Cercare Dio
- Dettagli
- Categoria principale: Testi
- Scritto da Isabella Mica e Salvatore Cuturi
PARTE 1: dialogo con Kuturi
Perché Salvatore diventa Kuturi, l’artista del minimalismo spirituale?
Tutti gli artisti creano qualcosa, io mi dedico alla creazione di icone ed installazioni. È come se aprissi di fronte al fruitore delle mie opere delle finestre affinché possa perdersi nel suo viaggio spirituale. Non faccio arte figurativa perché quello che creo non sono immagini. Nel caso di installazioni, come quella che è nella nostra chiesa (“Questa non è una croce”) voglio rappresentare un concetto.
La condizione umana davanti a Dio è come quella di un orfano lasciato sulle scale di un convento. C’è questo senso di abbandono, la necessità di essere rassicurati, di sapere che Dio è vicino a noi, di trovare una propria identità: siamo alla ricerca del Padre. Sono credente perché ricerco Dio. Sono convinto che Dio esiste, del resto nessun ricercatore si mette a cercare qualcosa che pensi non esista. L’arte è bellezza e sono convinto che la bellezza senza limiti sia una delle strade che possono portare a Dio, è la bellezza la mia via per trovare Dio.
Spesso nelle tue sculture vi è l’utilizzo di acidi che vanno a corrompere l’opera così come l’hai creata fino a quel momento per trasformarla e completarla in una resurrezione estetica. Nel dialogo che abbiamo avuto in preparazione a questa mattina mi hai spiegato che durante l’azione degli acidi si determina una ossidazione. L’ossidazione nei metalli ne cambia lo stato pensiamo al ferro che diventa ruggine, l’ossidazione del cibo lo scurisce e ne avvia la decomposizione pensiamo ad una mela tagliata che subito inizia a cambiare colore; però l’ossidazione avviene anche durante la nostra respirazione: l’ossigeno permette alle nostre cellule di respirare e creare quell’energia che ci consente di vivere. È quindi come se vita e morte fossero rappresentate contemporaneamente, come avere il ciclo della vita completo di fronte a noi: vita, morte e resurrezione. Nella installazione che abbiamo di fronte questa mattina c’è anche una corrosione, proprio al centro nel punto illuminato dal faro di luce, perché?
Cercare di capire è come una corrosione dell’anima, dello spirito. Nelle mie opere utilizzo la tecnica dell’ossidazione, della corrosione: significa che ho il controllo della mia opera solo fino ad un certo punto, quando inizio ad usare gli acidi non posso più prevedere esattamente come l’opera si trasformerà. Così pure la ricerca di Dio non è tutta nelle nostre mani, soprattutto non può essere razionale e richiede tempo, così come il processo della corrosione richiede del tempo affinché da quello che pare un disastro emerga l’opera d’arte.
Veniamo alla installazione “Questa non è una croce”. Puoi per favore leggerci la tua opera? Spiegarci perché in questa installazione vediamo vari elementi e che significato hanno?
- Vediamo solo il retro dell’opera, il fronte è la parte dorata che è visibile solo dallo specchio. Questa parte dorata rappresenta Dio e la sua Gloria. L'ora da sempre nell'arte è associato a Dio.
- Lo specchio rappresenta la fede che sola ci consente di cogliere almeno uno scampolo della gloria di Dio. E' un varco attraverso il muro che ci divide dalla conoscenza di Dio
- La croce è inclinata perchè ci da il senso del cammino. E' la posizione nella quale Gesù l'ha portata sul Golgota.
- Della corrosione abbiamo già detto
- Il nome dell’installazione richiama il titolo e il significato dell'opera di Magritte questa non è una pipa.
