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I figli sono un dono avuto dal Signore

In occasione della presentazione di Valentina

Oggi vi invito a riflettere su quello che faremo durante il nostro culto: presenteremo una piccola bambina al Signore. Faremo quello che i genitori ebrei facevano al tempo di Gesù, leggiamo in Marco 10,13: gli presentavano dei bambini perché li benedicesse. I nostri figli sono un dono del Signore, appartengono in realtà a lui. Gli ebrei offrivano a Dio il primogenito, così Giuseppe e Maria avevano dedicato Gesù a Dio, seguendo i rituali del loro tempo, per noi non si tratta di un rituale, ma di un'esperienza della fede. Useremo le metafore del Salmo 127 per illustrare il senso e il significato di quello che stiamo facendo.

In primo luogo notate due genitori portano la loro bambina a la casa del Signore. Perché lo fanno? Per vari motivi: il primo è perché hanno coscienza che questa bambina è un dono avuto dal Signore. Ogni vita, ogni essere vivente è un dono divino, questo riconoscete ora, un sentimento di ringraziamento, perché Dio vi ha visitato, vi ha fatto dono di questa bimba. Oggi abbiamo perso questo senso della vita come dono, prevale quest'idea puramente biologica della vita. Si dice per esempio che una creatura è semplicemente un prodotto biologico. Queste affermazione mi sconvolgono, un essere umano, mio figlio non è mai stato per me un prodotto biologico, ma un dono divino, non è un laboratorio di reazioni biochimiche ma è nostro, perché l'abbiamo avuto da Dio. Ecco il primo perché della presentazione, un ringraziamento, un presentare al Signore perché ci veda, ci riconosca e si prenda cura di noi. In secondo luogo, questi genitori portano la loro bambina dinanzi a Dio e dinanzi alla chiesa, nella casa del Signore. Perché riconoscono che da soli non ce la faranno ad allevare questa bambina. Ecco, da soli possiamo fare poche cose, e abbiamo bisogno degli altri perché la città è piena di insidie, pericoli e possibilità di smarrimento. Abbiamo bisogno della famiglia, deglia amici, dei fratelli e delle sorelle per condurre questa bambina verso la sua maturazione piena, perché un giorno sia una donna matura, saggia, perfetta, giusta, e una discepola di Gesù.

In secondo luogo la presentano al Signore, noi viviamo in un contesto cattolico romano dove i bambini sono battezzati da infanti. Tendiamo dunque a pensare che la presentazione sostituisca il battesimo, dato che da sempre la nascita implica una serie di riti propiziatori. Questa mentalità è pagana, Gesù ha insegnato che il Regno di Dio appartiene ai bambini, e che nessuno entrerà nel Regno dei cieli se non diventerà un piccolo fanciullo. Non dobbiamo compiere nessun rito, nessuna azione di culto sui bambini. Presentare al Signore la bambina è un atto di fede in Dio, voi confessate due cose: la prima e più importante è che il Signore deve guardare e proteggere questa bimba che è un dono suo, la presentiamo perché il Signore la veda, la riconosca, la guardi, la protegga, la salvi, usi grazia verso di lei, diciamo è tua, ti appartiene aiutaci a renderla beata, abbiamo bisogno di te. In secondo luogo, i nostri figli sono la nostra porta verso il futuro, mentre noi invecchiamo loro diventano adulti, e poi quando diventiamo vecchi, i nostri figli e nipoti sono la nostra giovinezza che ritorna. Ricordo che mio padre quando nacque l'ultimo dei suoi nipoti, che mia sorella chiamò Gerson, il nome del figlio di Mosé, disse, quanti anni mi hai tolto d'un sol colpo. Attenzione però a non cadere nella trappola di pretendere di vivere per intermezza persona, risultano disastri nei rapporti umani e mancata crescita e maturazione. Nei nostri figli anche noi abbiamo un futuro.

