Gesù amò fino alla morte perché non morisse l'amore
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- Scritto da Anna Maffei
Come può uno scoglio
arginare il mare
anche se non voglio
torno già a volare
Le distese azzurre
e le verdi terre
Le discese ardite
e le risalite
su nel cielo aperto
e poi giù il deserto
e poi ancora in alto
con un grande salto
( Io vorrei non vorrei ma se vuoi di Lucio Battisti)
L’adolescenza è il tempo in cui gli orizzonti si allargano. Non vivi più soltanto gli spazi protetti della tua casa e della tua famiglia, cominci ad esplorare all’inizio soltanto con il pensiero i vasti spazi del mondo. E’ il tempo in cui il cuore si apre ai primi sussulti d’amore, il corpo si rinnova, la mente si dilata, l’anima prova a cercare se stessa. E a volte dolcemente, semplicemente si perde vagando da un pensiero all’altro, da una pena d’amore al calore di una nuova amicizia. E’ la primavera della vita con il suo tepore e le sue improvvise burrasche. In un tempo come quello è impresso il mio primo ricordo di questa canzone. La canzone di Lucio Battista parlava del timore di intraprendere una relazione d’amore nuova dopo aver terribilmente sofferto per la fine di un rapporto precedente. Ma come fai a impedirti di amare di nuovo... è come uno scoglio che mai riuscirà ad arginare il mare. E così il pensiero torna a volare e il viaggio dell’amore ricomincia come un volo d’uccello spericolato, meraviglioso e avvincente.
Accostando questa canzone alla vita, alla morte e alla risurrezione di Gesù potremmo semplicemente dire facendo eco alla canzone: come può uno scoglio arginare il mare? Come poteva l’amore di Dio finire arenato sulla spiaggia desolata della meschinità umana, del suo cinismo, della sua miseria? Come poteva la verità finire sepolta in una tomba, la luce miliardi di volte più potente del sole oscurarsi per più di tre giorni, la Parola eterna di Dio tacere per sempre? No, uno scoglio anche grande e duro come il peccato umano, l’odio, la violenza assassina non avrebbe mai potuto arginare il mare della Grazia, proprio come il masso pesante che sigillava la tomba di Gesù, non poté impedire alla Vita di tornare a palpitare e a cercare spazi aperti e vecchi amici.
Ecco quello che essenzialmente voglio dire oggi: c’è qualcosa che appartiene alla natura dell’amore che lo rende eterno e indistruttibile. Ho cominciato con questa immagine ma per dare sostanza a questa affermazione ho bisogno di ripercorrere alcuni momenti salienti della storia di Gesù.
Prima, la tentazione, Gesù alla prova della fede. Le tentazioni, indipendentemente dalla loro provenienza, rappresentano dei bivi. La strada si biforca e bisogna scegliere se andare a destra o a sinistra, se prendere la salita o la discesa. Nel corso del suo pellegrinaggio per le vie del mondo anche Gesù ebbe davanti a sé molti bivi e fece delle scelte.
Ci fu un bivio, importante per il suo valore simbolico. Matteo ce ne parla come la terza tentazione. Satana lo portò su un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria. Poi gli disse: Tutte queste cose io ti darò se prostrandoti tu mi adori.
Grande astuzia, proposta interessante: cosa può volere in ultima analisi un figlio di Dio? Il potere, la gloria, l’onore, la lode di tutte le genti, non è così? Dunque ecco un accordo più che vantaggioso. Tu sei figlio di Dio, Dio ti ha scelto per darti gloria e onore. Bene ora sei qui sulla terra: vieni ti mostro io come si ottiene gloria, onore e gloria qui sulla terra. Io ti insegno, ti faccio da guida: risultati assicurati! Un patto fra gentiluomini! Il monte altissimo era il luogo più adatto per fare questa proposta. Non sta Dio forse in alto? Nell’“alto dei cieli” appunto? C’è un modo infallibile per restare in alto: costruire il proprio potere senza scendere mai! Usare il mondo, gli altri uomini, le donne per continuare ad affermare se stessi. Ci saranno senz’altro conseguenze positive per chi rimane in basso! Tutto a fin di bene, per carità! Lascia il mondo così com’è con le sue
gerarchie, le sue disparità e tu ecco a governare tutto questo. Dall’alto appunto.
Come dice Gennaro Matino (in “Sottosopra”, Mondadori 2007, p. 59): “Su tale altezza, la più superba, è in gioco non solo la risposta del Maestro, ma il concetto stesso di Assoluto, il rapporto Dio-uomo. (...) Il diavolo offre al Maestro il lavoro già finito, senza affanni, senza croci, servito lì, dinanzi ai suoi occhi. Che vuole Dio dagli uomini? Riverenza, riconoscimento della sua divinità, conferma della sua potenza? Se l’uomo è stato creato per dare onore a Dio, se questo è il suo destino e ha smarrito la strada, ecco su un piatto d’argento l’umanità intera pronta a riconoscere le altezze e la signoria di Dio”.
Dunque la sfida a Gesù, figlio di Dio, è a godersi quello che gli spetta, rimanendo in alto, non compromettendosi, non mischiandosi, non scendendo. “ Vedi che ti conviene!” Sembra suggerire il diavolo.
