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Romani 9:30-33

Questa breve sezione è molto importante perché contiene una prima conclusione sull’argomento paolino: dobbiamo delimitare bene gli argomenti, abbiamo il contrasto tra gentili (hanno raggiunto la giustizia attraverso la fede) e gli ebrei (potevano anche loro raggiungere questo traguardo della giustificazione per fede), ma hanno preferito raggiungere la giustizia come prima, attraverso le opere. La conclusione: “sono caduti sulla pietra d’inciampo”. Questa affermazione è fondamentale per cui determinare cosa sia questa “pietra di inciampo”, argomento che appare anche in Pietro, nella letteratura giovannea e che nei Sinottici è posta sulle labbra di Gesù.

9,30 “dei gentili hanno ricevuto una giustizia (dikaiosyne) non cercata (me diokonta)” quest’affermazione è sorprendente, perché rappresenta la novità assoluta dell’evento Cristo, la benedizione divina dell’alleanza è stata estesa per così dire all’intera umanità che non è più divisa tra ebrei (isreliti) e pagani (ethne). Tutti hanno accesso al rapporto con Dio ma mediante la fede, ricordate che si tratta di questo, in discussione è se è possibile che un gentile che non forma parte del popolo eletto possa entrare in una relazione di alleanza con Dio, dunque non “tutti” ma “quelli che tra i gentili avranno creduto in Dio attraverso la predicazione del Cristo”, si saranno pentiti dei loro peccati e saranno diventati discepoli di Cristo nella Chiesa. La differenza tra questi e gli ebrei rimane, poiché loro “non sono figli”, ma sono adottati nel Figlio, diventano figli di Dio per adozione. La loro giustizia non è giustizia acquistata con il loro merito, ma attraverso la fede, è dunque “giustificazione” mediante la fede (dikaiosynen de tèn ek pisteos), questo è il concetto chiave della nuova alleanza. Non che il gentile credente diventi giusto o santo, ma notate il participio: è giustificato e santificato (ottiene il perdono dei peccati passati) per la sua fede in Cristo che è morto per lui, è “imputata ai gentili” (per usare il termine tradizionale coniato da Lutero) come giustizia. Il termine usato da Paolo qui è hanno “ottenutokatélaben (ricevuto) la giustizia di qualcun altro (cioè di Cristo) che viene loro attribuita come se fosse loro. Notate che questi pagani giustificati “non cercavano” questa giustizia prima di riceverla. Questo non significa necessariamente che non fossero persone alla ricerca di un modello morale degno, vi erano molti tra i pagani che cercavano di vivere delle vite morali con alti valori etici, ma che prima di ascoltare il Vangelo, semplicemente, ignoravano che questo fosse possibile. Hanno accolto dunque il Vangelo annunciato loro dell’amore divino in Cristo attraverso lo Spirito come una liberazione, come una libera offerta divina di un dono superiore ad ogni aspettativa umana. Dunque hanno raggiunto una giustizia che non era loro (e non li apparteneva prima dell’evento Cristo), mediante la grazia divina attraverso la fede.

9,31 mentre, notate il paradosso, “Israel che cercava la legge di giustizia, non ha raggiunto (ouk ephthasen) quella legge”, prima di chiederci “perché?” che lasciamo per il vs. successivo, dobbiamo penetrare in questo paradosso. Anzitutto Paolo non dice che Israele non abbia raggiunto la giustizia che ricercava, sarebbe un errore interpretare in questo modo le parole di Paolo. Notate che Paolo chiama qui la legge “di giustizia”, alcuni traducono erroneamente “giustizia che proviene dalla legge”, il significato è invece che Dio aveva dato la legge come “un aiuto” a Israele per raggiungere la giustizia di Cristo in attesa del suo arrivo, in che modo doveva aiutarli? Semplicemente in questo modo: doveva mostrare loro che per gli esseri umani “è impossibile” raggiungere la giustizia dinanzi a Dio attraverso l’osservanza delle leggi, ovvero che la via della legge non conduce alla giustizia, ma ci prepara a ricevere la giustizia che viene dalla fede. Questo era già vero nella storia di Abramo e della sua vocazione, egli ha ricevuto la giustizia “perché aveva creduto alle promesse divine” (Rom 1,14-16), era vero anche nella scelta per grazia di Isacco e di Giacobbe, degli schiavi in Egitto, era stata preannunciata nel perdono dopo la caduta di Israele nell’idolatria nel deserto. La legge di giustizia è tappa nel percorso che conduceva Israele verso la grazia, Israele doveva guidare l’umanità nella ricerca di questa giustizia in attesa dell’arrivo della grazia che giustifica mediante la fede. Il problema di fondo è che Israele non ha percepito questo, ha pensato che fosse lo zelo meticoloso nell’osservare la legge a produrre la giustizia dinanzi a Dio. Invece, prima e dopo, e dunque anche nella legge “precedente”, a salvare gli ebrei non era l’osservanza della lettera della legge, ma la fede in Dio bastava per giustificare l’uomo dinanzi a Dio.

