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IL TESTAMENTO DI GESU' 7

La vostra tristezza si trasformerà in gioia.
Giovanni 16,16-33

Si ritorna al tema della dipartita di Gesù e si riprende il motivo della tristezza immensa che coglierà i discepoli dopo la partenza di Gesù. Questa tristezza però durerà poco e sarà tramutata in una gioia infinita e imperitura. Il discepoli non capiscono il significato di questo doppio “chronon mikrón”, il doppio tempo breve del non vedere più Gesù per vederlo subito dopo. Per i discepoli questo è un parlare attraverso enigmi incomprensibili (il tema del non comprendere appare molte volte nel Vangelo). Sembra un gioco a nascondino che nasconde però una rivelazione profonda e definitiva circa la destinazione di Gesù che ora i discepoli vedono finalmente con chiarezza dopo il discorso di commiato di Gesù, finalmente hanno capito l’origine e la destinazione di Cristo.

Vvss. 16-24. Questo doppio riferimento ad un tempo breve è molto importante. Ancora un po’ significa che tra breve accadrà che non vedranno più Gesù (si utilizza per vedere il verbo theorein). Questo non vedere è un evidente riferimento alla morte di Gesù e al suo seppellimento. Il tempo però sarà breve perché poco tempo dopo, il secondo tempo abbreviato o accorciato, vedranno di nuovo a Gesù. Questo vedere di nuovo è associato, evidentemente alla risurrezione di Cristo. Il non vedere più Gesù avrà come risultato una tristezza immensa, di cui si è già parlato, un’angoscia mortale che però ha questa caratteristica: durerà poco, e sarà subito sostituita da una gioia infinita che “nessuno vi toglierà”. In questa ultima parte del discorso di Gesù, al suo centro troviamo questi due brevi tempi, il primo sarà un tempo di prova che Gesù stesso ha chiesto al Padre di accorciare perché i discepoli possano resistere e rimanere credenti. Dunque l’accorciamento del tempo del non vedere è prova della cura di Gesù, essendo deboli nella carne e la loro fede fragile, hanno bisogno di una prova breve, altrimenti forse non saranno in grado di rimanere fedeli alla memoria di Gesù.

I discepoli non capiscono in un primo momento, sono perplessi ma non osano chiedere niente, si interrogano fra di loro, ma le loro perplessità rimangono tali e dentro di sé. Ma Gesù non ha bisogno di udire per capire che sono perplessi e non capiscono le sue parole, anticipa le loro preoccupazioni e angosce, e risponde alle domande che non hanno il coraggio di porre. La situazione di incomprensione dopo il primo breve tempo, quello che manca alla passione e morte di Cristo, seguirà il percorso drammatico della passione fino alla domenica della Pasqua. Dopo la risurrezione capiranno anche perché lo Spirito sarà loro donato da Cristo perché non barcollino più nella confusione. Lo Spirito guiderà di conseguenza loro verso tutta la verità rivelata da Cristo e potranno comprendere in modo completo ogni parola di Gesù per spiegarla a tutti quelli che attraverso la loro testimonianza crederanno. Notate il contrasto tra i due brevi tempi. Il primo è segnato dalla tristezza grande ma breve e circoscritta, sarà la tristezza della prova (della tribolazione altra parola usata da Giovanni con lo stesso significato), della tentazione e del dubbio, è un tempo necessario come se fosse la loro partecipazione alla passione di Gesù. Ma dopo questo breve tempo di tristezza arriverà il tempo senza fine della gioia infinita, intensa e duratura, che non avrà fine e che apparterrà ai discepoli e nessuno potrà togliere. Questa gioia deriva dalla resurrezione ma anche dall’opera del Consolatore, lo Spirito Santo. I due tempi non saranno uguali dunque.

