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Il canto di un Dio creatore e la Sua Immensa GRAZIA

Testo: Salmo 8

«che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi?
Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura?»

Il Salmo 8 è e resta un inno che esalta Jahweh, il vero protagonista, ma ha l’impostazione triangolare, cioè pur avendo come protagonista Dio, ha come metro di verifica l’uomo, che è posto in connessione, oltre che con Dio, anche col cosmo. In presenza della creazione nasce l’eterno interrogativo: che cos’è l’uomo nell’infinito? La prima risposta spontanea parla di nullità, di sproporzione, ma non solo rispetto all’immensità speciale dei cieli e delle costellazioni, quanto piuttosto rispetto alla maestà del Creatore. Il cielo, infatti, è «tuo», «opera della tue dita», luna e stelle sono state «da te fissate». La finezza dell’espressione  «opera della tue dita», accentua il contrasto  con le gigantesche dimensioni della volta stellare, su cui passano i luminari del giorno e della notte.

Questa opera colossale Dio l’ha plasmata con la leggerezza di un ricamo, con la raffinatezza dell’artista che fa scorrere le sue dita sulle corde d’un’arpa. Eppure, in questo cielo, gli astri sono fissati, hanno una stabilità inattaccabile.

La prima reazione del confronto triangolare è perciò di sgomento. L’uomo si scopre nella sua essenzialità fatta di limite, senza le sovrastrutture che il suo orgoglio crea. Egli è mortale, è figlio dell’uomo, è figlio della polvere da cui è stato tratto e a cui è destinato. Ma lo stupore raggiuge il suo vertice quando ci si accorge del vero prodigio: quel Dio sconfinatamente superiore e diverso «si ricorda» e «si cura» dell’uomo. La grandezza dell’uomo è scoperta dal salmista proprio attraverso la tenerezza e la fedeltà che Dio adotta nei suoi  confronti: quella nullità, quell’esile realtà che è l’uomo, si trasforma in una creatura grandiosa e superabile. La dignità dell’uomo viene, così raffrontata con quella divina in una coraggiosissima contrapposizione. Non è l’immensità né la potenza né lo splendore o la regolarità del sistema cosmico a impressionare il salmista, ma la maestà, l’immensità e la fedeltà di Dio, il creatore. Quindi, il confronto non è fra l’uomo e il cosmo, ma tra uomo e Dio. La maestà, davanti a cui il salmista s’inchina ora, non è quella spaziale dell’universo, ma quella di Dio.  Eppure questa realtà “malata”, che è l’uomo, può essere oggetto della premura unica e appassionata del Creatore infinito.

«che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura?».

La dialettica della distanza di Dio incommensurabile che definisce l’azione di Dio nei confronti della creatura microscopica e apparentemente insignificante è risolta anzitutto con il verbo «ricordare». Ricordare esprime l’intervento storico di Dio. Ricordare gli eventi della storia della salvezza è sinonimo di credere; il ricordo biblico è la professione di fede che rende attuale e contemporaneo l’atto passato di Dio, introducendo il credente nella vicenda della salvezza. Inoltre, il «ricordarsi» di Dio è l’atteggiamento fondamentale dell’alleanza con il suo popolo.  Dio ricorda i poveri, Dio si ricorda di me. Dio si ricorda di te! Dio si ricorda della sua Parola, del suo amore. Dio si ricorda di ogni essere umano mandando il suo Unigenito Figlio nel mondo affinché ogni essere umano sia guarito d’una malattia che si è stesa su tutta l’umanità: il nostro peccato. Eppure nel nostro Salmo il fatto che Dio si ricordi dell’uomo è oggetto di meraviglia. Un essere così debole, corrotto, destinato ad essere inghiottito velocemente dal tempo, è oggetto del ricordo salvifico di Dio.  Ed è bello vedere che Dio non solo si ricorda di noi, ma anche si prende cura. Prendersi cura significa visitare: Dio ci ha visitato e ci vista in Cristo Gesù. Quindi, questo canto biblico dell’uomo non è un apoteosi (divinazione) dell’uomo di stampo umanistico; è invece una celebrazione della GRAZIA di Dio, l’amore, il ricordo, la preoccupazione di Dio nei nostri confronti. Scriveva Gregorio di Nissa: «L’uomo che, tra gli esseri, non conta nulla, che è polvere, erba, vanità, una volta che è adottato dal Dio dell’universo come figlio, diventa famigliare di questo Essere [Dio], la cui eccellenza e grandezza nessuno può vedere, ascoltare o comprendere. Con quale parola, pensiero…si potrà esaltare la sovrabbondanza di questa Grazia? L’uomo sorpassa la sua natura: da mortale diventa immortale, da perituro  imperituro, da effimero eterno».

