Libro dei Giudici 1
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- Scritto da Martin Ibarra
1. Introduzione: Caratteristiche Generali del Libro da noi chiamato GIUDICI.
Giudici capitolo 2-3,6
Il libro dei Giudici si presenta i nostri occhi come un libro storico, collocato tra il libro di Giosuè e Rut - il primo di Samuele, come se fosse stato scritto secondo quell’ordine cronologico. In realtà l’ordine attuale dei libri nelle nostre Bibbie non si corrisponde con l’ordine e la classificazione della Bibbia ebraica. Giudici non è per gli ebrei un libro storico ma profetico, appartiene dunque ai Nebiim. In realtà Giudici forma parte di un’unità letteraria che v da Giosuè a secondo dei Rei, per cui Giosuè più Giudici (che sarebbero un solo volume) i due di Samuele e i due libri dei Re formano un unico volume affianco della Torah. Questi “tre volumi” divisi in sei per ragioni della scrittura in rotoli di pergamena, sono un’unità letteraria composti da diverse tradizioni, materiali o scritti successivi messi insieme da una serie di redattori a partire del X-IX secolo a.C. (J E D Dt e JE), e che soltanto nel sesto (o nel quinto secondo molti) secolo a.C. ha trovato la sua forma finale attuale ad opera dei redattori finali conosciuti con la sigla P. La fonte conosciuta come D e risalente al settimo secolo a.C. (e Dt sesto secolo) è responsabile del testo che ci occupa e della maggior parte di questo libro. L’interesse di questi autori non è di carattere storico, loro non intendono scrivere una storia di Israele, ma teologico, a loro interessa il rapporto tra Dio e il suo popolo. Questo è il TEMA dell’intero ciclo dei Nebiim anteriori o predicatori, da Giosuè a secondo Re.
Nel nostro testo troviamo l’indicazione delle caratteristiche generali di questo periodo: il versetto 10 è chiave ve lo propongo ora per la sua traduzione letterale.
י וְגַם כָּל-הַדּוֹר הַהוּא, נֶאֶסְפוּ אֶל-אֲבוֹתָיו; וַיָּקָם דּוֹר אַחֵר אַחֲרֵיהֶם, אֲשֶׁר לֹא-יָדְעוּ אֶת-יְהוָה, וְגַם אֶת-הַמַּעֲשֶׂה, אֲשֶׁר עָשָׂה לְיִשְׂרָאֵל.
“Ma anche quella generazione (dur) fu riunita ai suoi padri (al Abuthiu) e dopo di loro è stata suscitata un’altra generazione che non conosceva (la yidou) Dio (Yeve) e nemmeno le sue opere (he moshe) fatte (oshe) in favore di Ishrel”.
La generazione precedente aveva portato a termine la conquista di Canaan descritta nel libro di Giosuè e riassunta nel primo capitolo di Giudici[i]. Secondo Giudici quella generazione “conosceva Dio e le sue opere in favore di Israele”. Era la generazione di Giosuè e di Caleb, quelli “nati nel deserto”, e che hanno portato a termine la conquista con due problemi che vedremo ora in Gdc 1,19 si dice che Giuda è riuscito a conquistare il territorio montuoso ma non la pianura che è rimasto in mano ai cannanei; in Gdc 1,32 “Ascer (e lo stesso è successo con tutte le altre tribù) non scacciò gli abitanti di…”. La conquista presenta dunque questi due problemi, Israele deve convivere da vincitore con un popolo più colto e con una tecnica più raffinata, indubbiamente questo si trasformerà in un problema. Giudici 2,1-5 fa un’interpretazione teologica (posta sulle labbra “dell’angelo del Signore” a Bochim) di questo problema posto dalla conquista in parte fallita. Dice in sostanza questa interpretazione teologica: Voi non avete scacciato questi popoli come io vi avevo ordinato, ora sono in mezzo a voi e i loro dei saranno “un tranello”, un’insidia. Più avanti nel capitolo due vvss. 11-13 leggiamo che Israele dimenticò il Signore e servì altri dei (i balaim). A causa di questo peccato Dio interveniva punendo Israele provocando un’invasione del territorio da parte di un altro popolo, o la riconquista da parte di uno dei popoli presenti fra loro dei loro territori prima della conquista. Israele dunque diventava oppresso e ridotto in servitù finché il popolo si ricordava di nuovo del Signore, si pentiva dei propri peccati, ritornava al Signore. Allora Dio suscitava un GIUDICE, un eroe politico e militare che radunava le forze di Israele (di un territorio, di una tribù), dava battaglia a questi nemici, li sconfiggeva e liberava il popolo dall’oppressione. Questi giudici sono (shophetim), liberatori in senso stretto. Si conoscono almeno due tipi di giudici: capi carismatici (posseduti dallo Spirito di Dio) che guidano il popolo in armi; e giudici minori che “giudicano Israele” ma che sembrano mano importanti dei grandi giudici che non solo "giudicarono", ma che furono liberatori e salvatori del popolo come Gedeone. Poi il popolo si dimentica di nuovo di Dio e delle sue opere, sono di nuovo puniti finché Dio suscita il successivo giudice. Questa situazione si ripete una volta e l’altra durante tutto il periodo dei Giudici per dodici volte fino all’arrivo di un popolo diverso e molto più pericoloso e difficile da sconfiggere, i filistei contro i quali non bastano tre giudici successivi: Sansone, Elì e Samuele, ma devono creare uno stato centralizzato sotto un monarca che finalmente dopo il fallimento del primo dei Re (Saul), sconfiggerà per sempre la minaccia filistea (Davide).
