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La guarigione della donna curva

Il testo possiede una forza simbolica estremamente importante anche per noi oggi. Ci racconta la storia di una donna piegata che riceve da Gesù la forza per raddrizzarsi e diventare libera. In ogni tempo ed in ogni società ci sono le categorie di persone che vivono piegate e curve, una condizione di sminuita umanità. La potenza liberatrice del Vangelo si vede qui ora in tutta la sua potenza di annuncio della libertà ai carcerati. La storia racconta l’incontro tra Gesù e la donna curva (immaginate questo incontro), come lo sguardo e l’azione di Gesù abbiano trasformato la condizione piegata della donna.

La guarigione è provocata dallo sguardo di Gesù, l’evento più importante nella narrazione è che Gesù ha visto (idein), la donna piegata e curva, vedere è qui notare, scoprire con uno sguardo pieno di compassione la condizione di sofferenza dell’ultima fra gli ultimi. Siamo in un giorno di sabato e Gesù è nella sinagoga insegnando la parola di Dio al popolo. Dopo averla vista Gesù la chiama donna, è chiamata nella sua doppia condizione, notate di donna e di sofferente. La chiamata divina segue lo sguardo misericordioso che penetra la condizione disperata della donna. In cosa consiste questa condizione. Notate che è piegata e può vedere soltanto la terra, non può guardare nessuno dall’altezza dei suoi occhi. Questa condizione prende immediatamente nel testo e nel tempo in cui ci troviamo, un profondo significato socio-simbolico. In quel tempo “tutte le donne” vivono quella condizione di essere piegate e curve, ossia di subordinazione assoluta, la malattia fisica che la piega si trasforma in segno del pregiudizio sociale del tempo che piega la donna e la rende appena più di oggetto o possesso dell’uomo. Inoltre, secondo le interpretazioni rabbiniche del tempo, essere umani consisteva nella capacità di vedere, parlare, discernere, d’interloquire con altri e con Dio. La donna non può pregare perché non può raddrizzarsi, ha la testa bassa, segno dell’umanità caduta e del peccato. Non può per se stessa mettersi in piedi.

Gesù non si limita a guardare e a chiamare la donna, ora parla e dice “sei slegata”, il che significa ora sei libera, e a questa parola potente aggiunge il gesto definitivo dell’imporre le mani. Il risultato è che la donna, immediatamente si raddrizza, acquista la sua piena umanità, è liberata, diventa soggetto e persona, tutte le caratteristiche che le erano negate per la sua malattia e per la sua condizione di donna. Questo avviene notate, in sinagoga, nel luogo sacro e in giorno di sabato il giorno che la fede ebraica sacralizza per l’incontro con Dio. Ora la donna come risultato della liberazione prorompe in un canto di lode a Dio, finalmente può rivolgersi a Dio perché Gesù l’ha raddrizzata e non è più piegata su se stessa.

La reazione del capo della sinagoga merita un commentario dettagliato, si tratta apparentemente di un’obiezione ragionevole. Ribadisce la prassi ebraica del sabato, in questo giorno gli esseri umani si devono astenere di qualunque lavoro, mentre gli altri sei giorni sono da dedicare alle opere umane. In queste parole vi è implicita una doppia condanna di Gesù e della guarigione della donna. Notate quanto sia sottile l’obiezione di questo capo della sinagoga. In primo luogo considera la guarigione avvenuta come opera e lavoro umano e dunque non è un’opera di Dio. L’azione compiuta da Gesù è lavoro umano e non ergon tou Theou. Con questa interpretazione dell’opera consumata dentro della sinagoga si tenta di screditare Gesù, è potente sì, ma l’origine della sua potenza è puramente umana, egli non viene da Dio. In secondo luogo è implicita anche la condanna religiosa, Gesù non compie i comandamenti divini per cui, non solo non è di origini divini ma opera contro la volontà di Dio, si nega che Gesù agisca in nome di Dio e seguendo la sua volontà. Come le trasgressioni del sabato implicano l’essere tagliati dalla qehal, il capo della sinagoga sta di fatto chiedendo la condanna di Gesù come trasgressore del comandamento del sabato. La reazione finale da parte del capo della sinagoga e degli avversari di Gesù è di vergogna, sono stati sconfitti ma preparano la loro vendetta contro il giovane sovvertitore della loro società, sono pochi è vero ma sono potenti, hanno il potere politico e religioso dalla loro parte. Mentre il popolo, la stragrande maggioranza è con Gesù e si meravigliano e riconoscono che quelle opere sorprendenti e grandiose in favore no dei ricchi ma degli umili, degli sconfitti provengono da Dio. Ma loro sono poveri e destituiti di potere. Una società che piega i diritti degli esseri umani, siano essi donne, stranieri, irregolari, è ammalata, l’oppressione e senza dubbio una malattia sociale che oggi minaccia l’Italia, il nostro paese deve sviluppare gli anticorpi per isolare e sconfiggere queste tendenze.

La risposta di Gesù disinnesca la doppia obiezione. In primo luogo Gesù risponde all’obiezione che l’opera da lui compiuta sia una trasgressione del sabato. Chiama ipocrita il detto del capo sinagoga e di quelli che la pensano come lui. Il detto di Gesù è eclatante, afferma che sono degli ipocriti perché tutti slegano i loro asini e buoi per darli da bere in giorno di sabato, mentre condannano che egli abbia slegato una figlia di Abramo tenuta legata dal demone (gli antichi pensavano nella connessione tra malattia e forze diaboliche). Gesù ha slegato, ha reso libera una figlia di Abramo (di Dio) perché possa lodare e benedire Dio il giorno di sabato. Era un’azione più urgente e necessaria di slegare una bestia, se autorizzate un lavoro per sostenere il bue e l’asino che senza acqua possono morire, quanto più dovevano autorizzare lo slegare una donna piegata da diciotto anni dalla sofferenza. A questa obiezione nulla possono controbattere, sono ammutoliti e sconfessati, Gesù non ha trasgredito il comandamento del sabato. Ma, Gesù risponde anche all’altra obiezione, cioè che la sua azione sia stata “un’opera o lavoro umano”. Gesù ha slegato chi era prigioniero del diavolo, e questa è un’opera divina, salvare, dare la libertà. Gesù si è appropriato del luogo sacro e del giorno santo per aprire un giorno giubilare, perché egli è il Signore (vs.15), questo vs. è il centro del racconto, il Signore ha deciso di aprire un giorno del giubileo per la liberazione dell’oppressa, la donna, per rendere libera la schiava dai legami sociali e dalla malattia che la schiacciava piegandole su se stessa, sulla condizione di donna obbligata a portare il proprio corpo piegato dalla dura legge patriarcale che la condannava ad essere oggetto e possesso dell’uomo. Se dovessimo attualizzare il nostro testo, non c’è dubbio che è ancora pertinente e necessario proclamare come Gesù la libertà e l’uguaglianza delle donne, dei poveri e degli stranieri, tra essi i minimi sono quelli che non hanno documenti, a loro e per loro parla questo testo potente che denuncia ogni forma di oppressione e proclama la libertà ai prigionieri.