fra noi? Cosa abbiamo fra le mani per metterci al lavoro? Non basta un dogma che ci rassicuri. Non basta una confessione di fede perfettamente ortodossa. Abbiamo bisogno di qualcosa oltre l'utopia e il sogno. Abbiamo bisogno di metafore e di parole, di azioni e di storia, abbiamo bisogno del seme che caduto in terra muore per portare frutto, finalmente scopriamo una morte che è frutto, primizia, inizio di un lungo ed eterno raccolto di vita. La risurrezione è il seme piantato nel processo storico della lotta per la liberazione da ogni elemento che blocca e impedisce la realizzazione della nuova umanità. La risurrezione di Cristo è la primizia e l'anticipazio¬ne, il frutto della salvezza, noi viviamo in un mondo e costruiamo una storia che non sono le stesse da quando Cristo è risuscitato.

Così riconduciamo la questione della risurrezione dall'ambi¬to individuale a quello collettivo e storico. La rimoviamo dalla sua àncora nel passato per scoprire che è il frutto del futuro che agisce in noi e in ogni presente umano, notate che ogni istante umano si trasforma ora in luogo dove si rivela e manifesta il Signore che è vivente poiché è risuscitato. Il problema della risurrezione consiste nella domanda: qual'è la nostra speranza? Cosa ci è legittimo aspettar¬ci? Dalla risposta a questa domanda dipende la fede nella risur¬rezione. Se la morte è l'ultima parola posta alla vita di Gesù, allora quelli e quello che blocca e impedisce il nostro desiderio di pienezza, di giustizia, di libertà hanno ragione e vinceranno sempre. La risurrezione è la potenza della speranza che ci dice che questo non è possibile e che la morte non avrà l'ultima parola sul nostro destino umano collettivo.

La questione decisiva è che la risurrezione pone dinanzi a noi una responsabilità collettiva e storica. Credere nella risur¬rezione significa impegnarsi in una prassi storica che riproduca la vita di Gesù. Credere nella risurrezione significa inoltre che la vita della fede e la missione della chiesa non si esauriscono negli aspetti dottrinali né negli atti cultuali, ma devono andare oltre, verso l'impegno più umano: lottare contro tutto quel che blocca la costruzione del Regno. Noi oggi dobbiamo affrontare nuove forme di peccato, miseria e alienazione, dobbiamo fronteggiare altre manifestazioni del male, della violenza e oppressione che impediscono la crea¬zione d'una nuova umanità. Credere nella risurrezione significa ancora sapere che chi si confronta con il male come Gesù, in tutte le sue manifestazioni, si troverà dinanzi il potere del male, dovrà affrontare l'impotenza di fronte ai risvolti storici del male, e subirà la potenza del male nella carne, il silenzio di Dio, il buio del venerdì di passione. Di fronte a questa realtà la fede nella risurrezione significa recuperare la memoria della passione e risurrezione di Cristo. La memoria ricostruisce la realtà che contrasta il male: innanzitutto ricostruisce una comunità che vive la vita di Cristo e subisce la sua morte; in secondo luogo attraverso la memoria non lascia morire nessuno dei semi del futuro seminati in noi, li custodisce, li alimenta, li fa diventare carne e sangue dell'azione collettiva e dell'impegno per costruire la nuova umanità e il mondo nuovo.

Martin Ibarra domenica 18 marzo 2012.