PARTE 2: predicazione
Lettura: Esodo 33:12-23
Questo che abbiamo letto è il brano biblico che ha ispirato l’installazione “questa non è una croce” ed è un interessante dialogo tra Mosè e Dio, che avviene nel bel mezzo dell’esodo del popolo di Israele. Siamo dopo che le tavole della legge sono state consegnate ed illustrate a Mosè sul Sinai e il popolo di Israele si è lasciato corrompere dall’idolatria del vitello d’oro. L’esaltazione della fuga da faraone è esaurita e le difficoltà di una lunga permanenza nel deserto sono sempre più manifeste. Mosè ha una idea geniale per insegnare al popolo a pregare: monta una tenda subito fuori dall’accampamento e chiunque voleva cercare il Signore poteva recarvisi. Naturalmente Mosè usciva verso la tenda di convegno spesso e parlava con l’Eterno come si parla con un amico. Quello che leggiamo è quindi uno spaccato di uno di questi colloqui intimi tra Mosè e Il Signore.
Mosè si sente fragile ed insicuro e con l’Eterno, il suo amico, può aprirsi e parlare con grande franchezza. Dice chiaramente di aver bisogno di rassicurazione. L’inquietudine e i dubbi di questo uomo che è Mosè mi risuonano familiari e sono le fragilità che l’essere umano affronta nella vita. Siamo di fronte ad uno dei patriarchi, dei padri fondatori del popolo di Israele, ci aspetteremmo un uomo tutto di un pezzo come si suol dire, invece Mosè ha bisogno di rassicurazione. Vuole certezza non solo che il Signore è vicino a lui, ma anche desidera conoscere i Suoi piani. Se l’Eterno condividesse i piani con lui sarebbe un pegno di fiducia enorme. Significherebbe che si fida di lui come di un amico. Inoltre Mosè ne sarebbe rassicurato perché l’Eterno stesso non solo prometterebbe la salvezza, ma gli spiegherebbe come si concretizzerà questa salvezza.
Kuturi ci dice che: “la condizione umana davanti a Dio è come quella di un orfano lasciato sulle scale di un convento”. Mosè non solo si sente di fronte all’Eterno come un orfano, Mosè è un orfano e come tale cresce allevato dalla figlia di Faraone senza un padre e privo di una identità completa e ricomposta. La situazione di difficoltà nella quale si trova alla guida di un popolo perso nel deserto fa emergere in lui dubbi e frustrazioni e la sua unica consolazione e guida è l’appoggio dell’Eterno con il quale spesso si apparta per parlare. Tuttavia arrivato a questo momento del lungo viaggio attraverso il deserto, quando la terra promessa dove scorre latte e miele è ancora lontana Mosè sente tutto il senso di abbandono e smarrimento che un orfano ha. Certamente non ha dubbi sull’esistenza di Dio eppure vedete è in ricerca di Dio. Ha il bruciante desiderio di conoscere Dio in tutto il suo splendore ed in tutta la sua gloria. Questa espressione (la gloria di Dio) significa il manifestarsi di Dio agli esseri umani o in parole più vicine al nostro linguaggio l’aspetto di Dio. Vuole vedere Dio e mettersi tranquillo che lui e il popolo di Israele possono continuare a contare ora e per sempre sul formidabile baluardo che il Signore ha rappresentato nel momento cruciale della traversata del mar Rosso e della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Questa storia di liberazione eccezionale e il cammino dell’Eterno al loro fianco costituiscono l’identità ricomposta che Mosè cerca in quanto orfano, ma di cui anche il popolo di Israele ha necessità per imparare a vivere da popolo libero. Se riflettete questa è anche la nostra condizione, siamo tra la Resurrezione di Cristo e la sua futura venuta al compimento dei tempi. Siamo nel mezzo del deserto, privi di segni miracolosi, pieni di dubbi ed incertezze, attaccati dei nemici che ci chiedono a che vale la tua fede, il tuo Dio ti lascia sol (vedi inno 8 IC e salmo 42). E siamo quindi in ricerca, a volte una bruciante ricerca della manifestazione di Dio. Ci basterebbe una fede piccola come un granel di senape per smuovere i monti, eppure a volte ci manca anche quella e assetati come la cerva del salmo aneliamo a vedere la gloria di Dio. Vedete come la bruciatura posta all’intersezione dei due bracci della croce rappresenti con grande efficacia anche questa arsura, questo tormento di poter stare in riposo e nella certezza di aver visto la gloria di Dio.
