Questo sito web utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione.

Qohelet 1

QOHELET: capitoli 5-8

Qohelet 1,1-2. Introduzione: Considerazioni preliminari e aggancio con i precedenti studi su Qohelet.

Ci sono tre questioni preliminari che in qualche modo deter¬mineranno la nostra lettura di Qohelet. La polarizzazione delle interpretazioni date al testo possono essere spiegate in relazio¬ne a queste tre considerazioni: la prima riguarda il metodo di Qohelet. Se noi siamo in grado di chiarire quale sia la sua ricerca e il metodo che utilizza avremo fatto un passo in avanti importante; la seconda riguarda il significato e la portata dell'uso che fa della parola chiave hebel; la terza riguarda il significato e la portata dell'altro termine chiave yitrôn.

Dobbiamo anzitutto conoscere cosa si propone di fare il nostro autore. Egli vuole trovare una risposta alla domanda che guida la sua ricerca. Analizza l'esistenza umana attraverso una serie di "eventi" umani: la giustizia, la retribuzione, il piace¬re che producono certi travagli o impegni, la sapienza, la morte. Ognuno di questi eventi sono giudicati dalla domanda: "quale profitto o vantaggio producono all'essere umano?" Conclude la sua analisi con un giudizio finale: "tutto è vanità", vale a dire ognuno di questi eventi, supera l'esame definitivo posto dalla conclusione generale? C'è qualcosa nell'esistenza umana sotto il sole che superi il giudizio del "tutto è vanità e inseguire il vento?" Questa prospettiva fa di Qohelet un autore sospeso tra Postmodernità e Fondamentalismo. La sua analisi non segue la logica del ragionamento progressivo che procede attraverso la deduzione logica per tappe tipica del pensiero occidentale , del pensiero deduttivo o induttivo. Il suo ragionamento è circolare e a ondate, procede attraverso una serie di parallelismi ed opposizioni: la domanda su ogni evento dell'esistenza riceve una prima risposta da parte di Qohelet, presa dalla tradizione dei "saggi" di Israele; procede poi a mettere in luce quel che appare, o sembra apparire contem¬plando la realtà, e che sembra smentire quello che la tradizione dice; procede poi a dare la sua risposta. Con piccole varianti che cercheremo di mettere in luce, questo è il metodo del nostro autore. L'analisi dell'esistenza procede lungo questi tre "livel¬li": risposta degli antichi, constatazioni derivate dall'osserva¬zione diretta, conclusioni del sapiente Qohelet. Non ci sono dunque contraddizioni, ma un "dialogo" in cui ci sono almeno "tre voci" (cfr. il metodo di Giobbe).

v.1: Chi E' Qohelet?

Il Predicatore è un saggio che cerca di "penetrare", di scavare la realtà dell'esistenza, e lo fa con un metodo di anali¬si sapienziale ed esperienziale almeno, così dice, pretende di studiare e di esperimentare ogni cosa che analizza. Non si accon¬tenta della "prima cosa che affiora", di quel che sarebbe più immediato e verrebbe alla mano al primo tentativo di analisi. Vuole approfondire la realtà che analizza: la felicità umana, la scienza, la ricchezza, ed altre cose come vie di accesso a questa felicità, il timore di Dio, la fede, i piaceri, ed un lungo seguito di questioni minute ed importanti. E' importante notare il fatto che Qohelet ci "racconti" le sue esperienze e riflessio¬ni. Non si tratta di Salomone: è un maestro che insegna a dei giovani allievi usando delle massime, consigli sapienziali, e che riflette ampiamente su alcuni temi ripetuti costantemente. Proba¬bilmente visse nel IV o III secolo AC. Il libro può essere stato scritto da alcuni dei suoi discepoli almeno l'inizio e la fine sono opera d'un editore che talvolta raccolse e compilò le sen¬tenze e discorsi più importanti del maestro. Qualcuno scorge pure la mano di qualcuno che "glossò" il testo aggiungendo ad esso i suoi commenti.