9,32 ecco dunque il tragico errore: Israele (ha ricercato la giustizia) non nella fede (ouk ek pisteos)ma “nelle opere” (all’os ex ergon): in questo consiste il tragico errore di Israele. Notate due cose: in primo luogo qui non si dice che sia sbagliato osservare la legge in tutte le sue minuzie e dettagli (Paolo come Cristo) non mette in dubbio l’utilità e il dovere di adempiere tutte le minuzie della legge; in secondo luogo, Israele non è condannato perché continua ad osservare tutte le cose contenute nella legge. L’errore consiste nel “credere” che ottenga in questo modo “la giustizia”, la salvezza, l’adempimento del patto, e che soltanto questo tipo di osservanza della legge, alla lettera, sia il giusto rapporto di figliolanza con Dio. Loro sono convinti che si appartenga all’alleanza perché si osservano tutte quelle leggi in modo letterale. La legge di giustizia non può essere adempiuta in questo modo, ma soltanto attraverso la fede, cosa significa dunque osservare la legge di giustizia mediante la fede? Questa è la domanda chiave per capire il pensiero paolino. In primo luogo riconoscere che l’uomo non può soddisfare i requisiti della legge di giustizia con le sue opere, la legge ci dà la “conoscenza” del peccato ma non il rimedio contro di esso, l’uomo è impotente di fronte al suo volere essere giusto, perché vuole ma non “può” fare sempre ciò che è giusto, la vera conoscenza che ci dà la legge dunque è l’impotenza umana di fronte alla questione della salvezza; in secondo luogo abbandonarsi nelle mani del Dio che giudica secondo misericordia, se la fede consiste in primo luogo nell’avere l’atteggiamento giusto interiore dinanzi a Dio, in secondo luogo la fede è abbandonarsi nelle mani di Dio in serena fiducia sapendo che per le nostre opere meritiamo la morte, ma che Dio è un Dio de grazia che ci giudica secondo la sua misericordia. Qui abbiamo accennato al “significato” dell’atto umano di credere, che non è esercizio intellettuale della razionalità, né la traduzione in formule dogmatiche dei nostri concetti su Dio, ma fede è riconoscere l’impotenza umana e riconoscere l’amore, la misericordia, la grazia di Dio, e abbandonarsi fiduciosi nelle mani di questo Dio, rinunciando a ottenere la sua grazia mediante il pagamento dei nostri meriti umani. Israele invece ha continuato a credere, anche dopo l’arrivo di Cristo che doveva ottenere con lo scrupoloso adempimento di ogni dettaglio della legge, quello che prima e a maggior ragione ora gli era offerto per grazia mediante la fede, come un dono immeritato e non come risultato o pagamento delle opere.

9,33 “essi hanno urtato (sono caduti) sulla pietra di inciampo o di scandalo”: il fallimento di Israele consiste nel non avere capito che con Cristo era giunto “l’adempimento” della legge di giustizia. Cristo la “compie” nel doppio senso di adempierla in tutte le sue parti, e nel senso di ottenere “la giustizia” derivante della legge per donarla a tutti quelli che crederanno, i quali “non saranno svergognati” vale a dire, non sarà vanificata la loro fede posta in Cristo ma otterranno il risultato desiderato. L’adempimento della legge da parte di Cristo realizza la legge di giustizia, ora quella giustizia la riceviamo come un dono immeritato mediante la grazia divina e non per i nostri meriti. La pietra di inciampo o di scandalo, è un testo famoso i Isaia 28,16. Chi crede in Gesù non sarà confuso. Cristo stesso, la sua opera in favore prima di Israele e poi dei pagani che crederanno, non solo non è stata accolta ma è stata confusa. Fino a quando durerà questa tragica incomprensione? La risposta la troveremo nei testi successivi.