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Salmo 67: popoli tutti lodate l'Eterno

Il tema di questo culto, nella domenica che dedichiamo ai diritti umani, nella ricorrenza dell’assassinio di Martin Luther King è “Popoli tutti lodate l'Eterno”, e riprende una realtà che si va man mano consolidando nelle nostre chiese. Esse sono sempre più una realtà interetnica e interculturale. Gruppi di cinesi, africani, latino‑americani, coreani, brasiliani di fede evangelica trasformano molte delle nostre chiese in un arcobaleno di razze e di culture, di lingue e di modelli culturali molteplici. Le nostre chiese sono in questo modo influenzate dalle ondate di migrazione degli ultimi decenni e partecipano al dibattito attuale in Italia sulla società multiculturale. Alcuni di questi gruppi diventano abbastanza numero­si e costituiscono delle chiese che entrano a formare parte dell'Unione battista con pieni diritti. “Popoli tutti lodate l'Eterno” è un'esortazione presa dal Salmo 67. In questo Salmo è descritta una realtà futura, quella dell’incontro fraterno tra tutti i popoli uniti nella lode a Dio. Si descrivono l’accoglienza vicendevole, la ricerca della concordia e la fecondità della benedizione divina che porta la prosperità e la giustizia a tutta la terra, come risultato dell’adorazione di Dio. La prospettiva che ha aperto la realtà dei gruppi e delle chiese provenienti da altre parti del mondo fra noi, si è affermata in tre direzioni che sono simili al percorso descritto nel Salmo.

In primo luogo nella direzione della reciproca "conoscenza". Nella Bibbia questa parola yadah non è oggettiva né neutrale ma affettuosa e cordiale, implica l’amare ciò che si conosce, riconoscerlo e prendersi cura gli uni degli altri. La "conoscenza" coinvolge in un processo di avvicinamento che implica il riconoscimento dell'altro, della sua dignità identica alla propria, e l'affetto, l’amore la mobilitazione dei nostri sentimenti di amore e di solidarietà. Occorre evitare il complesso del “padrone a casa sua”, nessuno è padrone della città, tutti quelli che vivono e vi abitano, lavorano e partecipano al bene comune hanno lo stesso diritto di cittadinanza, indipendentemente della loro origine. Conosco l’altro per conoscere me stesso, non conosco me stesso se non riconosco l’altro, così il mio diritto cade se il mio prossimo non gode degli stessi diritti. Questo impulso all’accoglienza viene da Dio e risulterà in una fecondità miracolosa.

In secondo luogo, nella direzione della "valorizzazione" delle diversità. Ogni etnia e cultura è portatrice di modelli, prospettive, diversi dei nostri che dovremmo considerare non una minaccia al nostro modo di vivere e sentire o dire la fede, ma come vere e proprie ricchezze e doni, che si concretizzano in musiche, racconti, lingue, spiritualità e sensibilità nuove che sono un guadagno per chi come noi viveva in un altro contesto culturale. Pensate a come sia cambiata la nostra domenica, il nostro culto domenicale negli ultimi anni. Ora siamo più ricchi e un po’ più stressati perché chiamati a condividere quello che è nostro con tutti gli altri e dunque diventa di tutti. Questo è chiamato nel Salmo la fecondità della benedizione divina: tutti condividono i propri tesori umani con gli altri.

In terzo luogo, nella direzione "dell'inserimento" che non è un semplice assumere o tollerare bonariamente una presenza diversa, ma scoprire che questa nuova dimensione aperta dai gruppi e chiese provenienti da altre nazioni, mi obbliga a cambiare prospettiva, mi porta ad una trasformazione della mia visione e identità culturale, e devo assumere questo cambio come necessario e positivo. In qualche modo mi obbliga a inserire nella mia dimensione la prospettiva della multiculturalità. La nostra società italiana non può più essere quello che era venti o trenta anni fa. Pretenderlo sarebbe una forzatura che provocherebbe conflitti immensi nelle nostre città ormai multiculturali.

Questo percorso che abbiamo fatto ci ha insegnato molte cose, è squisitamente pedagogico e vorremmo proporlo ora come risposta alle questioni che la migra­zione sta provocato nel nostro paese e che dobbiamo trasformare non in problemi ma in opportunità di crescita, di incontro e di progresso del nostro paese.

Prima di tutto occorre "conoscere" lo straniero che arriva in Italia, le condi­zioni di vita e gli orari imposti alle ragazze filippine, agli inservienti delle isole Maurizio o della Bolivia, ai ragazzi tunisini o marocchini, la fatica dei venditori ambulanti di cianfrusaglie. Conoscere le loro condizio­ni reali di vita, il motivo del loro venire in Italia ci aiuterà a capire e ad essere solidali. Sono gli stessi motivi che hanno spinto nel passato milioni di italiani verso qualunque luogo offrisse un probabile futuro migliore. Conoscere per amare, per rispettare e camminare insieme, siamo costretti a condividere gli stessi spazzi sociali, andiamo oltre e condividiamo anche la vita e gli affetti, dobbiamo sentire ogni essere umano come il nostro prossimo, il fratello e la sorella, il figlio, la figlia che magari non abbiamo mai avuto. Di ce il libro del Deuteronomio che dovete trattare lo straniero che vive fra voi come se fosse “uno di voi”.

In secondo luogo occorre "accogliere"lo straniero in modo degno e umano, qualunque sia la sua situazione da un punto di vista legale. Quello che è successo a Lampedusa è una vergogna per tutti noi. Il governo dell'Italia ha il diritto e il dovere di decidere quale sarà la sua politica sull’emigrazione, ma contemporaneamente deve risolvere il problema dei profughi e dei clandestini in modo civile e affrontare il nodo delle condizioni di vita degli stranieri residenti in Italia.

In terzo luogo la sfida reale è l'inserimento nella prospettiva della multiculturalità. Le nostre chiese hanno fatto questa scelta e vogliono "lodare l'Eterno insieme a tutti i popoli" con altre lingue, musiche, poesie, spiritualità, inte¬grando le diversità. Questo creerà più di un problema, ignorarlo sarebbe ingenuo e controproducente. La sfida è individuare e inseguire i possibili percorsi fattibili di integrazione, di conoscenza e di acco¬glienza. Senza lasciare che sia l'improvvisazione a guidare il processo dobbiamo interrogarci e imparare a vivere e crescere immersi in questa nuova realtà piena di speranze e che ha la promessa della benedizione