Apocalisse (cap 4 e 5) 1
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- Scritto da Martin Ibarra
LA VISIONE DELL'ADORAZIONE DAVANTI AL TRONO BIANCO IN CIELO:
Il titolo del libro nasconde un paradosso, la parola “Apocalissi” significa letteralmente "rivelare, svelare, mostrare ciò che era nascosto". Invece, non ci sfugge che il libro dell'Apocalisse è talvolta il più difficile da capire e interpretare di tutto il NT. A cosa è dovuta questa difficoltà? Al fatto che molto presto si perse la chiave di lettura dei suoi simboli, figure, eventi. Con la perdita del significato originario dato alla complessa simbologia sorsero diverse letture. All'inizio ci furono fondamentalmente due tipi di interpretazioni: allegorica e letterale. Durante il Medioevo molti gruppi millenaristi attinsero dall'Apocalisse una giustificazione delle loro attese utopistiche, complicando ancora la già caotica interpretazione del testo. Questo fu il motivo per il quale alcuni, ad esempio Lutero, consideravano questo libro inferiore al resto del canone.
Se dovessimo dire quali sono le difficoltà maggiori di questo libro, la scelta sarebbe relativamente facile:
Il Linguaggio in cui è stato scritto è appunto apocalittico, vale a dire un tipo di linguaggio con caratteristiche molte diverse di quelle del nostro linguaggio concettuale o simbolico. Non lo potremo capire se prima non impariamo a conoscerlo e decifrarlo. L'apocalittica è innanzitutto una mentalità, e solo in un secondo momento è un genere letterario. Questa mentalità presuppone un certo atteggiamento religioso e esistenziale. Implica una concezione del mondo disperata, nel senso che dispera della possibilità umana e della storia di trasformare il mondo dominato dal male. Solo un intervento diretto divino potrà cambiare le condizioni di malvagità assoluta, e ricreare un mondo nuovo. Il mondo vecchio sarà completamente distrutto. L'eliminazione fisica e completa del vecchio mondo o "eone", età, è condizione di possibilità della creazione del mondo o "eone" nuovi. La fine del mondo si propone come una "sostituzione" cosmica che avrà la dimensione di un cataclisma terribile. Scrivendo queste convinzioni in quel tipo di linguaggio, creano un genere letterario. Non è un genere creato dai cristiani. Esisteva in altre letterature, ad esempio fra gli ebrei cominciò a svilupparsi dal tempo dell'esilio in Babilonia. Si tratta di un genere letterario presente in tutte le religioni che in quell'epoca si chiedevano sul senso ultimo della storia e sulla sorte avversa del giusto.
L’Apocalisse è un Libro di Consolazione per una comunità perseguitata:
Questa è la prima caratteristica del nostro Apocalissi. Esso tenta di portare consolazione a una Chiesa perseguitata, in "crisi", sottoposta a una dura prova. L'orizzonte e la prospettiva dei cristiani che lo scrivono e leggono è l'esperienza del martirio: la morte per la testimonianza al Cristo, la deportazione, l'esilio, la riduzione allo stato di schiavitù. L'autore racconta gli eventi del presente e nel descriverli utilizza una serie di elementi stereotipati che erano stati creati precedentemente. Con essi tenta di abbozzare la realtà futura immediata che attende ai "vincitori", quelli che rimarranno fedeli fino alla morte. In nessun caso tenta di fornire una cronaca giornalista della successione di eventi degli ultimi tempi.Egli parla di una persecuzione violenta che colpirà tutti i cristiani e che sarà superata. Dio stesso lo promette attraverso la sua parola rivolta al veggente, distinguendo fra i tempi: il presente sarà il tempo della prova; il futuro immediato quello della consumazione; il futuro prossimo quello del riscatto e della "sostituzione" del vecchio mondo. Non è un libro originale, i materiali che utilizza sono stati elaborati e deposti nel genere letterario da altri. Il nostro autore utilizza soprattutto immagini e simboli provenienti dall'AT, dalla profezia ebraica e dall'apocalittica, e ci sono delle immagini che provengono da altri contesti mitologici, da diverse simbologie: persiana, babilonese, greca od egiziana.
