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Libro dei Giudici 4

Giudici 13,1 a 16,31 La storia insolita di Sansone, Giudice d’Israele della tribù di Dan.

La storia di Sansone è proprio insolita, a partire dell’annuncio della sua nascita. L’antefatto è il solito ritornello di Gdc., “i figli di Israele continuarono a fare ciò che è male” e Dio li diede in mano ai filistei per 40 anni (il tempo del deserto). Questo popolo ha rappresentato l’insidia peggiore per Israele per un misto di rifiuto e di seduzione (il nemico più insidioso è quello capace di sedurre) ben illustrato nelle storie o aneddoti raccontati su Sansone. I filistei sono “gli incirconcisi”, dunque non appartengono ai popoli semiti, provengono dall’Egeo (talvolta mercenari achei scappati da Creta) e nel XII secolo, con il consenso egiziano, hanno occupato il territorio costiero del Sud della Palestina. Sono un popolo guerriero temibile per organizzazione, armamento e tecnica (civile e militare insieme), come mostrano gli abbondanti reperti archeologici ritrovati nell’area del loro insediamento (Gaza e pianura costiera del Sud), Palestina viene proprio da Philistea, nome della confederazione delle cinque città-stato governate da cinque Principi che formano la coalizione filistea: Ashdod, Ashqalon, Eqron, Gat e Gaza. Rappresentarono una minaccia terribile e costante per secoli, fino alla loro sconfitta a mani di Davide e Salomone. Sansone non libererà Israele dalla minaccia, ma con lui INIZIERA’ in processo di salvezza.

13,1-7. E venne l’Angelo: Israele era da 40 anni sottomesso ai filistei, il primo racconto riguardante Sansone ci riporta alla cittadina di Sorea, tribù di Dan, dove un uomo Manoah ha una moglie sterile. A questa donna “fa visita” un angelo che questa confonde con un “uomo di Dio”. L’annuncio è breve e sorprendente, dobbiamo ricordare i soli due precedenti di nascite sorprendenti, Isacco e Mosè. L’angelo dice alla donna che partorirà un bambino che sarà consacrato a Dio sin dal seno materno. La donna non deve bere alcolici né mangiare cibi impuri, mentre il bambino dovrà crescere senza che la cesoia poti i suoi capelli . Ora, si impone un esame dell’esperienza dell’incontro con la realtà sacrale. Ci sono due elementi da sottolineare in questo primo incontro. La donna non capisce che si tratta dell’angelo del Signore, lo confonde con un uomo di Dio, anche se ne ha il sospetto poiché incute “paura”, il timore della santità perché è pericoloso il contatto con Dio. L’angelo rappresenta Dio e riempie la distanza abissale che impedisce il contatto diretto, risolve il problema teologico della distanza e della necessità di comunicare tra Dio e gli esseri umani. Il secondo elemento è che questo incontro rivela ma allo stesso tempo cela, nasconde qualcosa altro, risponde alla situazione di pericolo e angoscia del popolo oppresso, ma lo fa annunciando la nascita di un bambino che sarà soltanto l’inizio della salvezza, egli non salverà Israele, ma con lui inizierà un processo di salvezza. Il numinoso in questo caso si presenta non più come “una soluzione” immediata, ma come un lungo processo in cui sarà messo alla prova l’intero popolo eletto. La donna che rimane anonima immediatamente, riferisce a suo marito. Sarà consacrato nazireo, queste persone sono afferrate da Dio, dallo Spirito per un compito specifico, per Sansone questo nazireato comincia proprio nella pancia della madre.

13,8-23. Manoah pregò perché venisse ancora l’angelo che egli convoca pensando che fosse un uomo, per sapere come comportarsi con il bambino (notate che non ebbe dubbi su quello che sua moglie gli raccontava). Ma l’angelo è dispettoso, e venne per la seconda volta alla donna mentre questa si trovava “seduta, ferma nel campo” e senza Manoah, questa parte di corsa ad avvertire il marito perché venisse immediatamente, e così anche Manoah riesce a vedere “l’uomo di Dio”, l’angelo celato in forma umana. La domanda di Manoah è tipica della consulta nei templi, ha l’aspetto di una preghiera-domanda: “Ora nel caso che la tua parola si verifichi, come dobbiamo comportarci con il bambino?”, essendo un nazireo devono seguire le regole che ordinano la vita di questo tipo di persone. Notate come prosegue la scena: ciascuno ha un ruolo, loro pensano che si tratti di un uomo ed egli si comporta come tale, l’angelo ribatte le sue prescrizioni niente vino né cibi impuri sin dal ventre della madre il ragazzo sarà consacrato. Manoah allora vuole compiere il dovere dell’ospitalità verso lo straniero che porta la lieta notizia: vuole preparare un capretto. Ma l’angelo afferma che “non mangerà il suo cibo”, ma invita Manoah a presentare a Dio un sacrificio olah totale (per l’espiazione della colpa collettiva?). Manoah è ignaro dell’identità dell’uomo e chiede dunque il suo nome per onorarlo nel caso si avveri la sua parola (sarebbe un vero profeta). Ma l’angelo dice che il suo nome “è un segreto”, questa parola contiene la radice palah che significa “essere grandioso”. Il contesto di rivelazione teofanica diventa ora “quasi” evidente, il Nome rappresenta la persona e non potrebbe essere altro del Nome di Dio stesso rappresentato dall’angelo, lui è nulla, non ha nome, ma il Nome di Dio è sul suo angelo.

