I Ketubim: gli scritti poetici e sapienziali della bibbia ebraica
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- Scritto da Martin Ibarra
Introduzione: Visione di insieme:
I Ketubiim, gli Scritti, sono la terza parte dell'AT nella divisione fatta dagli ebrei palestinesi, secondo la loro concezione dell'ispirazione. Questi scritti non si troverebbero allo stesso livello della Torah, né dei nebiim. Il rapporto di vicinanza con Dio e con la dabar condiziona la visione ebraica dell'ispirazione, man mano che ci allontaniamo dagli eventi originari oggetto della rivelazione divina a Mosè, e che riguardano la divina creazione e l'esodo, si indebolisce gradualmente la percezione della attività divina e dunque il grado di autorevolezza degli scritti. Dopo l'esilio e il ritorno, ad un certo momento dopo Malachia si considererà finito il ministero profetico; subentrarono allora i saggi. Possiamo affermare che gli Scritti sono opera di un insieme collettivo di scribi, saggi e sacerdoti, che elaborarono dal V secoli in poi gli scritti che completarono il canone palestinese: Salmi, Giobbe, Proverbi, Daniele (per gli ebrei non appartiene ai profeti ma agli scritti); a questi si aggiunse l'opera del Cronista Esdra, Neemia e Cronache; e finalmente i megilloth (rotoli delle feste) appartenenti alle tradizioni tardo giudaiche: Qohelet, Cantico, Rut, Lamentazioni (l'attribuzione a Geremia è convenzionale) ed Esther. Prima di addentrarci nello studi dei singoli volumi, vedremo le caratteristiche della poesia e della sapienza ebraiche.
1. La letteratura poetica ebraica.
Almeno un terzo dell'intero Antico Testamento e alcune parti del Nuovo sono state scritte in forma poetica. Alcuni libri dell'AT sono stati scritti per intero in questa forma: Salmi, Proverbi, Cantico, Lamentazioni e alcune opere di profeti minori (Abdia, Michea, Naum, Abacuc e Sofonia); la maggior parte di altri libri: Giobbe, Isaia, Osea, Gioele e Amos, metà del libro di Geremia; parti importanti di altri libri: Genesi, Esodo, Numeri, Deuteronomio, Giudici, 1 e 2 Samuele, Ecclesiaste, Ezechiele, Daniele e Zaccaria. In Luca ci sono alcuni passi poetici importanti, la maggior parte dei logia (detti) di Gesù sono stati scritti in forma poetica (rispettando la regola del parallelismo dei termini), una buona parte di Apocalisse appartiene al genere poetico e in generale, frammenti poetici sono presenti nelle epistole anche se la forma poetica occupa un ruolo secondario nel Nuovo Testamento.
2. La letteratura sapienziale.
Chi erano i saggi d'Israele? Sappiamo che già in tempo di Ezechia c'era un'attività letteraria di raccolta di detti e proverbi (Pro 25 collezione di Agur e Lemuel); ai tempi di Gere¬mia (cfr. 18:18) i sapienti (hakam) occupano una posizione rico¬nosciuta accanto ai sacerdoti e i profeti, nella corte regale (cfr. Is 29:14 questo testo suggerisce che ci fosse una scuola di corte a Gerusalemme dove si insegnava la sapienza e ci si prepa¬rava per diventare funzionario pubblico, scriba, diplomatico, ecc.). Il compito specifico del hakam doveva essere quello di fungere da scriba, dato che questa funzione non era ormai eserci¬tata dai sacerdoti nel VII secolo a.C. Non c'è dubbio che scri¬vevano i loro detti, consigli, insegnamenti. Questi scritti furono raccolti in libri come Proverbi, Ecclesiaste, Salmi, Giobbe, ecc. Hanno dei punti di contatto con altri sapienti di nazioni viciniori (Egitto, Babilonia), ma hanno una propria specificità: il carattere religiosa della Sapienza che insegnano.
1. I cinque libri dei Salmi.
Il libro dei Salmi (Tehillim plurale di Tehilla) prende il suo nome lodi o celebrazioni, dal contenuto maggioritario dei cinque volumi in cui è diviso il Salterio (come i cinque libri della Torah). Un altro nome per il Salterio Tefilla preghiera, appare una trentina di volte nel testo biblico. La divisione in cinque libri può seguire una logica di contrapposizione ideale tra la figura di Mosè e di Davide: nella Torah Dio parla al suo popolo, nei Salmi Israele risponde a Dio. Notiamo anche l'uso del Nome dato a Dio Elohim o YHWH ha provocato una seria discussione critica sulla possibilità di un Salterio Elohista e se in origine il Salterio fosse diviso soltanto in tre libri e non in cinque:
Primo Libro Salmi 1-41: Elohim 15 volte; Yhwh 272 volte.
Secondo (42-72) e Terzo (73-89) Libro Salmi Yhwh 76 volte; Elohim 207 volte (nei Salmi 84-89 torna a prevalere il Tetragramma).
Quarto Libro Salmi 90-106 solo Yhwh.
Quinto Libro 107-150 solo Yhwh con l'eccezione di 108,1.5.7.11.13 e 144,9.
Poesia liturgica in Israele.
Il significato di questa espressione "poesia liturgica" è relativamente semplice. Si tratta fondamentalmente di poesia lirica (anche se ci sono degli esempi di poesia epica che canta le gesta di Dio nella creazione o nella storia) che si utilizza nel culto pubblico dell'assemblea del popolo nei santuari e poi nel Tempio (o nella Sinagoga), accompagnata da musica (cantori e strumenti 1 Cronache 15,16), e che dà espressione ai vari sentimenti religiosi come preghiera e lode, ringraziamento e confessione di peccato, lamento, richiesta di aiuto, intronizzazione regale, ecc.
Autori e aspetti letterari.
Le raccolte più estese 3-41 e 51-71 sono attribuite a Davide. Due raccolte più piccole sono attribuite forse ai nome dei Cantori: i figli di Core 42-49, 84-85 e 87-88 e ad Asaf 50 e 73-83. Un gruppo di Salmi è chiamato di pellegrinaggio 120-134 . Piccoli gruppi di Salmi che sono simili dal punto di vista del contenuto (o della forma) indicano (forse) un primitivo tentativo di raggruppamento dei Salmi che poi non è stato reso sistematico: i salmi di Yhwh Re 95-100; i salmi di lode 103-107; i salmi con alleluia 111-118; una terza piccola raccolta di Davide 140-143.
2. Sulla poetica ebraica in generale.
Parallelismo.
E' questa la caratteristica dominante della poetica ebraica. L'idea di fondo è semplice. La poetica occidentale si presenta con due caratteristiche fondamentali: rima e ritmo, la rima consiste nell'assonanza o consonanza, l'identità fra i suoni dell'ultima parola dei versi; il ritmo consiste nella cadenza degli accenti in una riga (chiamata verso) a sillabazione fissa (dieci, undici, quattordici sillabe per verso). La poesia ebraica invece si fonda sulla ripetizione dei termini e del pensiero, che si pongono in parallelo nei versi. Il pensiero che si vuole esprimere si presenta sempre in questa forma ripetuta o ampliata due o tre volte, raramente anche quattro. Il parallelo può essere d'identità o di opposizione il che ci dà due forme fondamentali di parallelismo: sinonimo e antitetico. Vediamo due esempi del primo tipo di parallelismo:
"che perdona tutte le tue iniquità
che guarisce tutte le tue infermità" (Salmo 103,3)
In primo luogo notate che il parallelismo è stato stabilito fra due verbi: perdonare e guarire. Il parallelismo è sinonimo, dunque come azione divina il "perdonare" equivale a "guarire". L'alliterazione si dà quando sono posti in parallelismo sinonimo o antitetico due parole diverse che sono quasi identiche morfologicamente all'inizio del verso (stico). In secondo luogo il parallelismo è stabilito fra i due complementi "iniquità" e "infermità". Il secondo parallelismo deriva dal primo, il peccato, l'iniquità sarebbe una sorta di infermità. Il parallelismo consiste in un tipo di metafora chiamata di secondo livello in cui viene trasferito il significato di un termine ad un altro ("che qualcuno ti perdoni è come se ti avesse guarito"). Quando il parallelismo si presenta in questo modo è chiamato completo perché sono posti in parallelo tutte le parti dei due versi, ogni verso ebraico è chiamato stico, due o tre di questi versi formano l'unità fondamentale della poesia ebraica (la nostra strofa), che è sempre posta in parallelismo.