C’è qui una breve parabola della partoriente – il tempo breve del dolore è paragonato all’angoscia e al dolore del parto. Anche questo tempo di doglie è breve per la donna, altrimenti non potrebbe sopportarlo. A questo tempo in cui la donna si sente morire segue la gioia senza fine di aver dato alla luce un figlio, una figlia. Dare la vita porta una gioia infinita che non si può paragonare al dolore, alla tristezza provocati dalle doglie del parto. Questo è un’esortazione perché la paura della tristezza (del parto) non provochi in noi la perdita della fede e dunque perdere la gioia infinita che segue alla prova della fede superata. La gioia promessa da Gesù è la gioia della risurrezione, del suo ritorno, e dell’arrivo dello Spirito, ora soltanto promessa, ma dopo la sua glorificazione sarà il dono escatologico che ci conserverà nella gioia fino alla consumazione della nostra fede, pegno e caparra dell’eredità futura. La vicinanza di Cristo attraverso lo Spirito rende possibile un nuovo rapporto con Dio diretto ed intimo, personale ed interiore, fondato sulla preghiera sulla preghiera nel nome di Gesù a cui si accorda risposta, tutto quello che chiederete nel mio nome io lo farò.

Vvss. 25-33. La scena cambia ora leggermente, si fa una promessa “non vi parlerò più attraverso parole enigmatiche”, si usa la parola greca paroimiais che traduce il termine ebraico massa, parola che conosciamo bene per lo studio recente di Proverbi, ma il Signore parlerà ai suoi discepoli in maniera franca e chiara (parresia). Il Signore ritorna al Padre, dunque parlerà chiaramente ai discepoli attraverso lo Spirito Santo che rivelerà loro tutto quello che Gesù ha detto e insegnato durante la sua vita terrena, perché possano capire e rendere testimonianza al mondo. Si riprende anche il tema della preghiera e dell’esaudimento della preghiera. Notate questa semplice costatazione: il mutamento della preghiera, che non è più un impegno religioso, un dovere, un’opera meritevole, ma un dialogo intimo, personale con Dio. Cristo ci mette in un rapporto diverso con Dio, ora siamo figli per adozione e amici di Dio. La preghiera è dunque una parte di questo rapporto diretto di comunicazione con Dio attraverso (nel nome di Cristo), la prova di questa intima comunione con Dio è l’esaudimento della preghiera che vuol dire anzitutto che Dio ci ascolta, che non è sordo alla nostra vita, prove difficoltà o gioia. Perché ci possa essere questo rapporto nuovo con Dio occorre la fede, credere che Gesù viene dal Padre, che è il Figlio. Dalla comunione che scaturisce dalla fede in Cristo con Lui, nasce anche la possibilità di questa comunione diretta con Dio che trasforma la nostra relazione con Lui, da nemici diventiamo amici come Abramo che “credette e gli fu imputato a giustizia”, da soggetti all’ira e alla condanne divine per il nostro peccato diventiamo figli nel Figlio, salvati in Cristo Gesù, redenti per grazia ed eredi del Regno di Dio.

Giunti a questo punto i discepoli non fanno ormai le domande della perplessità, adesso credono di avere capito e rispondono a Gesù con una confessione di fede “ora sappiamo che procedi dal Padre”, e non ci parli più in enigmi ma chiaro. La risposta di Gesù però interroga ancora la loro fede, è un avvertimento, non pensate di essere a posto, voi ora pensate solo di credere, viene il momento della grande e terribile prova, “sarete dispersi e ciascuno andrà per conto suo”. Che significa questa frase complessa di Gesù? Significa che dopo l’arresto e il giudizio di condanna a morte di Gesù loro lo abbandoneranno e saranno dispersi, ciascuno cercherà la propria salvezza e si dimenticheranno di Gesù. Questo abbandono forma parte della tristezza immensa che li coglierà. Nell’ora della prova penseranno soltanto a salvare se stessi. Ma Gesù ha messo in conto questa debolezza dei discepoli. Il Padre invece, non abbandonerà Gesù, sarà con lui pure in quella ora oscura. Proprio la sua passione e la morte in croce saranno però la vittoria di Gesù sulle tenebre e la morte. Questa vittoria sarà la vittoria della fede che darà come un dono ai suoi discepoli. Lo Spirito sarà loro donato come una garanzia, un anticipo e una caparra della loro comunione con Dio che li trasforma in coeredi con Cristo del Regno promesso da Dio ai fedeli.