La figura sottolineata è il Cristo, e la promessa enfatizzata è la sconfitta delle potenze malvagie e anticristiane, mentre la speranza accentuata è quella nella vittoria dei "martiri". Questa speranza fonda l'esortazione più ripetuta: "resistere" all'idolatria, rappresentata dal culto di Stato all'imperatore. L'omaggio richiesto all'immagine dell'imperatore è la cifra del male del tempo e del mondo. Ogni cittadino dell'Impero doveva sacrificare dell'incenso dinnanzi ad una statua dell'Imperatore romano, e giurare fedeltà per il genio di Cesare. Un ufficiale imperiale doveva certificare l'avvenuto giuramento di fedeltà con un "libellus", un documento ufficiale. Il criterio dell'apostasia dei cristiani era il soccombere o meno a questa pratica. Chi asseconda i "falsi profeti" della religione statale (la Seconda Bestia), è un idolatra e non avrà la corona della vittoria. Chi resiste fino al martirio (morte o riduzione alla schiavitù) sarà un vincitore. Questo implica il suo essere un libro inserito nel suo "tempo" e destinato al suo tempo, alle condizioni vitali dei lettori. Noi non lo possiamo leggere come se fosse stato scritto per noi da un nostro contemporaneo.
1. Introduzione generale ai capitoli 4 e 5.
Nel capitolo 4 troviamo la visione del trono divino e dell'adorazione celeste di Dio creatore e sovrano del tempo e della storia, con un seguito cristologico nel capitolo 5. Il veggente è trasportato in cielo. Si tratta di un’esperienza che nello studio delle religioni è chiamata rapimento estatico. Esso può consistere in una visione o teofania simile a quella di Isaia 6 o Ezechiele 1, o a un sogno. Il risultato è lo stesso. Attraverso la visione o il sogno si giunge alla percezione del mondo celeste, la realtà parallela o superiore al mondo. Chiudere gli occhi alla realtà presente e aprirli in una realtà diversa è frutto di un’opera concreta dello Spirito. Soltanto attraverso l'azione dello Spirito si può avere questa percezione, intuizione o esperienza. E' un fenomeno raro, inconsueto. Oggi il rapimento estatico è stato banalizzato, è diventata esperienza unanime e plebiscitaria in alcuni movimenti carismatici e pentecostali. Quello che prima era riservato agli aristocratici della mistica, gli insoliti palombari dell'intuizione è oggi esercizio di atleta carismatico con i muscoli della fede gonfiati dalla continua esercitazione nei misteri delle esperienze ultime che per loro sono frequentissime, solite, come gite di fine settimana.
Il rapimento del veggente non deve essere separato dal suo punto di partenza: 1) la situazione vitale dello scrittore condannato all’esilio e ai lavori forzati nell’isola di Patmos quella domenica, durante il tempo del rapimento; 2) la situazione delle chiese alle quali deve rivolgere il messaggio. Non si tratta di un viaggio per la stratosfera per il suo godimento personale, ma di una visione che deve portare consolazione e coraggio alle chiese perseguitate, coinvolte pesantemente in una lotta disperata contro l'impero romano che incarna il male e il potere umano che vuole divinizzarsi e diventare assoluto. A questo punto di partenza del veggente umano e delle chiese alle quali deve parlare attraverso il messaggio ricevuto durante il rapimento mistico, si aggiunga il punto focale della prospettiva dalla quale parte il cap. 4: siamo stati portati insieme al veggente dinanzi al trono della maestà sovrana di Dio sul mondo e sulla storia, sul tempo e sul creato. Vedete come in questo modo la prospettiva personale e comunitaria è stata allargata, resa infinita con questo spostamento dell'attenzione. Siamo messi a contatto con la dimensione celeste ed eterna, con la cabina di regia dell’Universo, il luogo dal quale Dio conduce la storia verso la sua consumazione finale. Le tende dell'orizzonte e del tempo sono state aperte e contempliamo l'altro tempo, l'altro contesto, quello del disegno divino universale. In questa dimensione celeste è già avvenuto un fatto che dovrà avverarsi anche in terra: il superamento di ogni opposizione al disegno di Dio e al suo dominio. Per dare un esempio, quando noi vediamo la trama del ricamo dalla parte contraria vediamo soltanto dei fili aggrovigliati, quando la vediamo dalla parte giusta, allora comprendiamo il disegno. Questo succede a noi, siamo dalla parte sbagliata, dalla parte del tempo e della storia che viviamo percepiamo soltanto una parte confusa, un groviglio di fili e non capiamo la storia come una UNITA’ che si svolge nella fasi temporali guidata e portata da Dio a compimento. Ora con il veggente siamo dalla parte giusta, nel luogo dove Dio porta al compimento il suo progetto di salvezza per il mondo.