"Dio è per noi un rifugio e una forza,
un aiuto sempre pronto nella distretta" (Salmo 46,1)
I termini posti in parallelo sono: rifugio, forza e aiuto; in questo caso il parallelismo è posto fra parole che trasferiscono ciascuna all'altra il proprio significato specifico per chiarire cosa sia Dio per noi quando giunge la difficoltà, la distretta, "perciò non temeremo..." sarebbe la conclusione dell'idea che veicola il parallelismo. Quando il parallelismo si presenta in questo modo lo si chiama "incompleto" perché uno o più elementi del primo stico non è posto in parallelo con l'elemento equivalente del secondo (o terzo) stico: distretta non è posto in parallelo con nessun elemento del primo stico.
Nel parallelismo antitetico invece, il pensiero è espresso in opposizione, il meccanismo è lo stesso ma si giunge alla trasposizione attraverso la negazione (a è l'opposto di b). Vediamo un esempio:
"Il povero è disprezzato dai suoi vicini,
ma il ricco ha molti amici" (Proverbi 14,20).
Il parallelismo è un sistema di costruzione di metafore che gli occidentali chiamiamo del secondo livello. Non si può però pensare che il parallelismo sia un meccanismo semplice o primitivo, una sorta di primo stadio di forme poetiche arcaiche che poi si sono evolute verso le forme complesse che noi conosciamo. L'evoluzione delle lingue è sempre verso una progressiva semplificazione, cioè, il contrario dell'evoluzione genetica. C'è un altro tipo fondamentale di parallelismo chiamato sintetico o formale. Consiste non tanto nel ripetere quanto nel "completare" il pensiero che il primo verso o elemento ha introdotto. Vediamo un esempio:
"Dice lo stolto in cuor suo: 'non c'è Dio'
Sono corrotti, fanno delle cose abominevoli,
non c'è neppure uno che faccia il bene.
Dio guarda dal cielo quello che fanno i figli degli uomini,
per vedere se agiscono con saggezza e cercano Dio" (Salmo 14:1-2).
Con questo tipo di parallelismo si va completando il pensiero iniziale: lo stolto è chi dice in cuor suo che non c'è Dio, e perciò vive come se non ci fosse un dio, e dunque compie azioni abominevoli, corrotte, e tutti quelli che agiscono così sono stolti. Dio invece, li guarda per osservare se fra gli uomini c'è qualcuno che si comporta da saggio e cerca Dio. In realtà il parallelismo sintetico in questo caso è una "combinazione" dei due tipi fondamentali di parallelismi applicati a due pensieri complementari. Ci sono altri tipi di parallelismo derivati da questi tre tipi basilari. L'analisi di testi poetici biblici deve tenere conto di questa caratteristica.
Notate come funziona lo stesso schema parallelo per esempio nel Padrenostro:
"Padre nostro che sei nei cieli
sia santificato il tuo Nome,
venga il tuo Regno,
sia fatta la tua volontà (in terra com'è fatta in cielo)",
il termine principale posto in parallelo è la santificazione del Nome, il parallelismo spande il significato e lo chiarisce: santificare il nome è "fare la sua volontà" in terra come gli angeli santificano il Nome in cielo facendo la sua volontà in cielo, e questo sarebbe il Regno di Dio, fare la sua volontà che è santificare il suo Nome. L'interpretazione del parallelismo richiede identificare:
- Il termine principale che dà l'idea o il pensiero che si vuole esprimere o sviluppare (la santificazione del Nome);
- Il termine (o i termini) che sono posti in parallelo per confermare, simboleggiare, chiarire, ampliare il pensiero o il significato del termine principale: fare la volontà (parallelismo sinonimo) e venga il tuo Regno (parallelismo sintetico che allarga il significato del pensiero iniziale e lo completa o spande).
La poetica ebraica ignora praticamente la rima. Utilizza altre risorse come l'alliterazione già descritta, l'identificazione consonantica di due parole poste all'inizio dei due o tre versi di una strofa (se esse sono allo stesso tempo poste in parallelismo ci troviamo di fronte a una figura di grande valore poetico per la sensibilità ebraica). L'assonanza consiste nell'identificazione o ripetizione della vocale accentuata lungo la strofa. Il gioco di parole o paronomasia è molto usato. L'onomatopeia consiste nella somiglianza fra il suono e il significato della parola. Tutte queste risorse tecniche sono, evidentemente, intraducibili (Amos 8,2; Isaia 5,7).
La metrica e la divisione in strofe è molto dibattuta, questa non è la sede per entrare in una discussione tecnica su questo tema.
Varietà di forme poetiche.
Alcuni testi poetici dispersi nella Bibbia si presentano come frammenti di composizioni arcaiche (Gen 4,23-24; Es 15,20-21; Num 10,36; 21,17-18). Di alcuni di questi frammenti si dice che sono testi presi da una fonte scritta (Num 21,14; Gios 10,13; 2 Sam 1,17-27) che rappresenterebbe una sorta di compilazione di poesie celebrative delle opere divine. Fra i diversi tipi di componimenti poetici biblici si fa una distinzione formale fra poesie collegate a ricorrenze civili, sociali o religiose e poesie riferite ad eventi specifici. Possono essere state elaborate da un singolo poeta individuale, o essere il risultato di un lavoro di creazione collettivo.
Ovviamente, il numero maggiore, più consistente e fondamentale in importanza è il blocco della poesia religiosa usata nella celebrazione cultuale del tempio o nell'insegnamento sapienziale. A questo tipo appartiene la poesia dei Salmi, dei Proverbi e quella diffusa nei testi profetici. La forma oracolare è normalmente scritta in verso. C'è una connessione fondamentale fra poesia e storia, fra teologia ed alleanza. La fede d'Israele si fonda su due alleanze attraverso le quali Dio ha scelto liberamente e per grazia, realizzate in due momenti storici diversi e con due personaggi chiave, i loro temi teologici e gli scritti che raccontano (le tradizioni orali che poi sono state fissate in testi scritti):
L'Alleanza nel deserto con Mosè: (Sinaì, Tabernacolo, liberazione dalla schiavitù in Egitto, promessa della terra e conquista con Giosuè il servitore di Mosè della terra, le tavole della legge, la costituzione del popolo eletto, i primi sei libri della Bibbia)...
L'Alleanza con Davide e la monarchia: (Monte Sion, Tempio di Gerusalemme, il meleq come rappresentante di Dio)...
