Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

Nati da Dio

Il nostro testo forma parte di una sezione 2,29-4,12 che tratta la VITA nella famiglia di Dio, mentre nella sezione precedente al centro vi era una riflessione cristologica, ora si riflette sull'opera di Dio in noi. Il vs. 29 segna la transizione tra le due sezioni e serve da raccordo. La premessa è "che Dio è giusto" , voi "conoscete" la sua giustizia – avete fatto esperienza del perdono credendo in lui -, pertanto voi "sapete" che "siete nati da Dio (ex autou gegennetai) perché "fate la giustizia".

La RIGENERAZIONE o l'essere nati da Dio (mediante l'acqua e lo Spirito) è qui esperienza della fede fatta da ognuno, chi ha vissuto per fede questo movimento rigenerativo dall'alto verso il basso e di nuovo dal basso verso l'alto, non è "circolare" ma a spirale. Siamo nati da Dio come il Cristo vivente è nato a Betlemme, la realtà storica della nascita o epifania di Cristo – vero Figlio di Dio -, prende realtà spirituale mediante la fede per cui diventiamo anche noi figli "nel Figlio", si tratta non di "vera" figliolanza ma di adozione, veri figli ma non per generazione naturale ma spirituale mediante il Figlio. Ora siamo di fronte alla realtà concreta dell'essere nati da Dio soggetti della sua grazia (aggraziati) e viventi dalla sua vita. Il doppio concetto di paternità presso i romani potrebbe illustrare la "verità" legale della figliolanza e allo stesso tempo salvaguardare la trascendenza divina, generati non attraverso un atto fisico ma mediante la fede (realtà spirituale) nel Figlio di Dio. La sua epifania è primogenitura, precede la nostra nuova nascita, è la sua impalcatura e principio, nella nascita del Verbo cominciamo a nascere dall'alto verso Dio e la realtà spirituale accessibile mediante la fede.

La nascita del Verbo rivela ancora un'altra componente essenziale della vita nella comunità dei credenti: rivelò o manifestò (ephanerothe) l'amore di Dio che ha donato (dédoken) a noi "l'amato figlio" perché noi potessimo essere chiamati "figli" (tekna) di Dio, perché in Giovanni il termine huios è esclusivo di Cristo. Essere chiamati significa qui proprio quello che la figliolanza adottiva significava nel diritto romano, il figlio adottato riceveva "il nome" del padre adottivo. L'amore avvolge la nascita del Figlio, la sua dimora in mezzo a noi nelle sembianze del falegname di Nazareth è il dono del puro amore divino, quello che ci è propriamente dato è la vita terrena del Figlio. La rivelazione del Padre attraverso il Figlio è concetto fondamentale in Giovanni, non troviamo i sostantivi per rivelazione ma i "verbi", l'epifania del Figlio ci ha consentito di "vedere" il Figlio così come ora siamo noi "nella carne", ma sappiamo che un giorno sarà anche manifestato "come saremo" simili a lui quando lo "vedremo" così come egli è ora, colui che è stato glorificato e innalzato alla destra del Padre. La rigenerazione già ora ci fa simili a come era lui durante il tempo della sua carne, ma lavora dentro di noi per trasformarci in quello che saremo pienamente quando egli sarà manifestato in forma definitiva. Questo è quello che sappiamo (o conosciamo) che saremo simili a Lui quando lo vedremo così come egli è ora, altri preferiscono rimanere ad un livello meno alto, meno mistico, affermando che "lo vedremo come ora egli è" significa che già ora siamo stati trasformati pienamente mediante la fede nel Figlio. "Noi vedremo il nostro Signore e saremo come Lui", ecco la connessione tra la nascita di Gesù e il nostro essere nati da Dio.

La nascita del Verbo dal basso anticipa la nostra nascita dall'alto, e segna anche il carattere "etico" della nuova vita ricevuta da Dio: una vita nell'amore e nella giustizia che imita la vita terrena di Gesù ed evita il peccato. Non si può parlare di vedere o conoscere l'amore di Dio se viviamo consciamente nel peccato. Qui peccato è trasgressione della legge divina e vivere la giustizia significa "praticare" la giustizia. Quello che è implicito in questa riflessione è che la nuova vita deve essere simile alla vita senza peccato di Cristo, la vita nella famiglia di Dio è imitazione del modello. Ma questo è impossibile. Dirà più avanti Giovanni che chi dice di essere senza peccato è "bugiardo" e la "verità non dimora in lui". Si sono versati fiumi di inchiostro per conciliare queste due affermazioni e la "soluzione" più seguita è quello ci colorare di Paolo (Galati 3-4 e Romani 5-7) Giovanni. Per Giovanni non vi è differenza tra asebeia come ingiustizia e hamartia come peccati concreti. Quello che ci è rivelato è che vi è un rimedio contro il peccato: l'epifania del Verbo significa dunque che "il peccato è tolto". Qui abbiamo un collegamento con la rivelazione di Giovanni Battista "ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo". Hamartias are, "togliere il peccato" sì sarebbe l'equivalente paolino della giustificazione. Egli toglie il peccato prima perché non vi è peccato in Lui, chi rimane in Lui vive in una dimensione dove il "peccato è stato tolto", e non pecca più nel senso che il suo peccato è stato perdonato (anche i peccati futuri di cui confesserà la colpevolezza). Questo significa che la nascita è irreversibile? Che non si può decadere dalla grazia? Significa forse in Giovanni che uniti a Cristo noi siamo nati ad una realtà dove il peccato "è stato tolto", non solo i peccato passati ma anche i futuri poiché egli perdona le nostre manchevolezze in un solo ed unico atto, che come direbbe Paolo, è il momento della giustificazione e della pace che ci libera dall'orge divina. Diventando figli nel Figlio entriamo nella dimensione "rigenerata" della realtà in attesa della nostra giustificazione.

Martin Ibarra 25 dicembre 2011.