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Gli angeli nei libri storici

Ora l’angelo prende la spada e la moltitudine degli angeli diventa esercito e al nome di Dio si aggiunge il Sabaoth di marziale reminiscenza. Israele esce dal deserto con la spada in mano per aprirsi un valico nella storia, conquistare una terra e diventare nazione. Di conseguenza cambia l’immagine dell’angelo.

Giosuè 5,13-14. La visione di Giosuè dell’angelo che al comando dell’esercito di Dio è importante per notare questo “cambio” di orientamento teologico riguardo la figura angelica. Notate le similitudini e le differenze con le precedenti “visioni” o concretizzazioni della figura angelica. Si tratta di un “uomo”, è in piedi e in atteggiamento guerriero con la “spada sguainata”, una sorta di legittimazione della guerra santa contro i cananei ma anche della “santità del luogo” che diventa santuario maqos kodesh, lo storico Gilgal. Non si sa ancora se sia amico o nemico, Giosuè domanda ed è pronto a combattere, ma è rassicurato dal personaggio. Non possiamo entrare i questo problema della guerra santa, ci basti per ora notare questa evoluzione. Dio ha un esercito, questo è comandato da un angelo potente che porta la spada ed è schierato con Israele nella sua lotta per la terra. Giosuè rende omaggio a Dio attraverso l’angelo.

In Giudici 6,11-12 l’angelo inviato a Gedeone è preceduto dall’intervento di un profeta, si colloca sotto il teberinto (un albero) e parla a Gedeone chiamandolo forte guerriero. Il ragazzo è in realtà un contadino, la parola che gli rivolge l’angelo annuncia quella che sarà la sua missione, Dio lo trasformerà in “salvatore del suo popolo”. Tra Gedeone e l’angelo inizia un complicato processo di discussione teologica e di richiesta di prove che portano il giovane a prendere la decisione coraggiosa di porsi al fronte di un piccolo esercito per lottare contro i madianiti.

In Giudici 13,20-21 abbiamo un angelo che “visita” i genitori di Sansone, annuncia la lieta nuova della nascita di un “salvatore”. Dio è lodato come mafli, colui che opera meraviglie aprendo l’utero secco. Ci interessa notare che Manoah, il futuro padre del giudice forzuto, non si rende conto dell’identità angelica se non quando questo parte in modo straordinario, scomparendo nella fiamma e nel fumo dell’olocausto. L’idea contenuta in questa visione è semplice: l’angelo è l’incaricato di portare a Dio le preghiere e i sacrifici dei fedeli, entra nel fuoco e nel fumo della vittima sacrificata per portarla dinanzi a Dio. Vediamo una forma primitiva di credenza nella “spiritualità” degli esseri angelici, il corpo con il quale sono visti è apparenza, in realtà sono spiriti e questo si rende evidente soltanto quando penetrano nel loro elemento (il fuoco, il fumo, l’aria) per scomparire. L’angelo è messaggero della grazia che toglie l’onta della sterilità della donna, che al contrario del marito aveva identificato l’angelo sin dall’inizio.

1 Samuele 29,9 (2 Sam 14,17 e 19,27). In questi testi si parla della straordinaria “bellezza degli angeli, diventato luogo comune. La bellezza si identifica con la bontà, la creazione divina è considerata “buona e bella”, dunque gli angeli sono una “parte” della creazione di Dio, non sono esseri divini ma creature di Dio a lui sottoposti. La loro bellezza e sinonimo di bontà assoluta, sono incapaci di fare il male perché sono al servizio di Dio e compiono sempre la sua volontà. Questo li rende esseri al di sopra di qualunque qualificazione morale. Gli atti che compiono non possono essere giudicati a seconda delle regole morali vigenti per gli uomini, loro non sono soggetti al patto e alle sue leggi, loro adempiono sempre gli ordini divini.

2 Samuele 14,20. In un discorso indiretto si parla dell’Angelo come colui che conosce tutto quello che accade sulla terra. L’angelo è sapiente e la donna che parla con Davide paragona il Re al messaggero divino, senza dubbio il Signore dà al suo Unto, al meleq, al Re, la stessa sapienza di cui è dotato l’angelo. Possiamo anche dire che la sapienza del re è ispirata dall’angelo che comunica a lui tutto quello che è necessario sapere perché possa giudicare con giustizia il suo popolo. Questa tradizione collega l’angelo alla hokma, la sapienza divina ma che nel caso dell’angelo non illimitata, la sapienza in possesso dell’angelo riguarda soltanto “la totalità della terra” ma non il cielo, la conoscenza celeste è limitata a Dio, soltanto Dio è onnisciente, conosce tutto in terra e in cielo. Questi sono gli attributi dell’angelo, siamo di fronte ad una riflessione teologica che accuratamente distingue tra l’umano, l’angelico e il divino. L’angelo si situa come figura intermedia tra Dio e l’umanità, non è né divino né umano. Sulla natura angelica ritorneremo più avanti nel nostro studio.

In 2 Samuele 22,11 abbiamo un testo che appartiene ad un Salmo di ringraziamento cantato da Davide in lode a Dio per averlo liberato dai suoi nemici. In questo Salmo si descrive una teofania divina usando le immagini e le metafore della tempesta improvvisa. Il testo dice che Dio si mostra nel “carro di fuoco” (cavalcando i serafini è l’espressione letterale) delle nubi e nei venti che sono le ali dei serafini (i cherubim). Dio si rivela, si mostra nella storia in modo sconvolgente che implica la totalità del creato, i cieli e la terra, come una tempesta che sconvolge la storia. In Num 21,6-8 i serpenti di fuoco che mordono nell’accampamento sono chiamati seraph, ma anche in Dt 8,15 gli scorpioni di fuoco sono chiamati a loro volta seraph. Qui abbiamo già un’insinuazione dell’ambivalenza delle figure angeliche, in futuro affianco agli angeli buoni, belli e sapienti che ubbidiscono Dio e servono i suoi propositi, si troveranno le figure problematiche che rappresenteranno il male in tutte le sue sfaccettature. Appaiono dunque in questi testi preoccupanti sviluppi che indicano una riflessione profonda che intende le figure intermedie partendo dall’antropologia, se nell’essere umano si vedono tendenze positive e negative questa dualità dovrà rispecchiarsi in qualche modo nella serie di esseri intermedi frapposti tra Dio e gli esseri umani, tra il cielo e la terra. Troviamo in nuce la possibilità di futuri sviluppi.