I Salmi appartengono all'espressione spirituale di "questa seconda esperienza d'alleanza storica", non a caso un gran numero di salmi è attribuito a Davide, senza dimenticare però, la prima alleanza sinaitica e altri momenti storici quando il Signore era intervenuto nella storia di Israele per salvare e giudicare. Dinanzi all'operare divino Israele non è rimasto silente, inerme, improduttivo. I Salmi si inseriscono in questo filone responsoriale della fede del popolo (e degli individui singoli). La fede si appropria di questi grandi eventi storici, li attualizza nel presente, li rinnova, li fa propri, questo era il compito della storia e della teologia; la fede a sua volta nasce dalla parola che racconta le gesta di Adonai, e si nutre costantemente ricordandole. Ma non solo, Israele imparò a dialogare con Dio, a rispondere, la fede è anche risposta e non solo ricordo.
Cosa dice Israele a Dio nei Salmi? Israele loda, benedice, ringrazia, adora, si lamenta, chiede il perché delle sofferenze storiche, s'interroga sulla volontà divina, sul senso della storia, soprattutto Israele prega profondamente e dal profondo (Salmo 130). Il dialogo con Dio non può essere un dialogo fra pari, non è il dialogo fra esseri umani, il rapporto dialogico qui fondamentale. Dialogo è una parola che proviene dal greco: (diverso) e (parola e anche regola, misura), vuole dire esattamente che il dialogo non è fra uguali, ma fra diversi. Dialogo l'uomo (Salmo 8,6) con Dio (Salmo 33,12), colui che è stato scelto e chi ha esercitato la sua sovranità scegliendo. Questo rapporto infinitamente scompensato, dell'uomo con chi è completamente diverso provoca questa preghiera: de profundis, che emerge della profondità umana radicata nell'essere creatura, parte del mondo voluto e creato da Dio e che incontra Dio nel santuario nei giorni speciali dedicati alla liturgia del tempio dove si celebrano le gesta di Adonai.
Questa è la cornice significante che dà valore religioso ai Salmi, è sempre presente questa coscienza della distanza immensa che separa l'uomo da Dio, l'impossibilità umana di superare questa distanza, c'è un abisso insuperabile, l'uomo raggiunge Dio perché Dio "viene al santuario", si fa incontrare lì. Questo trasforma il santuario (e il monte dove è stato costruito) nel centro del mondo (dell'universo) creato, e della storia. Il santuario è lo spazio dell'incontro con Dio nei giorni speciali che Egli stesso ha fissato. La cornice spazio-temporale del Salmo è questa la celebrazione nel santuario dove il popolo e il singolo, guidati dai sacerdoti, leviti, cantori, musicisti vivono, soffrono, lodano, adorano il Signore, il Creatore dell'universo. I Salmi sono condensati, filtrati, distillati di fede e riflessione teologica cristallizzata in poesie liturgiche, inni di lode, preghiere di vario tipi, espressioni collettive o individuali dello stato d'animo di fronte a Dio.
I Salmi che provengono del profondo sono parole di uomini e di donne che hanno sfiorato il mistero, il miracolo, la rivelazione o manifestazione di Dio o il suo nascondimento, la sua presenza o il suo allontanamento. Tutta la Bibbia, diceva Lutero, è compendiata nei Salmi, capire i Salmi significa dunque, capire tutta la Bibbia.
I Proverbi sono a sua volta un esempio di utilizzo della forma poetica in questo caso per esprimere un approfondimento sapienziale, normalmente, del contenuto della Legge. La Sapienza, Hokhma, è in sé stessa una metafora poetica, un'incarnazione o meglio personificazione di una caratteristica fondante della Torah. Il Sapiente è anche un poeta che sa interpretare e leggere la realtà creata e la presenza di Dio nel mondo, le leggi che Dio ha dato per regolare i rapporti fra esseri umani e realtà materiale e spirituale. L'essere umanoè inserito in un ordine socio-simbolico, metaforico e reale in cui Dio guida attraverso Hokhma l'essere umano saggio.
La forma poetica oracolare, il messaggio del profeta, è una parola di Dio per una situazione storica concreta d'Israele. La parola poetica rivela e allo stesso tempo proclama il giudizio divino su quella generazione e annuncia la grazia, la misericordia e le possibilità di salvezza inserite nella situazione storica e nella parola che Dio rivolge attraverso il profeta.
3. Storia della redazione.
Datare l'intero Salterio è un'impresa disperata. Per l'insieme del Salterio si preferisce una data relativamente recente, il terzo secolo A.C. Questo non vuol dire che non ci siano all'interno del Salterio delle singoli parti i di Salmi o di frammenti di Salmi più antichi. Nei commentari troverete sempre dei tentativi di datazione dei singoli Salmi in base all'utilizzo di parole o di espressioni più o meno arcaiche, dei concetti teologici espressi, dei riferimenti all'intronizzazione del Re, ecc. I singoli Salmi sono stati composti in periodi diversi, raccolti nel tempo e finalmente divisi in epoca tardiva nei nostri cinque libri attuali.
4. Classificazione dei Salmi.
Entrando nel concreto della classificazione del tipo poetico liturgico e religioso, gli esperti hanno isolato alcune delle forme primarie per chiarire soprattutto l'uso nelle cerimonie cultuali (il come e il dove di questi componimenti).
INNI: sono composizioni standard pensate per il culto pubblico, collegate ad una melodia, interpretata con l'accompagnamento di strumenti musicali, cantata da un coro o da solisti, o dal coro con l'intervento dell'assemblea cultuale. Il tema è quasi sempre la lode e l'adorazione di Dio.
LAMENTO E CONFESSIONE: possono essere a loro volta espressione comunitaria o singola di pentimento per il peccato, la confessione, la richiesta di un intervento divino, la domanda a Dio sul senso della sofferenza, etc.
ESPRESSIONI DI RINGRAZIAMENTO E CANTI DI FIDUCIA: Costituiscono un ampio ventaglio di componimenti dove il sentimento prevalente è la fede che si abbandona serena e fiduciosa in Dio, o che ringrazia Dio per la vittoria, il raccolto, la pace garantita dal Re.
SALMI REGALI: sono dei Salmi molto complessi e difficili da analizzare. Probabilmente erano dei pezzi utilizzati in occasioni concrete e ricorrenti: le nozze regali, l'incoronazione, la dichiarazione di guerra, la celebrazione della pace (la vittoria), etc.
5. Interpretazione dei Salmi.
Riporto a modo di esempio il Salmo 100 che è un Salmo di "entrata". Quest'espressione significa che si tratta di un inno di lode (tehilla) che l'assemblea cultuale cantava mentre si entrava nel santuario. Altri preferiscono chiamare questo tipo di Salmi "di processione", perché l'entrata avveniva in questo modo: sacerdoti, cantori e danzatori, suonatori di strumenti musicali, leviti e servitori del tempio e il popolo, penetravano nel santuario in processione, costituendosi in "qehal Adonai", dinanzi alla presenza dell'Eterno, nel luogo e nel tempo resi densi, traboccanti di sacralità perché la shekinà era presente nel tempio in quel tempo stabilito per l'adorazione. Il Salmo concentra la sua attenzione in due elementi della fede d'Israele che inducono al canto di lode: le meraviglia della creazione divina, le avvisaglie della sua gloria che il creato ci consente di percepire "è Lui che ci ha creato, e noi siamo suoi". Il creato insinua delle parole – che sono le parole pronunciate da Dio per creare -, che noi dobbiamo percepire e trasformare in canto di lode, in grida di gioia per la vita che Egli ci ha dato, in celebrazione e in esultanza. Ogni generazione ripete la stessa esperienza di fronte alla creazione divina. Lo sbalordimento, lo smarrimento di chi contempla l'ordine e la bellezza di tutto quello che ci avvolge, affiora in poesia, in musica che si fondono nel canto di lode. Ecco una prima sintesi emozionata: il canto fonde parola (che è poesia) e musica in un canto di lode che vuole cogliere la poesia e la musica racchiuse, nascoste nell'anima del mondo, nella bellezza serena e folle, colorata e passionale del creato di Dio. Di tutto il creato di Dio che chiama e coinvolge nella lode tutte le generazioni e anche tutte le nazioni, "tutti i popoli". La lode si trasforma in un moto dell'anima, in una parola che è risposta alle parole divine, alla creazione che è il risultato del parlare divino, del pronunciare parole potenti capaci di creare. "Noi siamo suoi", perché Lui ci ha fatti, e ha fatto di noi un popolo. In secondo luogo, la fede d'Israele è una fede radicata nella storia, nelle azioni potenti, le gesta divine (erga tou Theou), compiute da Dio in favore dell'umanità.
