RADICI
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- Scritto da Evangelista Ivano De Gasperis
Testo:Romani 11:16-24
Introduzione
Vi piacciono gli alberi?
Qui a Milano ne ho visti di bellissimi.
Molti alberi sono parte delle mie memorie più felici.
Alberi su cui arrampicarsi, alberi ai cui rami ho appeso un’altalena, alberi da potare, alberi che ho piantato con mio padre o i miei figli. Alberi sotto cui dormire o con incise le iniziali degli innamorati.
Alberi pieni di frutti da raccogliere o fiori da ammirare. Ricordo che il mio pastore aveva accettato Cristo pregando sotto un albero a lui molto caro e ogni volta che tornava in quel luogo vi si fermava per pregare riconsacrandosi e meditare.
Purtroppo, qualche decina di giorni fa, una violenta pioggia ha sradicato 5000 piante (alcune secolari) care alla memoria di tanti cittadini e cittadine Milanesi.
A oggi è ancora possibile vedere queste enormi creature adagiate a terra, come cetacei spiaggiati sul cemento del centro città…
A essi purtroppo somiglia la vita spirituale di altrettante persone che, colpite dalle tempesta, si sentono spezzate, private della linfa vitale. In contrasto con il clima vacanziero dell’estate, si sentono ancor più abbattute, sole e aride.
Ci si sveglia un giorno e il vento sembra aver portato irrimediabilmente via un pezzo di vita…
Ti sei mai sentito/a così? Derubato/a dei tuoi sogni, del tuo vigore, della gioia e pace di un tempo?
Ecco, c’è la speranza di una vita nuova per te, e questa speranza ti viene data oggi da Dio, per mezzo dell’Apostolo Paolo, l'autore di questa epistola, che ci invita a considerare la vita spirituale come se fosse un albero, le cui radici sostengono l'intera struttura, determinandone la salute e la vitalità.
Se non vogliamo spezzarci, avvizzire o diventare simili a fronde sballottate qua e là da ogni vento e cambiamento di umore è fondamentale riconoscere che siamo esseri bisognosi di radicarci, ancorarci a qualcosa di più grande di noi stessi. C’è qualcosa, anzi Qualcuno, che ci precede, ci ricorda l’apostolo, Qualcuno che è causa, sostegno e fondamento della nostra stessa esistenza e pace.
L'apostolo usa l'immagine dell’albero per descrivere la nostra realtà spirituale che storicamente si sviluppa come il rapporto tra persone, popoli e culture differenti, segnatamente nella relazione che collega gli israeliti agli altri popoli nel piano di salvezza di Dio.
Ma noi possiamo estendere questa metafora, senza timore di forzature, al radicamento spirituale che ogni persona ha l’opportunità di sviluppare con la Parola di Dio.
A ben leggere questo testo, scopriamo che comincia con un’altra metafora maggiormente legata al contesto liturgico, affermando che se le primizie sono sante, anche il resto dell'impasto (cioè tutto il pane dell’offerta che ne deriva) lo è. Nell’antichità, infatti, si offriva della farina o del pane a Dio, cosa che oggi per noi assume un valore simbolico scevro da ogni antropomorfismo: Dio non ha certo bisogno del nostro cibo! Ma tutto ciò conserva un valore spirituale e materiale molto importante, sul quale andiamo a meditare insieme.
La primizia
Cos’è la primizia? La primizia è ciò che viene temporalmente e qualitativamente prima. Secondo il
codice normativo della Torah, la primizia appartiene a Dio: a Dio va il primo frutto, il primo
appezzamento di terreno, il primogenito, ecc., ovvero il miglior frutto, il miglior terreno, il meglio del
bestiame, perché è il meglio che Dio merita, non certo lo scarto o l’avanzo!
Ora, nella storia della salvezza, Israele rappresenta la primizia dell’umanità, e il suo messia, Gesù di
Nazareth, rappresenta la primizia del mondo nuovo che Dio pianta sulla terra.
Paolo, affermando che Israele è un popolo santo e primizia per Dio, contemporaneamente sottolinea
che nessuno deve sentirsene escluso, perché tutti/e possono esservi inclusi/e, persino noi romani/e,
nemici giurati di Israele. In altre parole, se gli ebrei sono il primo popolo scelto da Dio, allora anche
tutti gli altri popoli possono essere eletti, accettati e santificati in esso: Israele è l’albero d'ulivo, il
ceppo originario, il piede sul quale, per la fede in Gesù, s’innestano anche i gentili, che, come rami
selvatici, vengono incorporati nel popolo di Dio per portare vita e frutti di giustizia alla Sua gloria.
Nessuna teologia della sostituzione, sia chiaro, qui va ravvisata: Israele resta il popolo santo
predestinato alla redenzione, secondo la promessa del Signore.
Dio, per bocca dell’Apostolo, ci invita a riflettere attentamente sulla sua bontà (POSSIAMO
PARTECIPARE ALLA SUA VITA, SPERARE NELLE SUE PROMESSE) come sulla sua severità (POSSIAMO
RINUNCIARE AL SOGNO, MORIRE SPIRITUALMENTE E AVVIZZIRE NEL NOSTRO RIFIUTO DI
ABBRACCIARE DIO E IL PROSSIMO). Riflettiamo attentamente sulle priorità che diamo al Regno di
Dio e sulla qualità della nostra vita spirituale!