La sovranità di Dio è già riconosciuta in cielo e celebrata attraverso l'adorazione delle 4 creature e dei 24 anziani. Un giorno, sulla terra, prevarrà l'adorazione a Dio adesso contestata e soppiantata dall'adorazione all'imperatore romano. Il potere del male sulla terra contesta il potere divino e imita con inganno il culto che deve essere reso solo a Dio. Attraverso il culto alle creature e alle loro creazioni, l'impero, l'uomo assolutizza una realtà finita e ostacola il riconoscimento della realtà finale che comunque alla fine prevarrà.
Apocalisse 4:1‑3: Il Trono di Dio.
Con questa visione del trono divino comincia l'Apocalisse vero e proprio. Il cambiamento viene indicato dai due verbi che descrivono la visione. Il veggente è colui che vede e ascolta. Questi due verbi sono nel linguaggio di Giovanni le due azioni o momenti della fede. La vista penetra la realtà ultima, contempla quello che si trova più in la delle circostanze del tempo e del mondo presente, sono gli occhi della fede che penetrano la porta aperta dallo Spirito. Attraverso l'orecchio è ascoltata e identificata la voce con Colui che prima aveva parlato nelle Scritture sacre del popolo ebraico. L'esperienza della fede si configura come questa capacità di penetrare le apparenze e scoprire Colui che parla oggi alle chiese. La visione del cap. 1 e le sette lettere dei cap. 2‑3 erano l'ouverture, il prologo della tragedia. Dovevano preparare le chiese a partecipare a questa visione celeste. Attraverso lo scrutino, gli avvertimenti e le promesse le chiese sono state coinvolte nel dramma cosmico, così potranno prepararsi ad affrontare la crisi prossima e capire il senso degli avvenimenti che devono accadere in seguito. La voce che è stata identificata come quella ascoltata prima (cap. 1), aveva già ordinato al veggente di scrivere ogni cosa per inviare il libro alle chiese. La seconda volta che la voce è ascoltata, adesso comincia a dischiudere, a mostrare e rivelare al veggente rapito in estasi la realtà celeste.
Ci sono tre elementi simbolici costitutivi della visione (dell’esperienza del veggente): il rapimento nello Spirito, la voce identificata con Colui che ha parlato nella Scrittura e che oggi parla alle chiese, e la porta che si apre. Questa porta divide i due piani della realtà: il piano celeste e quello terrestre. La parola e lo Spirito aprono per noi la porta della realtà invisibile. Adesso le parole del veggente dischiudono, svelano per noi tutto quello che egli ha visto e udito. Questi tre elementi insieme servono a rivendicare l'origine divina dell'estasi e della rivelazione ricevuta. Essa accade in cielo. Cosa significa e simboleggia questo cielo (ouranos)? Attraverso le descrizioni di Giovanni questo cielo dove si trova il trono di Dio è diverse cose allo stesso tempo: 1) è una sorta di quartiere generale di un esercito impegnato in una guerra (abbondano le immagini prese dal linguaggio militare); 2) è la sala del trono di un sovrano orientale dove il Re tiene la sua corte, amministra giustizia, decreta leggi, impartisce dei comandi, invia dei messaggeri e ambasciatori che devono compiere questi comandi; 3) è una sinagoga dove viene aperto il libro della parola di Dio contenente il destino e la storia dell'umanità, questo è letto, rivelato, capito e trasmesso; 4) è il luogo santissimo del tempio celeste dove si svolge senza interruzione l'adorazione divina; 5) è una corte di giustizia dove vengono emesse delle sentenze, ascoltati gli appelli, fatta giustizia ai buoni e dove i distruttori o malvagi sono puniti. Perché questa pluralità di immagini e significati? Perché tutto quello che noi possiamo dire su Dio è linguaggio umano approssimativo, equivoco, superficiale, inadeguato. La pluralità delle immagini deve salvaguardare l'ineffabile essere divino che non può essere conosciuto appieno da parte dell'essere umano. La realtà unica di colui che siede sul trono non è percepibile da noi. Perciò non solo c'è bisogno di una pluralità di simboli, ma ogni simbolo individuale conserva una certa ambiguità: può avere a sua volta diversi significati. Le allegorie e le immagini, i simboli e le figure sono plurali e ognuno può avere diversi significati. Nel caso della porta abbiamo già visto uno dei significati in Apocalisse, frontiera tra il cielo e la terra (come nella visione di Giacobbe), il candelabro può simboleggiare le chiese che sono luce per il mondo, l’angelo della chiesa (il proclamatore della parola che illumina il mondo trasmettendo il Vangelo) ma anche lo Spirito di Dio che illumina la nostra percezione della parola di Dio, cioè del rottolo che sarà poi presentato, aperto e interpretato / trasmesso.