Introduzione Generale: Visione di insieme
La sapienza ebraica non è un fenomeno isolato dal proprio contesto geografico, culturale, religioso. Come tutti i fenomeni complessi, dipende e influenza altre espressioni di carattere religioso e sapienziale che si sono sviluppate nello stesso contesto. Da una parte abbiamo la Mesopotamia (la terra tra i due fiumi) e dunque Sumer, l'Impero Accadico, Babilonia, dall'altra l'Egitto, ma non dobbiamo dimenticare il resto dell'intorno a Nord (Anatolia) e a sud-est (Arabia), e il contesto più vicino della Palestina (Canaan, Siria, Aram, Edom, Moab, ecc.). Non ci troviamo dunque ad analizzare qualcosa di insolito o diverso dal proprio contesto, ma bensì una letteratura che segue le influenze dell'intorno e che a sua volte contribuisce allo sviluppo generale culturale e religioso della zona.
Il concetto di Sapienza e la personalità del Sapiente.
Sappiamo che già in tempo di Ezechia c'era un'attività letteraria di raccolta di detti e proverbi (Pro 25 collezione di Agur e Lemuel); ai tempi di Gere¬mia (cfr. 18:18) i sapienti (hakam) occupano una posizione rico¬nosciuta accanto ai sacerdoti e i profeti, nella corte regale (cfr. Is 29:14 questo testo suggerisce che ci fosse una scuola di corte a Gerusalemme dove si insegnava la sapienza e ci si prepa¬rava per diventare funzionario pubblico, scriba, diplomatico, ecc.). Il compito specifico del hakam doveva essere quello di fungere da scriba, dato che questa funzione non era ormai eserci¬tata dai sacerdoti nel VII secolo a.C. Non c'è dubbio che scri¬vevano i loro detti, consigli, insegnamenti. Questi scritti furono raccolti in libri come Proverbi, Ecclesiaste, Salmi, Giobbe, ecc. Hanno dei punti di contatto con altri sapienti di nazioni viciniori (Egitto, Babilonia), ma hanno una propria specificità: il carattere religioso della Sapienza che insegnano derivata dalla rivelazione divina attraverso il dono della Torah.
1. Cos'è la Sapienza?
Non si tratta di una conoscenza di tipo razionalistico, logico o filosofico nel senso occidentale o moderno del termine. Si tratta piuttosto della capacità di distinguere tra ciò che è benefico e utile, e ciò che è dannoso e pericoloso per l'uomo e la società. Si tratta soprattutto di un certo atteggiamento e di una certa mentalità, fondati sulla capacità di discernere tra ciò che è buono e ciò che è malvagio, a cui si giunge dopo un attento esame del mondo, della vita e dell'ordine inserito da Dio nella creazione, ordine al quale la condotta umana si deve sottomettere. Non è una capacità naturale, né acquisita dopo aver mangiato il frutto proibito del giardino: la sapienza è un dono di Dio. Usarlo correttamente determina la relazione con Dio e il successo nella vita. Essendo un dono divino, si segue che ogni sapienza deriva direttamente da Lui, così da Dio provengono il discernimento, l'abilità, l'intelligenza, il consiglio, le applicazioni pratiche alla vita e alla condotta della sapienza. Così la sapienza è la guida sicura in ogni impresa che l'uomo intraprende e una garan¬zia di trionfo e di riuscita nelle imprese della vita. Bisogna cercarla, il suo possesso è più prezioso dell'oro, perché chi la possiede riuscirà in tutte le sue iniziative, industrie, opere, attività. Ma la forma superiore di sapienza, il suo inizio e corollario è "il timore dell'Eterno" (Pro 1:7a). Perché la Sapienza abita nella profondità di Dio (Sal 36:6s), questo luogo profondo viene chiamato Tehom Rabbah, l'antico nome dato all'oceano primigenio.
2. Chi è il Sapiente?
Il sapiente è un uomo/donna che attraverso l'osservazione e lo studio attento della vita, dei rapporti tra gli esseri umani e di costoro con Dio, con la natura, le leggi, ecc., è capace di u¬nificare il complesso delle esperienze in una singola regola o legge, appunto il proverbio (cfr. Prov 1:19). Vale a dire il Sapiente è colui che scopre la relazione dinamica esistente fra le diverse realtà create, e come ogni singola realtà s'inserisce all'interno di un ordine voluto da Dio. L'uomo deve entrare e rispettare questo ordine interno del creato e conformare di conseguenza la sua condotta all'ordine voluto da Dio. Il sapiente emerge da questo sprofondamento in se stesso e nel creato con una "legge" che proviene dalla sua esperienza e dalla sua osservazio¬ne con sapienza, della realtà creata e dell'attività umana che lo circondano. Questa legge può essere una descrizione della espe¬rienza nel mondo materiale, cioè una forma elementare di scienza naturale ( Pro 5:6; 26:1); può essere, e questo è più comune, una norma di condotta, confermata dalla esperienza e dalla osserva¬zione (Pro 4:11) trasmessa come il consiglio di un padre o di una madre al figlio; può prendere la forma di un precetto morale (Pro 6:20s) importante per il clan o la famiglia; può essere la regola di condotta che si viene a imparare nella scuola dal maestro di sapienza per avere successo e riuscire nella vita.
I sapienti sono degli scribi, per tanto interpreti della Torah o Istruzione, forse dell'aspetto più pratico di essa. La loro sapienza si rivolge agli aspetti più concreti della vita religio¬sa, anche se non manca la riflessione su temi che possiamo consi¬derare più metafisici o teologici, come il problema della soffe¬renza dell'innocente e della retribuzione del giusto. Le loro conclusioni scritte in proverbi (mashal) sono delle generalizza¬zioni o dei paragoni, questo è il vero significato dei mishle, brevi sentenze facili da memorizzare su aspetti specifici della vita religiosa e civile, e della condotta ispirata alla legge dell'Eterno. Alcuni sono attribuiti a Salomone, altri a Agur, Lemuel (sentenze della madre).
3. Il Significato Profondo della Sapienza.
I sapienti non si limitano alla contemplazione della vita, vogliono arrivare alla radice della realtà e analizzano in pro¬fondità l'esperienza umana. La cornice della loro riflessione è la fede in Dio che deve determinare la condotta giusta dell'uomo. Ci sono alcune questioni o problemi che bisogna trattare per capire il significato profondo della sapienza ebraica. Possiamo esporli con delle domande: Come ha creato Dio il mondo? Come si comunica Dio con l'essere umano? Quale retribuzione può aspettar¬si il giusto?