Qohelet è un participio che può derivare dal verbo qâhal (congregare, riunire), e dunque sarebbe "chi convoca un'assem¬blea", presumibilmente per parlare ai convenuti, perciò Lutero tradusse Predicatore. Può derivare dal sostantivo qehâl "assem¬blea" e dunque significare "l'uomo dell'assemblea" che insegna la sapienza a quelli che sono seduti attorno a lui. Quest'ultima è l'ipotesi più probabile.

v.2: Il Significato di hebel:

Sul significato della parola hebel, una delle chiavi per leggere il testo, non dobbiamo affrettarci nella risposta. Vedre¬mo nel corso dello studio, man mano che la ritroveremo, tutte le sfumature che presenta il suo significato. Dobbiamo conoscere un elemento importante riguardo il "significato" delle parole che non dipende soltanto da quello che indica il dizionario: esse possono avere significati diversi a seconda dei contesti in cui vengono usate, e a seconda delle intenzioni di chi le utilizza. Il significato della parola hebel dipende da una sorta di equazione semantica i cui termini sono: i contesti di significato in cui viene utilizzata; il significato dei termini ed espressio¬ni paralleli; la domanda generale sul vantaggio o profitto. Accade spesso che un'interpretazione inadeguata del significato di una parola chiave ci porti fuori strada nel viaggio ermeneuti¬co. L'insistenza con cui sottolineo questo punto non è eccessiva e spero che la ragione apparirà chiara in tutta la sua importanza successivamente.

Nel v. 2 la parola hebel appare 5 volte in tutto il testo 38 volte . Si tratta del tema ed è un riassunto un sommario della ricerca dell'autore. Hebel è utilizzata prevalentemente come parte di un sommario o di un giudizio conclusivo. Vale a dire è il termine più ripetuto e ha una funzione chiara, il che dimostra la sua centralità nel pensiero dell'autore. La sua interpretazione richiede dunque il massimo della cura. Questa parola che traduciamo "vanità" significa in altre parti dell'AT: vapore, nulla, vuoto, nullità, soffio, alito. Vediamo quali sono i significati che vengono dati a questa parole nell'uso che ne fa Qohelet: tradizionalmente si è interpretato come vanità, soffio, alito, qualcosa senza consistenza, che svanisce subito, senza durata; nel 1943 W.E. Staples, suggerì che il significato più probabile dato a questa parola era quello di "mistero, enigma", e farebbe riferimento a quel che ci è incomprensibile, misterioso all'interno dell'esperienza umana e di quel che ci accade sotto il sole; invece per E. Good il significato del termine è sempli¬cemente quello di "ironia", vale a dire qualcosa che sfida la comprensione tradizionale della retribuzione in vita, la morale del Deuteronomio che è alla base della dottrina classica dei sapienti sulla punizione al malvagio e la benedizione del giusto "durante la vita terrena" (cfr. il caso di Giobbe). Se diamo alla parola hebel il significato di vuoto, nulla, qualcosa che non dura e che è futile, allora dobbiamo concludere che Qohelet insegna che la vita umana in tutte le sue sfaccettature è futile e vana, se concludiamo che il significato è mistero, enigma allora concluderemo che Qohelet insegna che la vita umana è un mistero pieno di lati oscuri. Vanità delle vanità (hebel hebalim) non è dunque un superlativo che indica la disperazione di chi considera la vita umana un vuoto futile, ma il superlativo che si addice al mistero: la vita umana è misteriosa, il mistero dei misteri che occupa e preoccupa il saggio. Ma Qohelet ha chiaro che essa è un "dono di Dio" (8:15), e che dunque la risposta finale alla sua domanda va ricercata proprio nella dimensione della presenza misteriosa di Dio e della sua azione e opera enigmatiche, incomprensibili, nella dimensione del mondo "che è sotto il sole". Il limite di ogni riflessione umana, sembra dire Qohelet è proprio questa impossibilità di capire a pieno tutto quello che l'esistenza umana, immersa nelle sue circostanze, travagli e gioie, implica e significa. Lui applica da parte sua tutta la sua sapienza nell'introspezione dell'analisi totale della questione che si pone, interroga i sapienti che l'hanno preceduto e insegna ai suoi allievi, ai giovani che sono attorno a lui e che vogliono imparare a districarsi nella vita con "sapienza", che in nessun modo riusciremo mai a conoscere tutto il mistero racchiuso nell'esistenza umana. Cominciamo proprio da questa constatazione che ci darà l'umiltà sufficiente per non cadere nell'arroganza di voler capire tutto quello che Qohelet ha voluto dire. Se vogliamo venire a capo di questa immensa "vanità delle vanità", l'enigma dell'essere e del vivere, il paradosso e l'enigma della Sfinge, dovremo partire da qui, dal consiglio del vecchio sapiente: non riusciremo mai a capire appieno tutto ciò che è coinvolto nell'esistenza umana, soprattutto quando sull'orizzonte appare la questione di Dio o della retribuzione.