Dio vuole mostrare al veggente quello che deve accadere in seguito. Anche il tempo conserva una pluralità di significati. Chi vuole semplificare il tutto dando risposte univoche alle diverse questioni che il testo apocalittico solleva, anziché aiutarci a capire ci porta fuori strada. Per esempio, c’è chi dà più importanza all’esperienza rispetto al “contenuto” o risultato del rapimento che sarebbe il testo scritto. Di fronte all’esperienza del veggente si propone la ripetizione dell’esperienza e non l’interpretazione del testo risultante. Questo è fonte di equivoci e possibili manipolazioni delle persone e anche del testo biblico. Il rapimento ha un valore conoscitivo: aiuta a capire e a conoscere le cose che devono accadere, è funzionale a questo e niente altro. Una volta il rapimento è stato scritto e consegnato il risultato alla chiesa, la fede si deve occupare nell’interpretazione del testo e non nel mimare l’esperienza per avere nuovi testi da mettere affianco all’unico testo autorevole già a disposizione. Credere per chi leggerà la conoscenza nascosta nel libro non potrà ridursi al fatto di credere che il rapimento sia avvenuto e come si sia svolto per rivivere l’esperienza all’infinito. Il credere che deve coinvolgere il lettore (allora e adesso) non si riferisce alla possibilità oggi del rapimento, alla persona che ha subito il rapimento, alla sequenza, ritmo, durata, al come e quando degli eventi descritti, al quando e come si avvereranno. Queste sono cose di importanza minima. Ciò che è importante è il contenuto della rivelazione stessa, quello che ci è concesso di conoscere e che ci viene trasmesso. La rivelazione riguarda Dio e la sua opera. Il resto è il veicolo attraverso il quale noi dobbiamo identificare la voce dello Spirito che parla ancora alle chiese. Il veggente adopera i simboli giusti perché anche noi possiamo identificare quella voce. Perché sarebbe la stessa voce che domenica dopo domenica, noi ascoltiamo nel nostro culto di adorazione che è un riflesso dell'adorazione celeste. Il rapimento ci rivela due cose: Dio ci sta parlando; Dio ci comunica il suo proposito e la parte che ci aspetta dentro del suo disegno complessivo. A noi tocca ascoltare, credere e agire. Quello che Giovanni vedrà in cielo sono certi eventi che avranno un seguito equivalente o parallelo sulla terra. La porta separa due realtà. Il cielo e la terra vengono uniti in quell'istante della visione. Noi siamo trasportati oltre la soglia per guardare questi eventi. Così sapremo che eventi simili accadranno in seguito nella nostra storia. Inoltre, la rivelazione ha un senso ulteriore. Alcuni eventi accadono in cielo perché altri eventi accaduti in terra lo consentono.
Cosa accade in cielo? Giovanni vede la sala del Trono. Tutto avviene attorno a questo centro dell'universo. La prima cosa che vede il veggente è che c'è un Trono in cielo. Sul trono siede Uno.Il Trono è il simbolo della maestà e sovranità di Dio sul tempo e sul creato, sul mondo e sulla storia. Il Trono è il simbolo del dominio universale di colui che vi siede. Ci sono altri troni in terra: quello di Cesare, quello della Bestia. I credenti devono sapere questo: lassù in cielo c'è un Trono che è al di sopra di ogni altro trono. Esso è eterno mentre i troni dei tiranni sono passeggeri. Il trono perenne simboleggia il dominio universale mentre gli altri sono simboli di un dominio derivato e parziale, simboleggia la totalità e completezza del dominio divino, mentre gli altri troni sono una parte della storia e della realtà. La visione non si soffermerà su chi è seduto sul Trono. Dio non può essere oggetto di speculazione ma di adorazione. I troni umani non possono essere oggetto di adorazione. Dio è UNO e l'adorazione implica la fede. Adorare l'immagine dell'imperatore equivale a commettere un'azione di apostasia e di idolatria. Perché sul trono di Cesare si proietta l'ombra del trono di Satana (2:13). Il proposito divino appare già chiaro da questa ouverture: quello che avviene in cielo accadrà sulla terra; ci sarà un unico Trono; tutto quello che possiamo sapere su Dio è la sua maestà sovrana, il suo dominio; di fronte al mistero c'è una sola risposta possibile, l'umile adorazione che riconosce la sua signoria su tutto e su tutti. Questa realtà viene riconosciuta nel Culto di adorazione della chiesa. Per noi l'adorazione nel culto pubblico domenicale spesso non è che un monotono scorrere di sequenze liturgiche, di tempi scanditi da azioni cultuali identiche. Il rinnovamento del culto è la garanzia che le nostre forme liturgiche non diventino fine a se stesse. Aprire, rinnovare il nostro culto con dei nuovi canti o dando più spazio alle emozioni può essere un antidoto contro la fredda monotonia di culti ingessati e senza emozione. Ma il rinnovamento del culto non può significare la sua banalizzazione. Conservando il palpito profondo della liturgia riformata dobbiamo riscoprire i valori del culto classico protestante rinnovandolo costantemente. Occorre enfatizzare due elementi: l'elemento della percezione del mistero attraverso i diversi linguaggi del culto: poetico, simbolico, musicale e logico‑razionale; l'elemento della risposta umana alla parola e all'incontro con il mistero nella preghiera, nella confessione di peccato e della fede, nell'impegno preso con decisione e costanza per vivere l'altro tempo come un tempo di adorazione nel servizio e nella diaconia.