1. Dio creatore:
I sapienti riconobbero nell'ordine della creazione, nella sua regolarità, bellezza e armonia l'espressione di una mente divina e creatrice, immensamente più grande dell'uomo ma che come egli è un essere personale con una mente e una volontà. Questo Dio (Elohim) è avvolto nel Mistero. Il mondo rivela l'esistenza d'una Intelligenza superiore che viene celebrata come Dio che ha creato i cieli e la terra con Sapienza. Questa Sapienza venne considerata la più alta qualità divina, fu quasi personalizzata e talvolta venerata come una personificazione di Dio nei suoi rapporti con il creato e con l'essere umano (cfr. Giob 27 e Pro 8). Il sapiente riconosce Dio come Creatore e si abbandona in fede al timore dell'Eterno che è il principio della sapienza.
2. Dio rivelatore:
Dio si rivela attraverso la sapienza , si manifesta, parla agli esseri umani per entrare in comunione o meglio a contatto con loro. Sempre in Pro 8, la sapienza è il veicolo attraverso il quale Dio rivela il suo messaggio agli esseri umani. La sapienza insegna l'arte di vivere una vita piena che ha come sfondo il suo opposto la morte. La vita piena del sapiente si traduce in termi¬ni temporali: lunga vita, abbondanza di beni. La morte è la sorte dell'ingiusto: una vita breve e misera. Questo contrasto serve ad illustrare come la "vita" abbia un significato o valenza teologi¬ca, e non soltanto biologica, nella riflessione dei sapienti.
3. Sapienza e Logos:
I traduttori greci dell'AT tradussero Sapienza per Logos. Nel prologo di Giovanni il termine Logos/Sapienza viene applicato al Cristo. Egli è lo strumento della creazione e della comunione con Dio, e solo Lui può farci entrare in contatto con Dio. Il Logos/Sapienza è diventato carne. Questa idea incarna ciò che di meglio ha prodotto il pensiero ebraico in termini di creazione e comunione con Dio. L'uso cristiano del termine viene a conferire a questa intuizione dei sapienti l'apice del suo valore metafori¬co per la fede cristiana.
I. Il Libro dei Proverbi.
Il libro dei Proverbi appartiene al tipo di letteratura chiamata SAPIENZIALE, che ha diverse caratteristiche: è scritta in verso, sopratutto usa una forma letteraria mashal "detto popolare, avvertimento, consiglio della sapienza popolare..., insegna una sapienza che aiuta a vivere, ecc.
Il libro non è un TUTTO omogeneo opera di un solo autore. Si tratta piuttosto di raccolte di detti, di proverbi mashal, in tutto identifichiamo 7 raccolte, di cui la seconda e la quinta sono attribuite direttamente a Salomone, la sesta ad Agur, la settima a Lemuel (ma contengono l'insegnamento di sua madre), la terza e la quarta sono attribuite ai saggi, probabilmente dei funzionari di corte, scribi o alti funzionari dell'amministrazione dello Stato (o insegnanti delle scuole dove di preparavano i futuri dirigenti statali). Di certo possiamo dire che il Libro si è costruito per aggiunta nei secoli di diverse collezioni di proverbi ritenuti autorevoli e degni di essere ricordati.
Le collezioni di proverbi: Storia della trasmissione e della redazione.
La Prima Raccolta 1,1 a 9,12. Sapienza e Stoltezza a confronto.
La seconda raccolta 10,1 a 22,16 I proverbi (di) Salomone.
La terza raccolta 22,17 a 24,22 le sentenze dei saggi (dei dottori).
La quarta raccolta 24,23-34 altre sentenze dei saggi (dei dottori).
La quinta raccolta altri proverbi di Salomone raccolti dagli scribi al tempo di Ezechia: 25,1 a 29,27.
La sesta raccolta le sentenze di Agur 30,1-33.
La settima raccolta 31,1-9 le massime di Lemuel (che sua madre gli insegnò). 31,10-31 elogio della donna virtuosa.
Struttura letteraria del Proverbio.
Il mashal è la forma letteraria tipica in cui si presenta la riflessione sapienziale, si tratta di un detto poetico breve, sintetico (che segue le regole del parallelismo) e che nasce come i detti popolari raccolti nelle sentenze e proverbi popolani riferiti alle stagioni, al clima, alla semina o al raccolto ecc. Nella sua forma popolaresca si fondano sull'osservazione o l'esperienza e devono avere come caratteristica un valore universale. Nelle mani dei sapienti i detti popolari diventano "sentenze", massime che si fondano sull'applicazione della Torah alle osservazioni, esperienze e riflessioni che vogliono avere un valore universale, appunto perché applicano la "sapienza" divina contenuta e rivelata nella Torah alla vita umana organizzata, al lavoro, alla condotta. Il mashal si trasmette prima oralmente e subisce delle trasformazioni che man mano lo fanno passare da detto popolare a espressione colta (più o meno raffinata poeticamente) che alla fine del processo di trasmissione si raccoglie in forma scritta. Poi si raggruppano le sentenze che hanno un tema simile e finalmente sono selezionate le sequenze di sentenze di tema vario che comporranno poi le raccolte finali.
In quanto alla forma vi è una grande varietà: enigmi, proverbi numerici, consigli, esortazioni, liste, dialoghi, controversie, ecc.
I sapienti e l'etica sapienziale.
Lo scopo dei Proverbi è conoscere (amare) la saggezza e l'educazione che provengono dalla Torah interpretata e insegnata dal sapiente; comprendere e divulgare i detti sensati che aiutano a vivere secondo il timore di Dio; ricevere l'insegnamento sul buon senso, la rettitudine, la giustizia e l'equità che orientano in senso etico e morale la vita verso gli scopi voluti da Dio e insegnati nella Torah; dare accorgimenti ai semplici e conoscenza e riflessione al giovane. Notate sp. il vs. 1,7: Yira significa timore ma nel senso di rispetto e reverenza, questo deve essere l'atteggiamento etico dell'uomo sapiente verso Dio, apertura dell'anima verso la trascendenza, lasciare che Dio occupi il posto di sovrano dell'esistenza, questo è resit da'at, il principio, cifra, sintesi della conoscenza.
In 1,20-33 troviamo l'esortazione etica, la chiamata o invito della sapienza per vivere una vita lunga e felice (piacevole), che è lo scopo della conoscenza della Torah. Hokma si presenta come una predicatrice che dirige nella piazza un discorso agli uomini, invitando loro a inseguirla per trovare il consiglio, il rispetto di Dio che conduce alla vita tranquilla, senza paura del male, mentre chi inseguirà la stoltezza si precipita verso la rovina. Neri Proverbi dunque troviamo spesso questo contrasto tra le due vie (due forme di vita) che conducono alla vita o alla morte.
Una vita vissuta secondo Sapienza ha una ricompensa. Il capitolo tre di Prov. possiamo chiamarlo dei doveri: verso Dio 1-12, e verso gli uomini 27-35, mentre i vvss. 13-26 parlano dei vantaggi della sapienza e della prudenza (che qui sono dei sinonimi). I concetti più usati sono quelli di premio o ricompensa per quelli che seguono le vie di Sapienza, e musar castigo, punizione per gli stolti che rifiuteranno l'insegnamento e non osserveranno i doveri verso Dio né verso gli uomini. Come si acquista la saggezza? Ascoltando l'insegnamento del padre che lo ha ricevuto a sua volta da suo padre, e così fino alla prima generazione (Abramo, cfr. Salmo 78:3-6). Ci sono due vie (4,10-19), si segui la via della sapienza ti saranno moltiplicati gli anni (in pace e serenità), se invece segui la via del male, allora la punizione ti perseguiterà fino a raggiungerti. La buona via è indicata con l'azione cumulativa degli organi del corpo (4,20-27), il più importante è il cuore, fonte del ricordo e della vita, perché dal cuore sorge la decisione etica, l'inclinazione per il bene (o per il male), se il cuore è puro sarà puro tutto il corpo.
