Il Cantico dei Cantici: il quarto canto
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- Scritto da Martin Ibarra
L’ASSENZA DELL’AMATO E LA RICERCA
5,2-8
Di nuovo in questo cantico si ripete il tema della separazione e dell’assenza, corrispondente nella storia dei rapporti Dio / Israele, alla fase del tradimento. L’esperienza è fatta dalla ragazza di notte, si trova a letto e all’improvviso scopre di essere sola, l’amato è alla porta e bussa. Sorprende la doppia affermazione della notte e del dormire profondo della ragazza, che fa riferimento ad una situazione spirituale nell’ordine simbolico. La sequenza poetica è intensa: vs. 2 aprimi sorella mia, amica mia, colomba mia o mia perfetta! Si ripetono dunque quattro epiteti che appartengono al vocabolario dell’amore (sorella, amica, colomba, perfetta), il riferimento alle gocce di rugiada possono significare l’amore tumultuoso che cerca di soddisfare il proprio desiderio. La ragazza vs 3 risponde con un soliloquio interiore, riassunto così, mi ero già preparata per dormire, come potrò ora rispondere alla chiamata dell’amato, svegliarmi, scendere dal letto e farlo entrare? L’indugio è fatale, perché ritardando l’apertura della porta, quando lo fa l’amato non c’è più, è partito (vs. 6) si era ritirato. Adesso l’esperienza è profondamente sconvolgente, notate il parallelismo:
l’ho cercato ma non l’ho trovato - l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Sono posti in parallelo cercare e chiamare, non trovare e non rispondere. La ragazza è fuori di sé e percorre la città alla ricerca dell’amato. Le guardie ora la percuotono e feriscono, le tolgono il velo che è una espressione molto significativa (per riconoscerla poiché pensano sia una prostituta). Il Cantico si conclude con un’invocazione alle figlie di Gerusalemme, se troverete il mio amore ditegli che sono malata d’amore, uno dei versi più felici dell’intero testo. Questa volta non appare l’amato come al capitolo 3, ma inizia un nuovo canto al vs. 9 dove si chiede la descrizione dell’amato.
Il significato teologico di questa poesia dell’assenza dell’amato la troviamo nella coppia di significanti notte/dormire, come sinonimo del peccato o dell’allontanamento (dimenticanza di Dio è espressione ricorrente nei profeti) da parte di Israele. Sembra di trovarci di fronte ad un racconto poetico che in realtà rappresenta il concetto teologico più volte usato dai profeti sulle colpe di Israele che hanno allontanato Dio. L’assenza improvvisa, il ferimento, togliere il velo, il tormento dell’amore per l’amato assente sembrano descrivere pure un processo penitenziale, per cui dopo l’esperienza dolorosa dell’allontanamento e dell’assenza, avviene il pentimento e il processo di ricerca di Dio, del perdono. Anche noi viviamo questa dimensione del silenzio apparente di Dio, della sua lontananza percepita ma non reale poiché Dio non ci abbandona mai. Due insegnamenti vengono dal testo: il primo, non attendere e non indugiare quando il Signore chiama, occorre rispondere immediatamente senza indugi; il secondo, la conversione è cercare e chiamare, se nella storia di Israele a volte sembrava che questo potesse trovare una risposta negativa almeno temporaneamente, noi oggi sappiamo che in Cristo la risposta del Signore non tarda, dunque anche quando ci siamo allontanati da Dio sappiamo che il perdono del Signore avviene nel momento stesso del pentimento.
Intermezzo del giardino 4,9-5,1
Questa breve poesia si riferisce all’esperienza del giardino come luogo di adempimento e realizzazione dell’amore, dell’esaudimento del desiderio. Le immagini riportano all’Eden come significato teologico e al Tempio come luogo del’incontro di Israele con Dio. L’amore è un dono che ci è offerto da Dio e che dobbiamo accettare con un senso profondo di ringraziamento perché è la realizzazione vera dell’esistenza: l’amore di Dio e verso Dio in primo luogo, e poi tutto l’amore che abbiamo ricevuto e dato dalle persone che abbiamo conosciuto e amato.
Il Corpo dell’amato 5,9-16.
La descrizione del corpo dell’amato acquisisce in questa parte del Cantico, ora che l’amato è perso, un significato speciale velato da malinconia. La domanda delle donne di Gerusalemme sembra nascondere una punta di fastidio che è dunque l’amico tuo, più d’un altro amico…? Potrebbe essere la domanda di un pagano nei confronti del Dio d’Israele, quasi sicuramente è la richiesta del perché la fede di Israele ha in Dio unico una così completa espressione e determinazione. Per gli altri popoli l’abbondanza di divinità era un segno positivo. L’insieme ora delle immagini che descrivono il Corpo dell’amato disegnano però un tutto abbastanza convenzionale, apparentemente. Dobbiamo scavare un po’ tra le righe per raggiungere una spiegazione teologica della rappresentazione. Molto si discute sulla natura del ritratto dell’amato che la descrizione tratteggia, si dice per esempio che la ragazza descrive una statua magnifica. Partiamo dall’ultima espressione, la descrizione della bocca hikko (tradotta palato) è tutta dolcezza. Questo è un riferimento alla parola molto evidente, la Torah giunge all’orecchio ed è dolce come il miele. Per il resto la descrizione del corpo si riassume tutta la sua persona è un incanto, di una bellezza incantevole che seduce l’anima. L’intensità di questa immagine può produrre due equivoci: il primo è la tentazione a rappresentare la sua bellezza, e qui abbiamo la lunga tradizione orientale delle icone e cattolico romana delle immagini sacre, per noi evangelici questa rappresentazione distoglie l’attenzione dalla vera bellezza che consiste nella parola fatta carne, l’incarnazione del Verbo, cosificandola (rendendola cosa attraverso la rappresentazione stessa, si perde la forza della parola che si rende visibile essa stessa quando è ascoltata nella fede dell’individuo e della chiesa; il secondo equivoco è ancora più significativo, lasciarsi trasportare dall’immagine ad una sorta di idolatria riflessa, non più rappresentando la divinità con scultura, ma la fissazione dell’immagine come soggetto stesso della devozione, cioè una volta elaborata la raffigurazione di Dio, diventa essa e non Dio l’oggetto della devozione. Ci sono altri pericoli che conosciamo fin troppo bene dagli eccessi delle diverse religiosità popolari, da non stare attenti alle manipolazioni a cui si presta ogni raffigurazione del sacro.
La conclusione è che la descrizione ci fornisce un’analogia che risponde alla domanda che è l’amico tuo, più d’un altro amico? La devozione di Israele e della Chiesa risponde a questa domanda non con le immagine estatiche di un museo (o cappella), ma teologicamente facendo riferimento all’incarnazione del Verbo per la nostra salvezza, ecco concretizzarsi nella storia la salvezza o vicinanza di Dio all’umanità, Dio ha presso carne perché potessimo vedere incarnata la salvezza stessa in una parola eterna che ora serbiamo come risposta di Dio e a Dio della nostra fede in Lui e verso Lui.