Sull'aspetto di colui che siede sul trono si dice soltanto qualcosa di convenzionale: la similitudine con la pietra di diaspro e di sardonico. Non si sofferma sulla descrizione di Dio ma del Trono. Così viene salvaguardata la trascendenza non conoscibile di Dio. Dio è al di là delle possibilità descrivibili con linguaggio logico formale. La similitudine preserva l'ambiguità e l'ambivalenza di ciò che si può dire sulla trascendenza. Quello che deve bastare è la presenza di Dio, il suo essere sul Trono. Il contatto con Dio non può essere diretto ma mediato. La mediazione della visione di Dio è fondamentale per capire l'alterità divina. In questo caso la parola della visione diventa l’unico strumento di mediazione. Il simbolo che essa contiene dischiude per noi la realtà ultima il cui segno è la presenza numinosa (nascosta) di Dio. Notate che ci troviamo nel centro del paradosso dell’Apocalisse: esso è una rivelazione ma nel rivelare qualcosa su Dio, la parola che rivela quell’aspetto del divino, cela a suo tempo tutto il resto, la vastissima, infinita regione del non conosciuto riguardo Dio. Ciò che importa è l'impatto della visione: riconoscere la maestà e la santità di Dio e adorarla. Il secondo elemento della descrizione della presenza di Dio sul Trono è l'arcobaleno simile allo smeraldo. Di nuovo, l'immagine che meglio descrive la divinità è la luce. L'arcobaleno ci rimanda all'alleanza con Noè e il creato. Esso è venuto a significare due cose: la misericordia divina e la benevolenza della sua grazia. L'arco deposto sulla volta celeste significava che Dio aveva deposto le sue armi, la sua guerra contro l’umanità, era gesto unilaterale di benevolenza perché l’umanità potesse ripartire dal sua fallimento. L'ira divina giusta non avrebbe compiuto di nuovo la distruzione della terra e dei viventi come avvenne con il diluvio. Dio ha appeso il suo arco da guerriero. Accada quel che accada sulla terra ci sarà un limite all'ira giusta e alla punizione, la misericordia divina è un argine alla distruzione. Prima di contemplare le visioni distruttive apocalittiche ci viene detto che a presiedere il disegno divino per il mondo c'è l'arcobaleno della sua grazia, il suo proposito nasce da un amore infinito che prende la forma della misericordia. In secondo luogo, l'arcobaleno è segno della benevolenza di Dio e della sua cura dell'essere umano e del creato. Il male dilaga ma non prenderà il sopravvento. Dio limita gli effetti catastrofici del male che cerca di riportare il creato al caos primigenio. Dio permette il male perché senza di esso non ci sarebbe libertà, questo è discutibile da un punto di vista teologico e lo abbiamo già fatto e continueremo a farlo, ma il veggente ne è convinto. Ma Dio limita le conseguenze del male, questo è pensiero apocalittico allo stato puro. Come creatore la sua opera di creazione non è conclusa. Essa continua in due modi: preservando e rinnovando il creato e creando del continuo un nuovo cielo e una nuova terra. Questa opera di rinnovamento e ricreazione è continua, così è garantita la continuità fra il primo e il secondo creato, e qui il pensiero apocalittico è stato attenuato.
Per le fonti del rapimento profetico nell'AT vedere 1 Re 22:19 ss.; Amos 3:7; Geremia 23:18; cfr. Caird, The Book of Revlation. A Commentary (Black & Sons, London, 1967), pp. 60‑61 per l'analisi delle somiglianze/differenze con dei testi dell'AT di cui riprende la simbologia religiosa.