Personaggio dominante del libro è HOKMA, sapienza, una qualità morale, intellettuale che è personificata in questa donna sapienza, donna esemplare che offre agli esseri umani il suo insegnamento per renderli assennati, saggi di vita, capaci di adempiere i propri doveri e di conoscere il particolare ruolo e posizione che occupano nell'insieme del progetto divino per il mondo.
Sapienza offre un "impegno" agli esseri umani: diventare saggi. La saggezza è così la conoscenza di Dio, di cui il "timore" riverente è il principio. Dio creato il mondo e le generazioni umane, ha collocato l'essere umano nel mondo e nella sua generazione, in un luogo, in un territorio umano e fisico, in una storia vitale , così l'essere umano è inserito in un contesto, e ha un obbligo, un impegno: capire quali sono i suoi doveri verso Dio, la sua generazione e popolo, la storia e il mondo. Capitale in questa concezione è il ritrovamento di questo territorio da occupare in modo degno, onesto e saggio (noi diremmo responsabile).
Sapienza aiuta l'essere umano a trovare questo luogo: Sapienza è volta per volta casalinga o padrona di casa che allestisce il banchetto, l'artigiana che lavora la vita per insegnarci la scienza di saper vivere (in questo consiste la sapienza che offre), insegna agli esseri umani a diventare artefici o meglio artigiani che costruiscono la propria vita, il proprio comportamento e lo fa con utili che sono consigli e comandamenti, avvertimenti per sfuggire il male (che invece gli stolti cercano a loro danno) e inseguire le vie del bene (e della prosperità materiale e spirituale).
2. Il Libro di Giobbe.
Tema, personaggi e significato della trama argomentativa.
Il libro di Giobbe è un dialogo poetico che si svolge a due livelli. Il primo è quello celeste e vede implicati Dio e Satana. La domanda che mette in moto la discussione presso "la corte celeste" dove Satana (nome che significa in questo libro avversario) sembra di casa, è molto semplice: Giobbe si comporta in modo giusto perché è stato premiato da Dio con la ricchezza e l'abbondanza di cui gode? Cosa succederebbe se Dio togliesse a quest'uomo ogni bene e lo colpisse nell'anima e nel corpo con sofferenze sopportabili?. La sopportabilità della sofferenza è la condizione posta da Dio per consentire la "prova" diabolica della fede di Giobbe. Il resto della storia vi è molto noto. Vorrei distinguere a questo punto della nostra discussione iniziale il fatto che il libro di Giobbe forma un'unità. In passato molti commentatori accennarono alla possibilità che le parti non poetiche fossero delle aggiunte narrative. No, oggi sono pochi a difendere questa posizione. Piuttosto le parti iniziale e finale del libro offrono una risposta superficiale alla questione della retribuzione del giusto, vale a dire, trattano la prima di una serie di cinque risposte alle domande scaturite nel dialogo celeste.
Ad un secondo livello, diciamo quello storico, la discussione è tra Giobbe, che rappre¬senta il giusto e l'innocente che soffre ingiustamente, e i quattro amici che rappresentano le risposte tradizionali date dalla sapienza ebraica al problema della retribuzione in vita: la sofferenza patita è il pagamento (punizione) giusto dovuto al peccato conosciuto e riconosciuto od ignorato e inconsapevole; o si tratta della prova permessa per insegnare un bene morale alto, la pazienza, la perseveranza? Il tema è trattato nella forma di tre cicli di discorsi scritti in forma di versi: ogni ciclo rappresenta uno dei tre amici Elifaz, Bildad e Zophar, e le successive risposte di Giobbe. Il ciclo di Eliu è da considerarsi distinto. Final¬mente, Dio stesso interviene nel dibattito per fornire una risposta che non è scontata, semplicemente si limita a indicare all'essere umano che la questione della retribuzione appartiene al disegno creatore e rimarrà nascosto all'essere umano, ad indicare come l'ignoranza dell'essere umano è creaturale, appartiene alla sua condizione. Noi non possiamo avere una risposta adeguata a questa cruciale domanda che il libro tratta in modo appassionato. Ma Dio è stato sempre dietro le quinte. Era il personaggio di cui si parlava nei discorsi, alcuni per difenderlo senza che Dio ne abbia bisogno, cioè gli amici di Giobbe danno all'uomo la colpa del male subito e della sofferenza inflitta, togliendola a Dio. Anche Giobbe si rivolgeva a Dio in cerca di una risposta alla soffe¬renza che lo colpiva, che egli riteneva ingiusta, mentre si difendeva dalle accuse degli amici invocando Dio perché gli facesse giustizia di fronte alle accuse degli amici.
Un Dio che appare finalmente ma nascosto in una nube, avvolto nell'uragano. Dio si rivela nel suo nascondimento, mentre si rivela una parte della sua verità e realtà rimane nascosta, celata inavvicinabile alle facoltà umane di comprensione. Il Dio creatore parla circondato dal mistero al quale si erano appellati gli amici per "denunciare" che solo il peccato di Giobbe poteva aver provocato i mali che lo colpivano. Alla fine questo Dio nascosto e misterioso risponde e parla a Giobbe dall'uragano. I nomi che prevalgano di Dio nella parte poetica sono El, Eloah, Shaddai, Elyon, mentre il Tetragramma prevale nelle parti discorsive (all'inizio e alla fine), discuteremo pure questa delicata questione teologica. La presenza di numerosi aramaismi, cioè l'ebraico del testo appare molto contaminato da parole ed espressione aramaiche, non consente di datarlo prima del ritorno dall'esilio, una data molto probabile, dato che è presente la conoscenza della civiltà greca, sarebbe la fine del quinto o l'inizio del quarto secolo avanti Cristo.
Giobbe, le sue domande e noi.
Il tema attorno al quale girano e rigirano le poesie del libro (a modo di discorsi posti in bocca dei diversi personaggi) non è altro che la "sofferenza" e il suo perché, della retribuzione del giusto, del perché dell'azione etica, delle motivazioni dell'impegno morale dell'uomo. In questo senso è un libro "moderno" anche se tratta un tema antico e nobile. Giobbe e i suoi amici sono d'accordo su un punto centrale: le sofferenze e le disgrazie che hanno colpito Giobbe, il suo patrimonio, la sua famiglia, il suo corpo, provengono (non c'è alternativa perché Dio governa il mondo e tutto quello che succede deve avere in Lui l'origine) da Dio stesso, sono riconducibili alle sue decisioni giuste ma spesso velate dal mistero e dall'incomprensione. La differenza tra Giobbe e gli amici che disputano con lui consiste nell'interpretazione che danno alle CAUSE per cui i suoi mali provengono da Dio.
Per gli amici la causa è senza dubbio il peccato di Giobbe, la sua ingiustizia e iniquità. Loro aderiscono al principio tradizionale esposto dal deuteronomista: Dio dà al giusto lunga vita e abbondanza di beni come retribuzione alla sua giustizia; e Dio maledice con ogni sorta di mali e accorciando la vita dell'ingiusto come retribuzione del suo peccato.
3. Il Libro di Qohelet.
Chi è Qohelet.
Qohelet è uno dei libri considerati dagli esegeti "problematici", per questo motivo le interpretazioni che troviamo possono essere "antitetiche", opposte, polarizzate, molto negative o molto positive. Questo in parte si deve senza dubbio ai limiti o ai pregi degli esegeti stessi. C'è chi adempie il proprio mestiere con abilità e buon senso e chi svolge i suoi compiti senza giun¬gere a grandi risultati, ma è anche un "problema" del libro stesso il fatto che porti tanti esegeti più o meno competenti a conclusioni opposte e di difficile conciliazione. Il libro può essere considerato l'opera di un "filosofo scettico", o l'opera di un grande "maestro di sapienza". La domanda da porsi è se questa polarizzazione sia il risultato del testo stesso, o se si deve al fatto che si muova fra due opposti alternativi il che può confondere i lettori moderni non avvezzi al metodo di Qohelet.