L’albero ed io
Ma torniamo alla metafora dell’albero, per capire meglio cosa non funziona in questo nostro mondo,
nella nostra città e in noi stessi/e e come agire di conseguenza!
Partiamo da una semplice domanda: come mai così tanti alberi si sono spezzati?
Tra le altre cause oltre al forte vento potremmo pensare a:
- 1 Radicamento debole o superficiale
- 2 Mancanza di potatura e manutenzione
- 3 Fragilità strutturali (parassiti, patologie, tarli, ecc…)
- 4 Mancanza di flessibilità!
Passiamo in rassegna tutti questi elementi e proviamo a darne una lettura spirituale:
1 «Fra tutte le forme attuali assunte dalla malattia dello sradicamento, quella dello sradicamento
della cultura è una delle più allarmanti. La prima conseguenza di questa malattia è generalmente,
in tutti i campi, che essendo state troncate le relazioni ogni cosa viene considerata come fine a se
stessa. Lo sradicamento genera l’idolatria.»
Simone Weil, "La prima radice"
Se ciascuno e ciascuna di noi ricomincerà o inizierà ad avere innanzitutto cura di sé e del suo
personale rapporto con Dio, scendendo in profondità, se con gratitudine riconosciamo il valore di
chi ci sostiene, se non ci insuperbiamo contro “chi c’era prima” (perché faceva tutto sbagliato e non
ci capiva) o chi è caduto, ma riconosciamo l’importanza delle nostre radici, delle nostre
responsabilità e l’eredità spirituale che abbiamo ricevuto, allora ecco che la nostra vita, come la
nostra comunità, prospereranno!
La chiesa come la descrive Gesù è un albero, non una gabbia, dove è possibile udire il canto degli uccelli senza bisogno di imprigionarli! Una casa dove tutti coloro che sono stanchi e perseguitati trovano un posto, un abbraccio, rifugio e ristoro.
2 Bisogna essere pronti alla potatura, cioè a una severa disciplina.
3 Non si deve permettere a tarli o altri parassiti di fare il nido nel nostro cervello.
(di questi ultimi due aspetti parleremo nelle prossime domeniche).
4 Bisogna essere radicati, ma non sclerotizzati, grati al vecchio e premurosi verso le radici, ma non al punto di idolatrarle, chiudendoci al nuovo!
Linfa
Infatti, il vecchio tronco offre stabilità, ma è nella parte nuova che scorre la linfa!
Dobbiamo accettare di lasciare qualcosa del vecchio per fare spazio al nuovo, evitando di sclerotizzare, accettando con flessibilità il vento del cambiamento.
Nuovi linguaggi, nuove liturgie, nuovi luoghi e modi per essere testimoni non ci devono mai spaventare. Solo le piante flessibili resistono alle tempeste.
Inoltre, ci sono radici (velenose) che vanno recise senza ripensamenti. Pensate al clericalismo, all’esclusione delle donne dal ministero e a mille altre forme di discriminazione praticate dalla chiesa. Radici è anche il titolo di un indimenticabile romanzo che ci ricorda il peccato della schiavitù.
Non si può fere delle cose, perseverando nell’errore, perché si è sempre fatto così.
Pensate, esiste persino un albero che “cammina”: sviluppa solo quelle radici che pescano nel lato dove c’è più nutrimento, mentre lascia morire quelle che ne trovano meno, spostandosi, “passo dopo passo”, fino a giungere alla riva del fiume dove può crescere rigoglioso…
Seguire Gesù per ogni discepolo e discepola significa lasciare tutto e mettersi in viaggio verso il domani, una nuova casa, una nuova vita!
Ed eccoci qui, per grazia di Dio finalmente insieme per iniziare un nuovo cammino.
Io, la mia sposa e i nostri tre figli: Raoul, Giulia e Ginevra, non avremmo potuto essere accolti meglio.
Ci siamo commossi davanti alla cura con cui avete preparato la nostra accoglienza.
Sappiamo di avere in comune con tutti e tutte voi una radice d’amore che ci unisce nell’albero della Croce e nella preziosa semente da spargere, che in grado di salvare l’anima di questa bellissima città bisognosa di cura.
Sradicati e Innestati
Non importa se siamo romani, israeliti, egiziani, romeni, arabi o latino-americani: qualunque sia la nostra provenienza, ci dice il Signore, non dimenticate come vi ho accolti, (e noi no dimenticheremo come siamo stati accolti) a quale prezzo siete stati innestati “contro natura” nel popolo di Dio, godendo della possibilità di bere al mio calice e di dissetarvi della linfa del mio amore.
Ricordate da dove venite, ma ancor più ricordate chi siete ora per la mia Grazia.
Infine, non dimenticate verso dove state andando, io vi mando alle genti che vanno in cerca di riposo, di una famiglia e di una casa. Siate l’albero che le accoglierà!
Amen
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