Il sacrificio è preparato e compiuto “sulla roccia” che serve da altare, è offerto a YHWH malvi, notate cosa significhi questo nome, “che fa portenti o cose segrete”, in un certo senso questa denominazione ha già risolto in parte il problema del nome segreto di Dio. Ci interessa notare che Manoah, il futuro padre del giudice forzuto, non si rende conto dell’identità angelica se non quando questo parte in modo straordinario, scomparendo nella fiamma e nel fumo dell’olocausto. L’idea contenuta in questa visione è semplice: l’angelo è l’incaricato di portare a Dio le preghiere e i sacrifici dei fedeli, entra nel fuoco e nel fumo della vittima sacrificata per portarla dinanzi a Dio. Vediamo una forma primitiva di credenza nella “spiritualità” degli esseri angelici, il corpo con il quale sono visti è apparenza, in realtà sono spiriti e questo si rende evidente soltanto quando penetrano nel loro elemento (il fuoco, il fumo, l’aria) per scomparire. L’angelo è messaggero della grazia che toglie l’onta della sterilità della donna, che al contrario del marito aveva identificato l’angelo, all’inizio per lei era un sospetto ma subito se ne era accorta e ora tranquillizza il marito che pensa (ne è certo) di dovere morire perché hanno visto l’angelo del Signore.

13,24-25 Nasce il bambino: qualcuno dirà, è ora che si cominci a parlare dell’eroe. Il nome che riceve è particolare, Sansone viene dalla parola shemesh (sole), il che ricorda il mito di Eracle, ma si tratta di pura coincidenza. Il bambino crebbe sotto la benedizione divina, è stato scelto sin dal seno materno e quello che lo rende unico e particolare è il modo in cui la benedizione divina e la santa ruaj sono su di lui e in lui. Dio è sin dal libro di Genesi colui che benedice tutte le opere ed esseri da lui creati. Il primo significato collegato alla radice brk e al verbo e sostantivo beraka che si formano da essa è la “forza salutare” che accompagna gli esseri umani e la creazione. Dio dona, elargisce a tutto il creato la sua benedizione asserendo che il creato “è buono e bello”, questa forza salutare deve mantenere o conservare la totalità del creato in questo doppio stato, lo deve rendere fertile in questo stato puro in cui si trova, appena uscito dalle parole creatrici di Dio. Poi la potenza salutare è data all’uomo perché non solo sia fecondo, ma anche perché possa dominare come Dio, essendo egli stesso una benedizione o forza salutare che accompagna l’intero creato verso la felicità. Il peccato insidia gli effetti benefici della benedizione, Israele ha peccato e dunque ha messo a repentaglio l’opera divina di benedizione. La dominazione filistea è il risultato di questo deperimento della forza benefica della benedizione. Tutto riparte ora dal bambino benedetto, il baruk sarà portatore di benedizione. Sorprende la figura dell’eroe per le sue contraddizioni infinite. Sarà un eroe solitarie e non un condottiero al fronte di un esercito, sarà un uomo solare che “dimorerà” a volte in una caverna, combatterà contro il leone (animale solare per eccellenza), legherà le code di 300 volpi per bruciare i campi dei filistei; sarà un eroe dalla grande forza e dalle grandi debolezze; sarà un seduttore di donne e sarà sedotto dalla peggiore delle donne, una prostituta filistea, prova della condizione di Israele che sente allo stesso tempo ribrezzo e attrazione per gli incirconcisi, che prova disprezzo e segreta ammirazione per il nemico odiato che rappresenta la peggiore minaccia alla sua esistenza. L’eroe appare dunque sotto una luce tragica e allo stesso tempo epica, un eroe come mai prima attirerà le passioni e susciterà l’ironia degli ebrei. Il forte uomo che nasconde un bambino , il forzuto pieno di debolezze, l’eroe incapace di tenere per sé il segreto della sua forza. Rappresenta in un senso la potenza della natura dominata dalla “civiltà” (Dalila la prostituta), ma si riscatterà come vedremo perché darà la sua vita per la libertà del suo popolo, la sua sconfitta sarà la sua vittoria. Quanto sia tragica la sua vita, quanto sia portentosa e piena di aneddoti collegati ai luoghi sperduti in cui fu costretto a vivere incalzato dai suoi nemici, lo vedremo. La sua passione lo ricatta, la sua ironia lo trasforma in eroe dalla grande statura. Non sarà un esempio di moralità, ma l’autore del suo racconto, non nascondendoci i suoi molti errori morali, e senza giocare a giudicarli moralmente, ci ha lasciato un tesoro letterario che ora ci godremo con calma analizzandolo in profondità (spero) la settimana prossima.