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Consacrati a Dio per essere trasformati

Il significato della parola parestesai è in italiano presentare a Dio, consacrare. La parola "consacrazione", significa in italiano darsi interamente, in corpo ed anima, consegnare se stesso. Con-sacrare viene dal latino e significava separare qualcosa per Dio, questa separazione la rendeva "sacra", perché dedicata a Dio. La cosa consacrata era dunque trasformata, da realtà mondana o carnale passava ad essere spirituale, santa, gradita a Dio. La consacrazione tipica in Israele era quella delle vittime dei sacrifici ma anche le offerte, e non solo, all'ottavo giorno ogni bambino era "consacrato" al Signore, e ogni bambina era considerata come separata e appartenente al Signore.

Dio vuole l'intera persona, perché viviamo una vita santa, separata, donata a Dio e alla causa del Regno. La parola santità ha questo significato: la separazione (la consacrazione) a Dio e alla sua causa. Il sacrificio vivente e santo "è gradito a Dio" perché è un sacrificio spirituale e vero, che rispecchia la verità di noi stessi e la verità e la spiritualità di Dio. L'esortazione è a presentare, come facevano i sacerdoti dell'Antico Patto con le vittime sacrificali, non più sacrifici di vittime e il sangue, ma presentare noi stessi, la nostra vita intera (mente, anima e corpo), diventa sacrificio spirituale e in quanto vivente e santo costituisce l'unico sacrificio gradito a Dio.

Dice di presentare prima il corpo soma, ma poi anche la mente vous, in realtà non si possono scindere la mente e il corpo, se qualcuno ci riesce mi dica come fa a scindere e separare la mente del corpo. Non si possono separare perché formano una cosa sola, noi non siamo un composto di anima e corpo, ma siamo insieme, sempre l'unità che formano per sempre, irreversibile, il nostro corpo e la nostra mente. L'intera nostra persona deve essere consacrata a Dio. Notate questi tre aggettivi: vivente, santo, gradito a Dio, il sacrificio che noi presentiamo al Signore non sono più vittime sacrificali, ma la nostra persona, l'integrità della nostra vita. Dio non vuole altro e non vuole "meno" dell'intera vostra vita.

In primo luogo è un sacrificio vivente. Dio è l'Iddio della vita, il creatore della vita, Dio non vuole cose inerte e morte, non vuole cadaveri, ma la vita, e questa vita è la tua, la tua esistenza deve essere consacrata a Dio.

In secondo luogo è un sacrificio santo, in origine qadosh – hagion significava forza ed era identificato con l'alito e con il sangue, la forza dell'essere umano, quello che lo tiene in vita è l'alito che viene da Dio, il soffio divino e il principio vitale creato da Dio in noi e che gli antichi identificavano con il sangue. Dio vuole quello che gli appartiene, la tua vita non è tua tu la ridia a colui che te l'ha data.

Infine il sacrificio è gradito a Dio, questo è quello che Dio accetta e accoglie, e sai cosa significa essere accolto e accettato da Dio? Nell'AT si dice che la gioia del Signore è la mia forza, ripeti con me: la gioia del Signore è la mia forza. Se la tua vita è gradita al Signore come un'offerta di odore soave e dolce, allora tu entri nella gioia di Dio, sei accettato da Dio, non sei più senza destino e alla deriva come i relitti di un naufragio. Durante l'inverno i bambini andavamo sulla spiaggia in bicicletta per vedere le cose che il mare aveva trascinato i giorni di tempesta sulla riva. I resti dei naufragi, le cose cadute in mare e trascinate a riva sono un esempio delle vite perse per nulla. La gioia del Signore è la mia forza!

Ma cosa fa il Signore poi con questa vita intera che noi gli portiamo in sacrificio vivente, santo e gradito a Lui? Se la tiene in una cassaforte? La nasconde in una stanza buia? Cosa se ne fa il Signore della nostra vita consacrata a Lui? Ecco cosa dice il testo: la trasforma. Sì, tu porti al Signore una vita piuttosto insulsa e vuota, senza prospettive, perché la sorte o destino dell'uomo è la morte, passare, raggiungere la polvere di cui è stata tratta. Tu porti a Dio, dicevo una vita vissuta tra alti e bassi, tra gioie e tristezze, una vita significativa a volte altre una vita piuttosto annoiata, a volte esaltata e a volte depressa. Porti al Signore una vita umana e cosa ti ritrovi poi? Cosa fa il Signore della tua vita? La trasforma, la rinnova, la "riconverte", fermiamoci su questa parola. Io la prima volta che ho ascoltato questa parola non capivo quanto potesse essere pericolosa. Ero molto giovane e studiavo all'università quando potevo e non ce la chiudevano i fascisti di Franco; lavoravo alcune ore (quando ancora c'era il lavoro per tutti) e l'impresa dove lavoravo fu assorbita da una multinazionale nordamericana, e fu "riconvertita", cioè metà dei lavoratori quasi quattromila furono licenziati e il resto (del naufragio) dovevamo fare, con lo stesso stipendio il lavoro doppio e poi incrementare la produzione, altrimenti saremmo andati tutti al macero delle vite sfruttate e buttate nei burroni, anche oggi sono io un tantissimo "indignado" perché questa crisi è una fregatura (scusate l'espressione) per i soliti, per i poveracci come noi che facciamo fatica ad andare avanti, mentre più crisi c'è più guadagnano gli speculatori. O si cambia o non so cosa succederà. Ecco, questa è la parola chiave del nostro versetto: Dio prende la nostra vita per "cambiarla", mutarla, trasformarla da morte a vita, dal nulla alla totalità. Dio prende la nostra vita per ridarcela eterna, toccata da Lui, cioè accettata ce la restituisce poi piena, non più soltanto umana, ma divina poiché diventata eterna al suo contatto che salva, rigenera, trasforma, cambia definitivamente e per sempre.

Io non so cosa farai tu, ma io ho presso la mia decisione molti anni fa, tanti che faccio fatica a contarli, dovevo avere otto anni o giù di lì. Non capivo molto bene cosa avrebbe fatto Dio con la scarsa vita che gli portavo innanzi. Ma egli prende tutto, nel buon senso della parola, prenderà anche te e trasformerà la tua esistenza se tu ora ti arrendi alle sue pretese nei tuoi confronti, cioè prendere la tua vita e restituirtela eternizzata.

Martin Ibarra domenica 16 ottobre 2011. In occasione dell'Assemblea Morale della chiesa.