Quando questo uomo e questa donna è adottato del Dio di GRAZIA egli porta anche il diadema dell’onore costituito da tutto il fascino, la magnificenza e la forza che si possono sognare. Tre sono i termini che definiscono questa dignità dell’uomo. Il primo è gloria, il vocabolo che designa lo splendore della maestà rivelata di Dio. Questa gloria ora è partecipata all’uomo. Il secondo termine è ornamento, splendore. Infine, Dio intronizza l’uomo nella sua funzione di viceré dell’universo. Le espressioni, le locuzioni di cui il salmista si serve sono derivate dal tesoro linguistico e dal pensiero dell’antico oriente e, secondo l’uso, venivano rivolte al sovrano nel momento della sua incoronazione. Egli era il rappresentante della divinità; anzi egli steso era un dio, come voleva la sua funzione, e si elevava sugli altri uomini e ogni cosa si prostrava ai suoi piedi per la potenza della sua maestà. Questa concezione, con tutti i simboli e riti, ha lasciato profonde tracce anche nel pensiero politico dell’occidente ‘cristiano’. Ma, nel pensiero del salmista, le cose si muovano diversamente!  L’uomo regale, l’immagine e il rappresentante di Dio in terra, non è un singolo che si sente innalzato sopra  tutti gli  altri uomini e li domina col suo disprezzo. L’uomo regale è invece ogni uomo, sia egli ricco o povero, uomo o donna, adulto o fanciullo. A ogni uomo appartiene la dignità che quel re divino aveva per sé solo.

Il dominio dell’uomo sul creato, non conosce confini. L’uomo è Signore di tutte le opere delle mani di Dio, espressione di grande responsabilità per l’uomo e di grande fiducia da parte di Dio, che consegna all’uomo un tesero immenso. Ma il suo non è un dominio conquistato per capacità personali, come propone l’umanesimo rinascimentale, l’illuminismo o l’ateismo, né è un potere usurpato con una lotta o una prevaricazione su Dio; neppure è la celebrazione panteistica di un uomo in cui è posto lo spirito infinito e assoluto. Invece il Salmo 8, ricorda che si tratta di un dominio donato da  Dio, concesso in amministrazione e usufrutto dall’unico che può definire l’universo «opera delle mie mani», il Signore. Come era stato ribadito da Dio: «Il timore e il terrore  di voi sia in tutte le bestie selvatiche e  in tutto il bestiame …Quanto striscia sul suolo …».  

Cari fratelli e care sorelle, la tensione che si crea tra la creazione dell'uomo a immagine di Dio e la sua pochezza, che ci fa vivere in una dimensione del hic et nunc e del già e non ancora: già riflesso di Dio e del suo progetto, ma non ancora pienamente come Lui. In questa dimensione l'uomo e la donna possono trovare riposo, e dedicarsi alla cura della sua creazione. L'essere a immagine di Dio, seppur imperfetta e non completa, indica una grande responsabilità: significa avere a mente l'agire di Dio e i suoi progetti. Possa lo Spirito Santo illuminare il nostro cammino, donarci la mente di Dio, e affinare la nostra carnalità affinché possiamo comprendere a pieno la bellezza e il dono di Grazia che il Signore ci ha elargito AMEN