La prima domanda che secondo l’Evangelo di Giovanni fu rivolta a Gesù dai suoi primi discepoli fu una domanda cruciale che racchiude tutte le domande che l’umanità giorno dopo giorno in mille lingue rivolge a Dio: “Maestro, dove abiti?”. Già, dove abita il Figlio di Dio? Dove abita Dio?
Se Dio rimane per sempre in alto e noi non possiamo che restare in basso, quale comunione potrà mai esserci fra Dio e noi? E’ una distanza, un baratro che mai nessuno potrà colmare. Questa era la scelta posta davanti a Gesù su quell’alto monte.
Gesù scelse di rimanere fedele a Dio, adorare Lui solo, ascoltare la sua voce.
La voce di Dio è la voce di Uno che scende. E Gesù scese quel giorno e abitò fra noi. Scese quel giorno e accettò di scalare altre montagne.
Gesù scese e scalò la montagna degli esclusi dove proclamò la gerarchia rovesciata delle beatitudini. Beati i poveri, beati gli affamati, beati i perseguitati, beati coloro che piangono, beati quando vi odieranno e vi scacceranno. Rallegratevi e saltate di gioia perché il vostro premio sarà grande. Con gli esclusi mangiò e bevve, ogni giorno si mischiò con loro, divenne uno di loro anche nel disprezzo delle persone per bene.
Scese e scalò la montagna della sofferenza quando incontrò il pazzo furioso nel cimitero, il cieco all’angolo di strada, il paralitico che mendicava ai bordi di una vasca, i lebbrosi sospinti fuori dei villaggi, la donna resa impura dalla malattia. Pianse con chi piangeva i suoi morti e versò lacrime per la morte di un amico.
Scese e scalò la montagna dell’incomprensione e della diffidenza proprio di coloro che avrebbero dovuto capirlo di più, la montagna dei tranelli e delle imboscate, la montagna dell’opposizione e dell’inimicizia.
Scese e scalò la montagna della solitudine. Solitudine di preghiera quando cercò luce e guida nell’oppressione del momento: “Io cerco il tuo volto! Non nascondermi il tuo volto. Non respingere con ira il tuo servo. Non lasciarmi, non abbandonarmi, o Dio della mia salvezza!” (salmo 27, 8-9). La montagna piena di gole e burroni, quella del tradimento e dell’abbandono quando non ci fu nessuno che ebbe il coraggio di unire il proprio nome al suo.
Scese e scalò la montagna della morte, il colle del Golgota, nome sinistro che significava luogo del cranio. La discesa e la salita più insidiosa, la montagna dove il terreno franava insieme alla sua dignità di uomo e il precipizio appariva nero e senza fondo.
Quella fu la montagna decisiva. Modesta nella sua altezza ma altissima nel significato. Sul colle del cranio si compie la scelta definitiva. Gesù sceglie di amare fino alla morte, di morire per amore. Perché la montagna della morte fu trasfigurata anch’essa come era accaduto a lui pochi giorni
prima, e prese un altro nome, divenne l’altissima montagna dell’amore. Gesù ama fino alla morte perché non muoia l’amore. Dio è amore e se muore l’amore è Dio che muore lentamente nel cuore degli uomini e delle donne.
Così Gesù sale l’ultima montagna e mormora le ultime parole con cui si affida e affida a Dio l’opera sua: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito. Tutto è compiuto”. Si compì l’ultima scalata.
Satana aveva proposto a Gesù la montagna altissima del potere e della gloria, Gesù scelse di scendere a valle e poi salire faticosamente le montagne dell’umanità dimenticata e sofferente. Il Figlio di Dio fu fino in fondo Figlio dell’uomo.
“Umiliò se stesso – dice Paolo – facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce”. Ma non finì qui. “Per questo Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore alla gloria di Dio Padre” (Fil. 2, 8b-11)
Gesù amò fino alla morte perché non morisse l’amore. E l’amore non morì, perché Gesù fu risorto dalla morte e proprio su un monte attese i suoi discepoli in Galilea.
Quello era il monte della gloria che Gesù ereditò da Dio dopo essere sceso dal monte altissimo e aver scalato diverse montagne. Lì sul monte della gloria parlò ai discepoli e disse: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra”. C’è potere e potere, c’è gloria e gloria. Il potere che Cristo ricevette in dono da Dio fu un potere duraturo che Egli da allora in poi avrebbe usato per salvare, per guarire, per condurre al cielo con sé.
“Salito in alto, Egli ha portato con sé dei prigionieri e ha fatto doni agli umani”. Colui che è salito dopo essere sceso e scalato tutte le montagne d’umiliazione ci porta con sé.
No, uno scoglio non può arginare il mare e l’odio uccidere e umiliare per sempre. Neppure una guerra ci sarà per sempre. Le cose umane, anche le più terribili passano e sono dimenticate. Cristo invece no. Cristo non passa! Cristo è risorto, è vivo! E il suo Spirito vola in alto e poi scende in basso per liberare, per guarire, per salvare, si libra su ogni valle, su ogni deserto, su ogni creatura vivente. E’ Parola di vita affidata a noi dalla montagna della gloria: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”.
L’amore deve crescere nella chiesa e fuori della chiesa perché l’amore può cambiare il mondo, può restituire la vita ai morti, creare speranza agli oppressi, dare forza ai deboli, mutare il dolore in danza.