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DA RUTH 1. 1-19° - QUALE STRADA E’ QUELLA GIUSTA?

Tra le diverse genealogie della tradizione ebraica composte solo ed esclusivamente di nomi maschili, quella di Matteo invece è composta anche da nomi femminili. Al posto delle matriarche israelite però, che illustrano la storia di Israele, troviamo invece, donne assai diverse e particolari, il che porta gli studiosi a pensare che Matteo si sia appoggiato a un’altra tradizione. Di certo però, non è un caso che il discepolo collochi nella genealogia di Gesù quattro donne che, chi per un verso chi per un altro, sono donne “ultime”; ma gli ultimi saranno i primi! E Dio ha scelto i poveri e i deboli del mondo. La prima donna a comparire all’inizio del Vangelo di Matteo è Tamar che fu data in sposa al primogenito di Giuda, costretta a prostituirsi per avere un figlio dallo stesso Giuda, gesto che garantirà la discendenza e che condurrà successivamente allo stesso Salvatore. La seconda donna è Raab, famosa prostituta di Gerico che nasconde nella sua casa gli esploratori che Giosuè aveva mandato a Gerico per preparare la conquista. La terza è Betsabèa, donna profondamente diversa dalle prime due, coinvolta in vicende che la travolgono senza che elle possa far nulla per impedirle o giudicarle. Infine Rut la moabita. Figura inquietante alla quale la tradizione ebraica dedica un piccolo ma immenso libro. Goethe definisce il libro di Rut come: “La più bella storia breve del mondo, la più bella storia breve, mai scritta.”

Una narrazione formidabile in cui la grazia di Dio si rivela in modo straordinario nella vita di due donne vedove. La storia di Rut ci mostra senza dubbio come Dio è sempre coinvolto nella cura provvidenziale del suo popolo, sia in tempi favorevoli che sfavorevoli. Quando leggiamo questo libro, ci imbattiamo proprio nel peggiore dei tempi: “al tempo dei giudici, ci fu nel paese una carestia...” Non solo questo. C’è un’evidente connessione con la fine del libro precedente: “In quel tempo, non c’era re in Israele; ognuno faceva quello che gli pareva meglio” (Giu. 21,25). I giorni di Noemi, furono un periodo terribile di anarchia e guerra costante, la storia di Israele e Moab è segnata da una grande e profonda ostilità. Durante il periodo dei Giudici, il popolo di Israele era sotto il dominio di moabita che durò diciotto anni (Giu. 3, 12-14) e successivamente fu Israele oppressore di Moab per ottanta anni (Giu. 3, 30). Nonostante questo, una famiglia di Betlemme, a causa di una carestia, andò ad abitare a Moab. La mancanza di “cibo” costringe la famiglia di Elimelech ad emigrare e nonostante le tragiche apparenze, la carestia nasconde un progetto divino. Noemi ed Elimelech sono lo specchio di Israele che non avendo la possibilità di sopravvivere nella propria terra, sono costretti a lasciare tutto per cercare cibo e fortuna altrove. A Moab però, la situazione non è affatto migliorata, anzi! Elimelech muore e i suoi due figli Mahlon e Chilion prendono per moglie due donne moabite e dunque pagane, Rut e Orpa, figlie di un popolo nemico e, come se tutto questo non bastasse, dopo pochi anni di matrionio, Mahlon e Chilion, muoiono anche loro lasciando da sole le tre donne. A questo punto della storia, qualcuno potrebbe giustamente chiedersi: “E dove sarebbe la grazia di Dio? Quale il piano divino?” la grazia sembra essersi trasformata in amarezza e disperazione tant’ è che Noemi, triste e indebolita, senza più speranze crede che “la mano del Signore sia rivolta contro di lei”. (v.13b) Come darle torto? La guerra, la carestia, l’emigrazione, la morte del marito prima e poi dei due figli, portano Noemi a pensare che Dio sia contro di lei, così decide di separarsi dalle nuore dando loro la possibilità di rifarsi una vita.

“Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anche io; e dove starai tu, starò anche io; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io, e là sarò sepolta. Il Signore mi tratti con massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!” (vv. 16-17)

Le parole di questi versi sono chiare, semplici e profonde. È una parola inaspettata, imprevedibile, fatta di amore assoluto, una parola che nulla calcola, che nulla scambia. Puro dono di sé. Rut amava incondizionatamente una persona in carne e ossa. Se vediamo bene, Rut non si è convertita al Dio di Noemi, ma perché amava Noemi fa proprio anche il Dio di Noemi. Al Dio di Israele, Rut perviene attraverso l’amore per “la sua prossima”, per il suo prossimo più disperato e emarginato. Matteo, non poteva non ricordare in questa figura, le radicali parole della “chiamata” di Gesù: “lascia tutto e seguimi”. (Mt. 19,21) Rut fa proprio questo! Lascia tutto per seguire Noemi: lascia la sua terra, la sua famiglia d’origine, abbandona i sui dei e si umilia ai mestieri più faticosi spigolando dietro i contadini per raccogliere gli avanzi. Rut prende un impegno concreto nei confronti di Noemi e col suo Dio. Il “ritorno” a Betlemme di Giuda è un sincero impegno e ricerca di giustizia per il superamento della situazione di emarginazione in cui è inserita. Ciò che spinse il movimento di “ritorno” fu la fede nella notizia della visita di Dio al suo popolo. Nonostante l’infedeltà del popolo di Israele, Dio dà notizia della sua presenza e del suo amore che mette a disposizione di tutte e tutti in ogni tempo.

In questo orizzonte si trovano valori fondamentali come l’amore, la solidarietà e la fede. Parole intrecciate tra loro e che si manifestano nella persona di Rut la quale si mette in gioco ed entra a far parte della storia di Dio. Rut si assume il rischio di camminare nell’oscurità sotto la luce della fede, e Noemi fu convinta dalla sua perseveranza e ostinazione. È in questo modo che la fede diventa presente e si attiva in ogni momento. L’azione di Rut si rivela come un impegno verso l’altra persona. Questo impegno è con il Signore e con l’oppresso. È la fede come atteggiamento fondamentale che coinvolge e rompe i muri dell’egoismo spingendo verso la solidarietà. È la solidarietà che ci pone di fronte al vero significato della parola Dio. Certo, a volte, può sembrare che la fede non serva a nulla e penso che anche Rut abbia avuto paura: “Dove andremo? Cosa faremo? Cosa mangeremo? Chi incontreremo?

Sono tante le incertezze della vita! Siamo circondati da guerre, violenze, disordini... i nostri sguardi sono quotidianamente rivolti verso questi eventi disastrosi e di fronte ad essi, spesso siamo afflitti, turbate ed impotenti. Ma mentre tutto ciò accade, Dio è costantemente impegnato a salvare il suo popolo. Fa sorgere giudici, governi, continua a venire incontro alle persone anche nei momenti e nei luoghi più strani, ma non cessa mai di mostrarci il suo amore e la sua cura. Amore e cura che ci saranno dispensati fino al giorno in cui Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti. Rut e Noemi fanno un tuffo nell’oscurità che diventa un impegno d’amore, solidarietà, perseveranza e fede. La fede non è pura adesione intellettuale, ma fiducia, obbedienza a una verità vitale che impegna tutto l’essere nell’unione al Dio di Gesù Cristo.
L’apostolo Paolo scrive nella lettera ai Romani: ”Io non mi vergogno del Vangelo poiché è potenza per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco; poichè in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: Il giusto per fede vivrà” (Rom. 1, 16- 17). La fede dunque, esclude ogni senso di sufficienza e si oppone al sistema delle leggi umane e alla sua vana ricerca di una giustizia basata sulle opere. Rut è una donna pagana che incontra il Dio vero, il Dio vivente e questo incontro sconvolgente, l’avvicina ela coinvolge nella storia di Dio e la sua umanità. E così anche come ci ha ricordato il profeta Isaia: “Tu non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio, io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Is. 41,10) Amen.