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L'insegnamento di Gesù sul divorzio

Il testo ha due parti: nella prima abbiamo la risposta con una domanda alla domanda dei farisei, fatta per  tentarlo e davanti  alla folla vv. 2-9, e l’istruzione ai discepoli “nella casa” sulle conseguenze del ripudio vv. 10-12, questa parte è fuori dal testo della settimana. Il vs. 1 fornisce un quadro geografico e cronologico di inserimento di ciò che avviene nel capitolo nel “viaggio verso Gerusalemme” che è ormai giunto in Giudea e dunque praticamente alla sua fine.
La domanda che è tentazione: occorre stabilire ora quale sarebbe il nodo o punto essenziale. Troviamo una contrapposizione tra una legge che consente il ripudio all’uomo per una erwath dabar commessa dalla moglie (qualcosa di vergognoso data da Mosè al cap. 24 del Dt), e la volontà di Dio secondo l’interpretazione che Gesù fa di due versi della Genesi 1,27 e 2,24 (li creò uomo e donna – si unirà l’uomo alla sua donna e saranno i due una sola carne) vale a dire “quello che Dio ha unito non lo separi l’uomo”. Inoltre sullo sfondo della discussione appare come sottotema “l’intenzione di Gesù” come maestro in contrasto con il legalismo giudeo, cosa si propone? Una possibile risposta è che Gesù vuole tutelare la donna dal capriccio maschile (Drewermann Il Vangelo di Marco, Brescia 1994).
Notate il cuore della domanda tentatrice “è permesso (lecito) all’uomo ripudiare sua moglie?” L’istituzione del ripudio apolusai (rimandare) era consentita soltanto all’uomo. La domanda però è terribile e disumana. Alla base del matrimonio c’è l’amore, come si può risolvere le questioni che riguardano gli affetti, il cuore, l’amore, i sentimenti con una legge? Gesù si rifiuta di portare la questione a questo livello legale, lo sposta verso la creazione e la volontà divina. Risulta alquanto paradossale che alcuni riducano ancora la questione del matrimonio e del divorzio ad una “legge assai rigida dell’indissolubilità” di un matrimonio quando questo è sacramentale (posizione cattolica o fondamentalista). No, le questioni che riguardano l’amore e il matrimonio non possono essere ridotte a legge (né dello Stato né della Chiesa).
Il paradiso è la metafora che si contrappone alla legge “del deserto” e che aveva come motivazione “la vostra durezza di cuore (sklerocardia)”, contro una legge desertificante Gesù proclama l’ideale della volontà divina per l’uomo e la donna dell’unità (essere una cosa sola) attraverso l’amore che consiste nel darsi completamente ad un altro/a. Soltanto in questo contesto ideale ha senso l’interpretazione di questi due testi. Quello che Dio ha unito non lo separi l’uomo significa dunque questa prevalenza dell’amore sulla legge, e della grazia sulle opere. Vogliamo regolare la nostra vita sulle leggi umane o sulla volontà di Dio? Questo è in essenza la questione vitale posta in gioco.
Cosa unisce veramente un uomo e una donna se non l’amore? E l‘amore viene da Dio che lo è nella sua essenza profonda.
Ma la realtà si confronta con l’ideale, il peccato umano con la grazia divina (Schweizer, Vangelo di Marco, Brescia). Cosa succede quando l’amore che è la base del matrimonio non c’è più? Se non serviva la legge per regolare l’amore non potrà neppure regolare il disamore. Da una parte il divorzio manifesta il fallimento umano, che non sempre raggiungiamo l’ideale né riusciamo a compiere la volontà divina, dall’altra la possibilità di un nuovo matrimonio pone dinanzi a noi l’offerta della grazia che si rinnova. E’ disumano mantenere attraverso una legge una relazione che non c’è più, ma non si può arrivare a questa conclusione se non come ultima ratio e mai alla leggera.
Occorre inoltre tutelare la parte più debole.