Il Predicatore è un saggio che cerca di "penetrare", di scavare la realtà, e lo fa con un metodo di analisi sapienziale ed espe¬rienziale almeno, così dice, pretende di studiare e di esperi¬mentare ogni cosa che analizza. Non si accontenta della "prima cosa che affiora", di ciò che sarebbe più immediato e verrebbe alla mano al primo tentativo di analisi. Vuole approfondire la realtà che analizza: la felicità umana, la scienza, la ricchezza, ed altre cose come vie di accesso a questa felicità, il timore di Dio, la fede, i piaceri, ed un lungo seguito di questioni minute ed importanti che vedremo man mano che la nostra lettura se non ci imbattiamo in qualche scoglio e naufraghiamo proseguirà come un viaggio. E' importante il fatto che Qohelet ci "racconti" le sue esperienze e riflessioni. Non si tratta di Salomone: è un maestro che insegna a dei giovani allievi usando delle massime, consigli sapienziali, e che riflette ampiamente su alcuni temi ripetuti costantemente. Possibilmente visse nel IV o III secolo AC. Il libro può essere stato scritto da alcuni dei suoi discepo¬li almeno l'inizio e la fine sono opera d'un editore che tal¬volta raccolse e compilò le sentenze e discorsi più importanti del maestro. Qualcuno scorge pure la mano di qualcuno che "glos¬sò" il testo aggiungendo ad esso i suoi commenti.
Qohelet è un participio che può derivare dal verbo qâhal (congregare, riunire), e dunque sarebbe "chi convoca un'assemblea", presumibilmente per parlare ai convenuti, perciò Lutero tradusse Predicatore. Può derivare dal sostantivo qehâl "assemblea" e dunque significare "l'uomo dell'assemblea" che insegna la sapienza a quelli che sono seduti attorno a lui. Quest'ultima è l'ipotesi più probabile.
Significato della ricerca di Qohelet.
Qohelet sembra dirci qualcosa apparentemente molto semplice: egli si chiede se si possa trovare la felicità piena nello svolgersi la vita con tutte le sue ricorrenze e cicli collegati ad azioni ed eventi diversi gli stessi per ogni vita umana. Per trovare la risposta analizza ed esperimenta tutto ciò che sembra portare alla felicità, o sarebbe meglio dire, a vivere una vita proficua, vantaggiosa (yitrôn). Il risultato appare volta per volta giudi¬cato dalla parola hebel, "vanità", ogni tentativo di trovare la felicità piena nelle cose si rivela "vano", "inseguire il vento". Egli ci dice però che ha trovato un "profitto relativo" che possono procurare: la scienza e la sapienza, la buona mensa e il vino, le gioie della giovinezza, le ricchezze, ecc. Questo pro¬fitto relativo che non è la felicità che si cerca disperatamen¬te , è un "dono di Dio" del quale dobbiamo godere nei giorni che il Signore ci concede, senza offendere Dio, cioè rispettando "il timore dell'Eterno" che è il principio della sapienza, perché Dio giudicherà l'opera di ogni essere umano. La domanda più insidiosa è se il profitto (yitrôn) di chi cerca la sapienza è per Qohelet ridotto alla dimensione dell'esistenza, e cioè se egli parla di una retribuzione del giusto più in là della morte.
4. Uno sguardo di insieme:
Il Cantico dei Cantici e gli altri scritti.
Il libro del Cantico non è stato scritto da Salomone nel X secolo a.C., questa era credenza tradizionale senza fondamento, il significato del titolo, aggiunto all'originale più tardi, è piuttosto alla maniera di Salomone. In 1 Re 5,12 si dice che Salomone pronunciò più di tremila sentenze (e gli si attribuì Proverbi e Qohelet) e millecinque versi. Chi lo scrisse dunque e quando? L'autore del libro dell'Ecclesiastico (fine del III secolo a.C.) cita alcuni versi che potrebbero appartenere al Cantico, si pensa che nella sua forma attuale il Cantico sia stato scritto tra il III e il primo secolo a.C. Si percepisce l'influenza dell'aramaico e del greco (3,9 la parola appiryon (lettiga) viene da phoreion e in 4,13 la parola pardes (giardino) viene dal greco paradeisos a sua volta parola derivata dal persiano). L'autore è un poeta o poetessa anonimo o un gruppo di poeti che scrissero o raccolsero una serie di componimenti lirici, di poesie con soggetto amoroso.
La forma letteraria del testo è di vitale importanza e un tema molto dibattuto. La conclusione è questa, abbiamo dinanzi a noi un testo che è una composizione lirica amorosa con un gruppo di personaggi, due sono dominanti la ragazza e il ragazzo, abbiamo poi un coro di giovani e un coro di ragazze e qualche personaggio evocato (Salomone, i fratelli della ragazza). La domanda che ci poniamo è questa: si tratta di un libro strutturato (un poema o un dramma) o di singoli componimenti messi insieme in una raccolta di poesie appartenenti a diverse epoche?
Chi sono gli amanti? Questa è la domanda più importante per capire il significato del Cantico, per interpretare il testo. Non dimentichiamo che si tratta di un libro che è stato considerato ispirato e incluso nel canone dei ketubim, gli scritti, attualmente il Cantico forma parte dei 5 megillot o rotoli (Rut, Cantico, Lamentazioni, Qohelet, Esther) che si leggono nelle sinagoghe durante le grandi feste annuali. Il libro fu incluso nel canone perché interpretato in senso allegorico - spirituale, la forma compiuta di questa lettura rabbinica la troviamo nel Targum del Cantico (VII secolo d.C.) dove l'interpretazione spiritualista raggiunge l'apice. Il Cantico racconterebbe la storia del rapporto tra Dio e il suo popolo in tre stadi: INIZIO – CROLLO – RESTAURAZIONE. Il cristianesimo ha fatto altrettanto e ha interpretato il testo canonicamente con due chiavi allegoriche. Nella prima gli amanti sono Cristo e la chiesa, nella seconda Cristo e l'anima singola del credente. Si descrive dunque il rapporto tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la chiesa e il credente. Questo tipo di interpretazioni deve essere superato da una lettura critica attenta però al significato teologico del testo.
Il Cantico non è esterno a Israele, il linguaggio e i concetti provengono dall'AT e l'autore, il poeta o la poetessa che lo hanno composto o scritto conoscevano bene l'AT.
La trama del Cantico è oggetto di grande dibattito, è ovvio che dipende dalla risposta che daremo alla domanda sulla forma letteraria del libro. Nella prima ipotesi, un testo unitario con una struttura complessa, si tratterebbe p.e. di un epitalamio (scritto per celebrare le nozze di una coppia regale, questa era l'opinione di Origine), o di un dramma da rappresentare (molti pensano anche che questa sia la funzione delle quattro parti di Giobbe). Nella seconda ipotesi, si tratta di una raccolta di singoli componimenti, la trama è molto semplice si racconta una storia di amore tra due ragazzi dall'incontro al rifiuto e poi alla riconciliazione.