E’ evidente che questo schema è un’interpretazione teologica e non un tentativo storiografico, che tra l’altro non era interesse nel loro tempo degli autori biblici. Loro non scrivono storia, ma interpretano il rapporto difficile, travagliato di Israele con il loro Dio. Si parte da Giosuè e la “sua generazione”, mentre loro erano in vita vi era un argine all’idolatria: il ricordo delle grandi opere di Dio che il culto ad Adonai celebrava e manteneva vivo nelle mente e nei cuori. La memoria vivente di Dio e del suo operare è l’unico argine posto al fiume in piena dell’idolatria. Dopo Giosuè e il passaggio della generazione chiave, rotto l’argine, dimenticando Dio e le sue opere, dilaga l’idolatria, si comincia a servire Baal e Astarté (Ashera), Israele da i propri figli e figlie in matrimonio ai popoli pagani e stabilisce patti o alleanze con questi popoli, facendo entrare i loro dei nel pantheon di Israele. Non solo ignorano i potenti fatti del passato ma danno loro un diverso significato, giudicano possibile la convivenza di Dio con gli altri dei, dimenticano il patto stretto nel Sinai, si ripete la storia del vitello d’oro: Israele serve, si prostra dinanzi ad altri dei. Anziché attenersi al patto stipulato “ciascuno faceva quello che più gli garbava” (21,25), come sentenzia a modo di interpretazione definitiva del periodo l’autore nell’ultimo vs. del libro.
L’elenco dei popoli fatto nel capitolo 3,1-6 serve a questa funzione teologica di giudizio dell’intero periodo. Questi popolo dovevano essere scacciati da Israele, ma dice il testo di Gdc 3,1-2 che alla fine Dio li ha lasciati in mezzo a loro per metterli alla prova e “perché le generazioni” successive conoscessero la guerra. Israele messo alla prova fallisce e cade nell’idolatria, la storia è il luogo dell’azione divina, Egli incontra il suo popolo e le “nazioni”negli eventi storici come giudice che punisce il peccato o come redentore che perdona e salva quando vi è un processo di pentimento e di penitenza che prevede il cambiamento del comportamento. Questo è il metro del giudizio: l’idolatria, il servire il vero Dio e gli idoli, il carattere della fede dell’AT è etico e morale, non basta offrire sacrifici o svolgere cerimonie per essere in pace con Dio, occorre vivere una vita fondata nei comandamenti divino, secondo l’alleanza stabilita con Dio.
[i] Israele è sorto come il risultato di un PROCESSO storico di immigrazione e spostamento di gruppi umani imparentati fra loro dalle comuni radici semitiche (aramaiche o protoarabi ). Questi gruppi avevano una struttura tribale e nel tempo si sono confederati in una libera coalizione attorno ad alcuni elementi strutturali centrali: le promesse della terra fratte ai patriarchi; l'adorazione di un unico Dio che stabilisce un'alleanza con loro e esige l'esclusività e il divieto di fare sculture di sé; la strutturazione è dunque all'inizio di carattere religioso; l'esodo e il Sinai sono esperienze fondanti accolte da tutti i gruppi anche se esperimentate da un solo gruppo, loro sono insieme il popolo eletto e hanno ricevuto il decalogo come costituzione della loro identità comune, come legge perpetua che sarà cemento unificante. Questi gruppi saranno protagonisti d'una epopea che risulterà nel possesso della terra promessa: Canaan. Ogni gruppo si stabilisce e "occupa" una parte del territorio. Si coalizzano in una libera confederazione con una struttura patriarcale. Alla base della loro confederazione c'è la fede in un Dio unico YHWH, ci sono alcuni santuari e un sacerdozio che adempie i rituali nei santuari comuni. In momenti di crisi sorgono dei capi carismatici (shofetim, giudici), che guidano le singole o diverse tribù contro gli invasori esteriori o contro i re delle città cananee.