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Spunti da: Apocalisse 3.20 - Ecco io sto alla porta / Giovanni 13.15 - Vi ho dato un esempio / Matteo 16.24 Se uno vuol venire dietro me / Galati 2.20 - Sono stato crocefisso con Cristo

Avete mai visto quei piani di evacuazione degli edifici in caso di incendio?
Una piccola cartina con un punto rosso che indica che “tu sei qui”. E poi il percorso più breve e sicuro per guadagnare l’uscita.
E’ importante sapersi collocare nello spazio, soprattutto nei momenti in cui ci si potrebbe smarrire in preda al panico. L’operazione richiede qualche momento di riflessione, ma è decisivo. Affidarsi invece al flusso, seguire le orme degli altri, potrebbe indurre a errori seriali forieri di gravi conseguenze.

Ecco il senso, e forse l’utilità della meditazione di questa mattina. Porsi la stessa domanda “dove ti trovi in questo momento?” in riferimento al nostro cammino con Cristo, o se preferite al nostro cammino di fede, può offrirci la possibilità di comprendere la direzione del nostro itinerario e aiutarci a sottrarci, almeno in parte, alle circostanze, che molti di noi fanno fatica a capire compiutamente, sia da un punto di vista culturale che politico ed esistenziale.
Cosa siamo chiamati veramente a fare in questo tempo così cupo e carico di minacce?
Provo dunque a definire, per rapide immagini e suggestioni, le varie tappe del nostro cammino con Cristo, per offrirvelo come una cartina, in cui, ciascuno di noi, si può riconoscere e trovarsi.
Dirò subito che non è un percorso lineare e progressivo, nel senso che ogni tappa segue l’altra, rigidamente. La vita spesso ci porta a muoversi in circolo, come fece il popolo d’Israele durante il suo esodo dall’Egitto. La strada che porta alla Terra Promessa, può essere a tratti tortuosa, ma alla fine si dimostra necessaria per operare in noi il necessario processo di trasformazione.
La prima tappa di questo percorso la vorrei richiamare con un testo altamente evocativo.

Si tratta di Apocalisse 3,20.
“Ecco io sto alla porta e picchio. Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me”

Lasciare entrare Cristo nella nostra vita, partenza fondamentale del nostro cammino di fede.
Questa accoglienza è possibile solamente sulla base di una opzione di base: rinunciare ad essere padroni della nostra vita, per diventarlo in una forma tutta nuova e inaspettata.
Se sei pieno di te stesso, se fai costantemente apologia di quel che fai, difendendoti strenuamente, se ritieni di non sbagliare mai, salvo piccoli errori che confermano la tua giustizia, aprire quella porta potrebbe essere molto difficile, se non impossibile.
Alcuni pretendono che Cristo stazioni sul ballatoio della propria casa, per potergli aprire solo in caso di necessità. Per il resto sono determinati a tenerlo fuori.
Sanno cosa fare, dove andare. Hanno il loro progetto di vita e non intendono cambiarlo in alcun modo. Tutte le difficoltà che dovessero presentarsi saranno solamente degli ostacoli da superare con determinazione e forza.
La vita con Cristo però comincia con un atto di resa. Ammettere che eravamo soli in casa e senza neppure la cena. Riconoscere la nostra miseria spirituale e anche umana, diventa un passaggio ineludibile per spalancare la porta e accogliere Cristo con un “Finalmente! Sei benvenuto”
Tutti voi che siete qui, comunque la maggioranza di voi, sa di costa sto parlando.
Alcuni saprebbero dire il giorno e l’ora ed altri comunque sanno che hanno sentito Cristo parte della famiglia magari fin da piccoli.
E tu? Dove sei?
Hai ancora bisogno di sollevarti dal sofà della rassegnazione, per affrontare il coraggioso percorso che ti conduce all’ingresso della casa ed aprire la porta al Signore?
Comunque la cosa non è semplice.
Anche quando abbiamo detto di sì a Cristo, c’è la possibilità di non farlo sentire davvero a suo agio.
Ci sono stanze e stanzini in cui proprio non vogliamo che venga a frugare. Sono luoghi bui, a volte dolorosi, a cui preferiamo tenere accesso solo noi. Magari sono posti della casa che neppure noi più osiamo visitare.
Lì abitano le nostre paure, i nostri traumi, o le cose inconfessabili che non abbiamo né la forza né la voglia di cambiare. Ci sono luoghi della nostra casa che parlano non solo delle nostre ferite, ma anche delle nostre prepotenze e violenze. Sappiamo bene questa cosa, noi che parliamo così spesso di violenza domestica.
Tutto questo per dire che questa piena accoglienza di Cristo nella nostra vita, non è solo un atto iniziale, ma che ritorna più volte, per concedergli la possibilità di guarirci anche negli strati profondi del nostro essere.
Non basta una resa iniziale, ci vuole il coraggio di andare a fondo, di guardare la nostra vita con uno sguardo più distaccato. Di accettare le sfida di una trasformazione.