La luce della grazia di Dio non ci abbandona nel torrente della prova e del dubbio, e non lascia senza una risposta Mosè. Dio risponde a Mosè che sarà con lui e gli darà riposo, che camminerà in maniera manifesta con il popolo di Israele e lo farà proprio perché conosce Mosè e in lui ha fiducia. Tuttavia gli spiega che non è consentito ad essere umano vedere il volto di Dio e continuare a vivere. Di Dio possiamo vedere solo l’ombra, le spalle o se preferite il riflesso, proprio come in quel piccolo specchio che cerca di rimandarci l’immagine del fronte dell’opera. Allora Dio per venire incontro alla necessità di Mosè gli propone un piccolo trucco: lo fa nascondere nella spaccatura di una roccia e gli raccomanda di uscire a guardare solo quando l’Eterno sarà completamente passato oltre, così che ne veda solo le spalle. Dio poi per essere certo che non un frammento della sua gloria possa folgorare il suo amato Mosè lo copre con la sua mano mentre passa. Quanta cura e quanto amore ci sono in questo gesto protettivo della mano di Dio che protegge gli occhi e la vita dei suoi figli inquieti.
Nello stesso modo noi siamo in questa frattura, protetti dalla mano di Dio e consapevoli che fuori, intorno, davanti e dietro di noi c’è l’Eterno che è buono, in quanto fedele, leale e devoto al suo patto di salvezza con noi. Non possiamo conoscere il dettaglio dei suoi piani, non riusciamo a vedere in pieno il suo aspetto, ma sappiamo che è con noi per darci fiducia e riposo. Il riflesso della sua gloria e la Resurrezione di Cristo ci devono bastare per fidarci e fondare la nostra vita sulla promessa.
Se siamo inquieti poniamoci di fronte a questa installazione e perdiamoci nella sua contemplazione aprendoci ad un viaggio spirituale facendo memoria di questi versetti.
Ritroviamo in essi infatti tutti gli elementi dell’installazione artistica di Kuturi. Per primo c’è la ricerca di Dio, la certezza che Dio esiste e lo si può trovare con un lungo viaggio spirituale. Mosè ha iniziato di fronte ad un roveto ardente e tante vicissitudini ha vissuto sino ad arrivare a questo colloquio nella tenda del convegno durante il quale potrà vedere la gloria e la bontà di Dio nell’unico modo che sia consentito ad essere umano.
Secondo elemento è proprio la gloria e la bontà di Dio (il fronte dorato della croce) e l’acquisizione della consapevolezza che questa gloria e questa bontà possiamo vederla solo riflessa nella nostra fede come in uno specchio (dalla nostra posizione vediamo solo il retro dell’installazione con la ruvidità della corrosione e il nudo legno, solo il piccolo specchio ci consente di vedere il fronte della croce).
Terzo elemento la fede che sola riesce a produrre una frattura nel muro che ci tiene lontani dalla conoscenza piena del Signore.
Quarto elemento è che essere credenti è un cammino sotto la grazia di Dio (la croce è inclinata, così come lo è stata mentre Gesù la trasportava verso il Golgota, e richiama le parole di Gesù “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua.” Mt 16,24). In questo cammino non siamo soli, l’Eterno ci accompagna così come fece con Israele attraverso il deserto. Egli trasporta con noi la croce e ci indica la direzione.
Vorrei concludere suggerendovi che nella contemplazione dell’armonia di questa installazione possiamo cogliere quello scampolo di bellezza che può portarci, così come Salvatore suggeriva, a trovare finalmente Dio e riposare in Lui.
- Prec
- Succ >>