In terzo luogo la presentano perché il Signore la benedica, e qui entriamo nel mistero del rapporto dell'essere umano con Dio. La creatura è di fronte al suo creatore, la benedizione significa questo, lo sguardo divino su di noi. Gli ebrei usavano un'espressione shekinà per parlare della misteriosa presenza di Dio che accompagna il suo popolo. Nel deserto questa presenza invisibile era simboleggiata dalla nube che camminava davanti a Israele e proiettava la sua ombra sull'intero accampamento, ecco, la shekinò era questa buona ombra di Dio che essendo sopra di noi ci guarda e dunque la sua ombra cade su di noi e ci protegge, ci guida e salva, nel Salmo 121 si dice Adonai è la tua ombra, e significa che Dio è così vicino a noi che la sua ombra copre la nostra ombra, e prosegue dicendo in cosa consista la benedizione: il Signore è colui che ti protegge, egli sta alla tua destra, ti preserverà da ogni male, proteggerà l'anima tua, quando entri e quando esci, ora e sempre. Dunque, ora che questa bimaba è entrata nella vita e finché uscirà, noi invochiamo su di lei la benedizione divina, che il Signore la copra con la sua santa shekinà perché la sua vita trascorra beata e nella gioia per sempre.

Notate infine che il Salmo 127 parla dei figli come di un dono che viene dal Signore: Il Signore ha creato gli esseri umani "liberi", e la libertà è il dono più prezioso garantito da Dio a tutti. Invece la società, e la famiglia ha cercato sempre di imbrigliare, limitare la libertà. Al tempo quando si scriveva questo testo, la società patriarcale, i figli erano una "proprietà" dei padri che potevano disporre a piacimento di loro, tranne che per il primogenito che aveva una status speciale, il resto dei figli potevano essere venduti come schiavi (ricordate il caso di Giuseppe). Il testo afferma qualcosa che è rivoluzionario in quel tempo: i figli non sono una proprietà del padre, ma un dono di Dio, cioè appartengono al Signore e Creatore, sono allo stesso livello del padre, hanno la stessa dignità. La storia di Isacco è la storia di un dono di Dio non solo ad Abramo e Sara, ma a tutta l'umanità. Valentina è un dono del Signore da custodire con infinito riguardo. Nella spiritualità ebraica ogni nato era considerato una promessa divina, un intero universo, è beato chi è stato benedetto da Dio con il dono di una figlia.

Il Salmo ci dice in cosa consiste l'essere genitori: costruire, proteggere e affaticarsi. La prima metafora è quella della costruzione di una casa, e Matteo è costruttore – quanta fatica -, che è sempre minacciata e in pericolo. La casa può crollare in qualunque momento. Aggiunge il testo, se non è Dio a costruire, vale a dire se noi non costruiamo la nostra casa come Dio la costruirebbe, essa crolla. La seconda metafora è la veglia notturna della città da parte delle guardie. Nessuno li vede la notte, ma sono sempre lì, vigili, nessuno se ne accorge, ma sono lì. Essere lì, nei momenti del bisogno, costantemente quando sono piccoli e necessitano ogni cosa, a essere lì, tutta la vita, quando hanno bisogno di noi, non mancare mai all'appuntamento, e desiderare che non abbiano bisogno di noi, come la guardie della città, vegliare il sogno, proteggerlo, difenderlo, essere lì costruendo e vegliando, - quanta fatica -. La terza metafora è quella del versetto 3, la fatica per il pane, il sudore per dare il necessario perché la casa sia un luogo di abbondanza, e prepararli bene perché un giorno siano pronti ad affrontare la città con i suoi pericoli e le sue possibilità.

Essere genitori è un mestieraccio che nessuno riconosce – che neppure i figli gradiscono, se ne rendono conto soltanto quando anche loro diventano genitori -, ma esaltante, perché fra le nostri mani cresce la vita, matura e si espande un essere che è un dono divino e un po' anche nostro.