La predicazione della Croce
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- Scritto da Martin Ibarra
Ho riflettuto tutta la mia vita sul compito a noi affidato in quanto chiesa di Gesù Cristo dove non sono separate le funzioni della chiesa e dei pastori. La novità assoluta portata sulla concezione del ministero nelle chiese battiste del XVII secolo era proprio questo, il ministero nella chiesa è unico ed è affidato alla chiesa stessa, intesa come la comunità locale dei fedeli, che poi lo affida a tutti coloro che sono “competenti” per svolgere il ministero perché hanno ricevuto il dono dello Spirito. La chiesa tutta come insieme di persone chiamate dal Signore, che hanno ricevuto una vocazione e sono state dotate dallo Spirito compiono l’opera del ministero di Cristo nella chiesa, poi la chiesa in modo democratico affida volta per volta il ministero alle persona che identifica come idonee, nasce così una vocazione nella chiesa quando si riconosce in una persona il dono specifico per svolgere un ministero di servizio concreto. Al centro del ministero della chiesa vi è la croce di Gesù Cristo, il fondamento stesso della chiesa.
Così Paolo ricorda ai Corinzi l’inizio della fondazione della loro chiesa, e ricorda ai Corinzi che non si presentò in mezzo a loro con grande eloquenza o sapienza per annunciare il mistero di Dio. L’Apostolo invita i corinzi a riflettere sul momento storico della fondazione della loro chiesa. Il fondamento stesso della comunità della fede, dice, è solo Cristo e Cristo crocifisso. Notate come il fondamento posto alla chiesa è la chiamata divina attraverso la predicazione apostolica. Dio chiama ogni essere umano a partecipare al misterion della salvezza che ora finalmente dopo millenni di preparazione è proclamato apertamente dalla predicazione apostolica. La chiesa non possiede altro, questa è la pienezza dei mezzi della grazia, una parola, un annuncio che svela la volontà della grazia divina di salvare chiunque crede nella croce e nella risurrezione di Gesù Cristo. Possiamo ornare quanto vogliamo questo unico fondamento, avvolgerlo di dogmi o marmi, di strutture ecclesiastiche complesse o leggere, gerarchiche fino allo sfinimento o democratiche nella semplicità evangelica di Gesù, ma questo solo abbiamo Cristo e questo crocifisso, e nessuno lo possiede in regime di monopolio, ma tutti l’abbiamo in riferimento alla nostra fede, secondo il grado della nostra fede che si appropria della sua realtà vera nella nostra esistenza. Abbiamo soltanto questo e questo diamo al mondo una predicazione e una parola che la chiesa affida a chi riconosce dotato dallo Spirito nella sapienza non umana della predicazione della parola.
Questi sono i due momenti della predicazione per Paolo, il primo è rivolto a chi è fuori dalla chiesa e lo chiama annuncio, evangelizzazione, proclamazione, è una parola rivolta a chi non crede perché confrontato con il messaggio creda, decida su questa croce piantata nel centro della storia umana come risposta divina al problema del peccato e della morte. L’apostolo, dice, ha fatto una scelta quando rivolse ai corinzi increduli l’annuncio della croce. Per loro era follia che Dio si fosse lasciato crocifiggere, il loro concetto di Dio proveniva dalla cultura greca, per loro la qualità fondamentale di Dio era l’impassibilità, Dio non provava sentimenti, non soffriva, era indifferente. La predicazione di Paolo invece mostra un Dio che soffre per l’umanità e vuole salvarla e invia il proprio Figlio a morire in croce per redimerla. Paolo non ha voluto ornare questo messaggio nudo del crocifisso che muore nudo sulla croce denudando per sempre Dio stesso, mostrando quale sia la sua natura, amore e amore eterno capace di soffrire e di morire per tutti, senza eccezione. Perché se questo annuncio deve rimanere integro, deve continuare ad essere una contraddizione, una follia, il Dio che ci salva è il crocifisso per noi, Dio ci salva non attraverso un miracolo da circo, o di una torsione dell’onnipotenza, ma attraverso le infinite ferite del corpo di Cristo martoriato per i nostri peccati. Questo annuncio è il kerygma, il vangelo,non una parola umana dipinta di sapienza attraverso i giochi funambolici della retorica, ma una parola divina perché chi crederà sia salvato.
Il secondo momento infine è parola rivolta alla comunità, parola di insegnamento, catechesi della croce con le parole e soprattutto nella vita stessa dell’apostolo, con-crocifissa con Cristo. Quando l’apostolo Paolo parla della croce lo fa quasi sempre usando i tempi perfetti, come a dire che la realtà della croce è sempre presente. La croce è un evento chiamato ephapax, accaduto una volta per sempre, un evento permanente, un continuum, come la risurrezione, un evento escatologico, una parte del futuro che è già presente nella nostra storia. L’Apostolo ha predicato la croce nella chiesa con la sua vita crocifissa per il vangelo, testimonianza dunque dentro della chiesa alla verità e alla forza liberatrice del vangelo di Gesù Cristo. Gli attacchi e le sofferenze dell’Apostolo per portare questa chiesa all’unità e alla maturità della fede sono posti, anche essi, insieme alla croce come fondamento della chiesa, perché noi tutti siamo “con-crocifissi” con Cristo. Per questo l’apostolo parla della sua debolezza, così si evidenzia che la chiesa è fondata sulla potenza di Dio e non sull’abilità e la persuasione delle umane parole.
La fede riguarda la chiave della vita umana e dunque la vita e la morte, perciò la nostra fede non può essere fondata sull’umana sapienza, essa si scioglie di fronte alle questioni ultime, né sulla nostra potenza che è impotente dinanzi alla morte e il peccato, dunque la parola che annuncia la chiesa non è legata a questa o l’altra corrente del pensiero, della filosofia o della scienza, e non poggia sulla potenza delle risorse umane, ma è ancorata all’opera divina eterna, alla croce e alla risurrezione di Cristo per dare, attraverso la fede un solido fondamento all’esistenza, non nelle opere umane ma nell’opera divina.