Le domande più importanti riguardano ovviamente il SIGNIFICATO del Cantico e ora ci concentriamo su questo aspetto decisivo della nostra ricerca. Vi è un primo senso evidente, un primo significato palese: due giovani amanti celebrano con trasporto lo esplodere l'amore fra loro con una passione travolgente. Il poeta o la poetessa crea un mondo-universo agricolo e cittadino, dove si muovono i personaggi che scoprono e vivono il loro amore. Attorno a loro si aggirano una serie di personaggi e si racconta la "storia" del loro amore. Vi è la prima fase del desiderio e la scoperta del amore, dell'avvicinamento, della confessione dell'amore e dei primi momenti deliziosi della consumazione, poi vi è il tempo della perdita, della separazione e il dolore terribile dell'assenza, e finalmente vi è il momento della riconciliazione e del ritorno dell'amore con una forza pari a quella della morte. Le singole liriche sono integrate in questa sorta di descrizione delle differenti fasi dell'amore tra la ragazza e il ragazzo con una maggiore o minore coerenza, ci sono dei testi che sembrano forzati in quel contesto. Dato che il punto di vista prevalente è quello della donna, molti pensano oggi che a scrivere il libro sia stato proprio una donna.
In questa come in tutte le questioni ermeneutiche occorre lasciare parlare i testi, ascoltare i testi. Questa che non è che una misura precauzionale sembra essere proprio l'errore fatto dall'ermeneutica fatta sul cantico (molto fitta e particolarmente abbondante). Se oggi abbiamo abbandonato la lettura allegorica e spirituale, occorre però trovare un'interpretazione che dia un significato teologico al testo, altrimenti abbiamo di fronte a noi una raccolta di liriche. Se il nostro testo è canonico allora dobbiamo pretendere di trovare in esso un significato teologico e religioso. Ci sono due vie principali oggi. La prima è rappresentata da Murphy, che suggerisce che il cantico contiene una teologia della sessualità umana. Sorprende il fatto che gli interpreti cattolici aderiscano quasi in massa ed entusiasticamente a questa linea interpretativa (valga per tutti gli altri il commento di Ravasi). In campo protestante si è più cauti (l'esempio è il lavoro di Jenson).
Il libro del Cantico deve essere presso sul serio. In primo luogo per arrivare ad una lettura significativa del testo dobbiamo accettare che si parli del rapporto Dio essere umano in termini lirici, cioè se il cantico contiene una teologia che descrive il rapporto Dio-essere umano in chiave amorosa, partendo dal desiderio, questa teologia non è descrittiva, narratologica o dogmatica ma LIRICA, abbiamo qui dunque un esempio di teologia lirica, possiamo descrivere dunque il rapporto Dio essere umano in questa chiave poetica. In secondo luogo, la risorsa fondamentale della lirica ebraica antica è l'allitterazione e il parallelismo, la poetica occidentale è diversa. Per capire dunque questa teologia lirica che descrive simbolicamente il rapporto Dio – essere umano, dobbiamo conoscere questi elementi della poetica ebraica. In secondo luogo, la teologia lirica implica un uso abbondante dell'ESTETICA, e nella teologia dogmatica ad uso e consumo delle dichiarazioni dei diversi magisteri, proprio l'estetica è assente. Questi due elementi la lirica e l'estetica devono dunque entrare nella nostra interpretazione del testo come chiavi ermeneutiche. Vedremo poi dove ci condurranno se ad altezze impensate o ad abissi imbarazzanti. Lasceremo parlare i testi e questa spero, sarà la nostra forza.
Retrospettiva della Sapienza Ebraica.
Seguire la via della sapienza è paragonato alla costruzione di una casa solida, con fondamenti stabili, piena di ricchezza e di onore (24,3-4), mentre la stoltezza distrugge. La sapienza contiene delle massime universali, il sapiente insiste sulla necessità della riflessione, delle virtù acquistate con lo sforzo mentale. La vita di successo è guidata dalla riflessione, in queste massime della sapienza ebraica troviamo anche i consigli per i giudici (e per i politici) di grande attualità e opportunità, cioè i funzionari incaricati di amministrare la cosa pubblica, di realizzare la giustizia o di governare il popolo devono essere guidati dalla ricerca del bene comune, questa è l'intenzione della Torah, insegnare la giustizia divina perché essa governi la giustizia umana. Notate come se letti sotto questa prospettiva tutti i detti della sapienza ebraica acquistano il loro vero senso: sono delle massime per vivere una vita secondo il timore riverente di Dio. Il giudice ingiusto sarà giudicato da Dio. In Prov 24,14 si esalta il valore della sapienza: essa ti darà un avvenire e adempierà la tua speranza. La dimensione del premio o ricompensa è sempre presente nell'esortazione etica. Il premio del corrotto sarà la morte prematura, la sua lampada si spegnerà all'improvviso (24,20), ma chi rispetta la giustizia nel tribunale, avrà un futuro. Chi dovrà svolgere l'arduo lavoro di funzionario statale, di servitore di Dio e del popolo, deve armarsi di sapienza, il suo comportamento deve essere esemplare in tutto, camminare con piedi di piombo, rispettare le regole. Fin qui nulla che nessun'altra tradizione sapienziale non abbia già sottolineato. Ma qui troviamo qualcosa di molto diverso. La motivazione della condotta va ricercata nel timore dell'Eterno. Il comportamento, a sua volta, ha una finalità religiosa: stabilire la giustizia che è la volontà divina e il suo comandamento, ed evitare l'ingiustizia perché si segua il bene per il maggior numero possibile di esseri umani.
La sorgente della sapienza è la Legge di Dio (e la creazione portata a termine da Dio tramite Sapienza e dunque seguendo delle Leggi che ora sono iscritte nelle cose create), mentre è possibile un'altra fonte di sapienza che è la Rivelazione divina (Salomone potrebbe essere un esempio perché egli ha ascoltato la Rivelazione e diventato dunque saggio). Oltre a queste fonti di origine divina, ci sono altre fonti collegate all'esperienza umana: la società e il lavoro, l'organizzazione sociale, l'esperienza vissuta meditata (contemplata – immedesimata e capita). Il proverbio che ne scaturisce da queste fonti è "formulato" in un masal, trasmesso e poi accettato.
Secondo Alonso Schokell Dio è considerato nella letteratura sapienziale come Sorgente della conoscenza, come Limite della conoscenza e come Tema della riflessione. Dio guida e giudica l'operato umano, castiga o benedice a seconda delle nostre azioni, Dio è inoltre il creatore e la garanzia di un ordine etico governato sia dal timore verso l'Eterno (meglio interpretare timore come "Rispetto" dell'ordine voluto da Dio), sia la fiducia che ogni elemento di questo ordine preserva la nostra vita, ci è di aiuto e di benedizione. Perché il volere di Dio automaticamente, dichiara la giustizia di quello che Dio stesso vuole (tutto quello che Dio vuole e fa è giusto e buono per l'essere umano e per il mondo).
Testi utili da consultare:
Walter Brueggemann. "Gli scritti", in Introduzione all'Antico Testamento, Torino, Claudiana Strumenti 21, 2005, pp. 287-420.
Roland E. Murphy. L'Albero della vita: Un'esplorazione della letteratura sapienziale biblica. Brescia, Queriniana Biblioteca Biblica 13, 2000 2° ed.
Alexander Rofé. Introduzione alla letteratura della Bibbia Ebraica. Vol. 2 Profeti, Salmi e Libri Sapienziali. Brescia, Paideia Introd. Allo studio della Bibbia Suppl. 49, 2011.
Gerhard von Rad. La Sapienza in Israele. Genova, Marietti, 2000 5° ristampa.
Claus Westermann. Salmi: Generi ed esegesi. Cassale Monferrato, PIEMME, 1990.CICLO DI LEZIONI AL CENTRO CULTURALE PROTESTANTE