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Romani 9-11

Iniziamo ora una serie di studi sui capitoli 9-11 di Romani, faremo anzitutto un viaggio panoramico sull’intera sezione per individuare “il tema centrale”, le questioni importanti che girano attorno a questo tema. Lo faremo dalla mano di questi tre autori Dunn, Cranfield e Wilckens che sono considerati tra i più competenti esperti nella materia. Diciamo subito che il tema centrale di questa sezione non è l’elezione, né la sorte d’Israele nel piano della salvezza (anche se pesa assai il No d’Israele al vangelo della grazia e della giustificazione per fede). Diciamo subito che il tema centrale che ci occuperà è “l’obiezione” alla quale risponde Paolo in questa sezione e che viene da un ipotetico argomento presentato da un “avversario” ebreo che formulerebbe l’obiezione. Come abbiamo avuto già più volte occasione di dire questo è l’impianto retorico o stilistico della Lettera, Paolo risponde a ipotetici argomenti contrari alla sua esposizione del Vangelo della grazia di Dio. In questa sezione risponderebbe ad un “argomento” piuttosto robusto e difficile da ribattere: Cosa succede ora con Israele, visto che il No della nazione non può cancellare il fatto che loro sono la nazione eletta e Dio non può contraddire le sue promesse a Israele che è stata sì, infedele tante volte nel passato ma non è mai decaduta dall’elezione divina, è ancora vigente l’elezione? Dio può contraddire le sue promesse? Soltanto sostenendo che l’elezione d’Israele è stata rotta da Dio si può avere il fondamento di una nuova alleanza che mescola Israele e Chiesa, ebrei e pagani, ma lo si fa al prezzo della continuità tra Primo e Secondo Testamento, tra l’opera di Dio in Israele fino a Cristo e poi nella Chiesa senza Israele. Fin qui l’obiezione dell’ipotetico avversario teologico. Non ci deve sfuggire questo pericolo, non si possono separare ne affermare che siano discontinui Israele e Chiesa, l’Iddio del primo è lo stesso del secondo. La realtà di ogni discorso cristiano su Dio dipende dall’identificazione con lo stesso Dio che ha scelto Israele (le cui parole non passeranno), e della connessione tra l’opera salvifica di Gesù nella chiesa e l’opera salvifica di Dio nella storia di Israele (non possono essere diverse altrimenti non vi è fondamento per la chiesa nella storia della salvezza).

Il problema teologico è gravissimo, e occorre rispondere a questa obbiezione micidiale che, senza dubbio viene dal contesto apologetico delle continue discussioni di Paolo con gli ebrei nelle sinagoghe e nelle città dove questo compiva la sua opera missionaria, non è dunque un’obbiezione teoretica ma il risultato del contatto giornaliero nelle dispute teologiche con gli ebrei. Pertanto siamo qui arrivati ad un punto importante di maturazione del pensiero paolino. Questo è uno dei punti decisivi ancora oggi. Ricordiamo da una parte l’intensa concorrenza tra le due fedi nel mondo mediterraneo allora, ma poi la difficile convivenza storica tra cristianesimo ed ebraismo, e infine l’antisemitismo cristiano esacerbato dai pogrom, dall’Inquisizione, espulsioni, massacri medioevali degli ebrei, fino all’orrore della Shoa. Questa difficile storia non va dimenticata e ogni affermazione su Israele va riconsiderata alla luce del rischio di anti-semitismo e teologicamente, dal rischio di spezzare l’unità e continuità dell’opera divina di salvezza in tutta la storia. Se spezziamo la continuità spezziamo le fondamenta su cui poggia la chiesa che sono i profeti e gli apostoli. Rimaniamo senza ancoraggio, galleggianti su una zattera: perché se Dio che scelse Israele ora lo ripudia allora ha ritirato la parola data, essa è caduta per terra, ma questo è impossibile (Rom 9,6). Il No di Israele produce una doppia “aporia” o difficoltà insolubile alla teologia cristiana e questo è il tentativo di Paolo qui: risolvere la doppia aporia (problema in cui le possibili soluzioni creano problemi maggiori conducendo ad una via senza uscita) Dio dovrebbe rifiutare il suo popolo (cosa che non può fare), e dall’altra se la giustizia è giustizia di alleanza per affermare la giustizia mediante la fede si deve negare la giustizia mediante la legge (il che equivale ancora a rifiutare Israele che rifiutando il vangelo rimane aderente alla Torà). Ora enunciamo soltanto il problema. Per uscirne e districare la matassa avremo bisogno di pazienza e di seguire i passi del ragionamento Paolino che offre delle risposte ricche, teologicamente fondate e serenamente argomentate sotto la guida crediamo noi dell’ispirazione dello Spirito Santo. Vediamo ora il programma degli studi:

1. Presentazione del “Tema” e prima esposizione di Rom. 9,6.

2. Introduzione generale e commento di Rom 9,1-6.

3. Romani 9,6-13 L’elezione divina implica sempre una selezione: Esempi Biblici.

4. Romani 9,14-29 Dio è libero nella sua ira e nelle sue compassioni.

5. Romani 9,30-33 Israele non è riuscito ad essere giustificato attraverso la legge.

6. Romani 10,1-21 Israele non deve chiudersi alla possibilità della giustizia mediante la fede offerta a tutti gli altri esseri umani.

7. Romani 11,1-10 L’elezione di un resto soltanto.

8. Romani 11,11-24 Avvertimento ai cristiani perché non si riempiano di orgoglio.

Conclusione Romani 11,25-32 Predicazione domenicale: il paradosso della giustizia divina.

 

Notate ora i temi secondari ma correlati che dovremo analizzare con cura: anzitutto l’affidabilità di Dio, occorre insistere su questo punto; la misericordia divina si manifesta sempre in modo concreto e non generico; il rapporto tra il primo e il secondo testamento, tra la nostra elezione e l’elezione di Israele. Proverò anche a parlare dei rapporti tra Israele e Chiesa, del dialogo tra ebraismo e cristianesimo, recentemente ho partecipato insieme al rabbino Laras ad un dibattito nell’Università cattolica (presenti più di trecento persone) sul tema del dialogo tra ebrei e cristiani. Finalmente, dobbiamo imparare come cristiani a separare la questione di Israele in quanto Stato nazionale che difende le sue posizioni, interessi e politiche di fronte ad altri Stati (arabi o non arabi), dalla questione dei nostri rapporti con l’ebraismo, gli ebrei non sono lo Stato di Israele. Secondo, dobbiamo combattere strenuamente con tutti gli strumenti possibili e immaginabili ogni razzismo e ogni manifestazione, rigurgito di antisemitismo, non si può accettare né tollerare nelle chiese cristiane alcuna manifestazione di odio, denigrazione o disprezzo del popolo ebraico e della sua religione. Al contrario dobbiamo essere consci di quanto siamo interdipendenti e uniti ai nostri fratelli ebrei dei quali abbiamo tanto da imparare.