La seconda tappa la richiamo col versetto di Giovanni 13,15
“Vi ho dato un esempio, affinchè anche voi facciate come vi ho fatto io”

Se la prima la definirei come una tappa esistenziale, la seconda la indicherei come essenzialmente ETICA.
Il versetto richiama l’azione della lavanda dei piedi che aveva sorpreso Pietro e gli altri astanti.
Camminare con Cristo significa “seguire il suo esempio”, fare come ha fatto lui.
Ma anche questo è tutt’altro che facile e ovvio. Se escludiamo il dover scimmiottare Cristo, allora si tratta di capire come agirebbe Cristo nella situazione in cui mi trovo. Fare la cosa giusta.
Non si tratta quindi di lavare i piedi agli altri come un ennesimo atto liturgico, ma di entrare dentro la dinamica del Salvatore che si mette al servizio umile dei suoi discepoli. Cosa farebbe Cristo se fosse nelle circostanze in cui ci troviamo?
Se si trovasse a dover dividere oggi l’eredità coi miei fratelli come agirebbe Gesù? Oppure, se si trovasse a dover decidere di un’opzione politica?
O se dovesse decidere dell’investimento del mio danaro?
Non basta aver aperto la porta a Cristo, bisogna fare le scelte giuste. La vita non è solo fatta di intenzioni, ma anche di decisioni. E una decisione ne esclude spesso un’altra. E’ assurdo, come fanno alcuni, pretendere di non decidere mai, con lo scopo di non legarsi le mani o con l’intenzione di non fare la scelta sbagliata.
Questo è un tratto che descrive soprattutto molti uomini (maschi) nel nostro tempo. Ad esempio nelle loro relazioni affettive con le donne. Lei gli dice che dopo tanto tempo di incontri e convivenza, vuole dare maggiore stabilità alla loro vita, ma lui esita, prende tempo. Teme di prendere una decisione. Lo fa per essere sicuro o per sottrarsi alla responsabilità della decisione? E’ coraggioso, o è solamente vigliacco?
Seguire Cristo, non significa buttarsi alla cieca nelle situazioni, senza aver valutato i pro e i contro. Ma comporta il coraggio di scegliere e anche la disponibilità a correre dei rischi. Perché alla domanda legittima “Come posso imitare Cristo in questa situazione?” è sempre possibile dare la risposta sbagliata.

La terza tappa è simile anche se non identica alla seconda. La richiamo col versetto di Matteo 16,24
“Se uno vuol, venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

Se la prima tappa è esistenziale e la seconda è etica, questa terza riguarda di più la sequela. In questo caso non ci rivolgiamo al passato per vedere come Gesù si comportò e per seguire il suo esempio, ma guardiamo avanti alla strada che egli apre davanti a noi, per seguire le sue orme.
Nel caso precedente indaghiamo le Scritture e le parole di Gesù, per comprendere le sue parole, qui ci affidiamo allo Spirito, e ci apriamo all’inedito.
L’imitazione di Cristo guarda al passato, la sequela è rivolta al futuro.
Ma l’aspetto problematico di questo aspetto, è la possibilità, anzi, per stare alle parole di Gesù, alla probabilità che seguire Gesù, in alcune circostanze, non venga a nostro vantaggio, ma che anzi conduca al sacrificio di noi stessi.
“Prendere la propria croce” è atto contro natura. D’istinto ci sottraiamo. Vogliamo fare la cosa giusta, ma senza mettere in pericolo la nostra vita. Vogliamo seguire Gesù, ma solo quando la via passa per i magnifici pascoli di erba verdeggiante.
Cosa sei disposto a mettere in gioco della tua vita, per la pace, per la giustizia, per la verità? Queste sono le domande che ci inchiodano e spesso paralizzano il nostro cammino di fede con Cristo.
Addirittura quando per la sequela di Cristo siamo costretti a perdere, allora ci rivoltiamo contro di lui. Gli diciamo “dove sei?” o semplicemente lo rimproveriamo per averci lasciato soli. Siamo tentati allora di cacciare Cristo dalla nostra casa. E di barricarci tra le nostre quattro mura nel risentimento e nell’amarezza.
Avete mai fatto questa esperienza?
Sapete riferire di qualcosa che avete perduto per seguire Cristo?
Avete mai avuto l’audacia di dire a voi stessi: “questa cosa la devo dire o la devo fare, costi quello che costi”?. Oppure siete diventati esperti ad accampare scuse, per tirarvi fuori dalla mischia in ogni circostanza in cui la lotta si fa veramente dura?
Anche qui, dove possiamo dire di essere in questo momento?
Gli esempi da fare sarebbero tantissimi. Ma prendiamo quello che più richiama la nostra attualità. Siamo cristiani e quindi siamo uomini e donne di pace. Ma cosa siamo disposti a dare per la pace in questo momento? Cosa siamo disposti a rischiare per seguire la volontà del Signore? Proviamo a rispondere con onestà a questo quesito, perché questa è anche l’unica maniera per capire davvero perché ci troviamo al punto in cui siamo.
Ed eccomi arrivato all’ultima tappa che richiamo con un versetto che ne richiama una serie per nulla facili da interpretare, se vogliamo uscire da una lettura troppo semplicistica e devozionale:
Galati 2:20
“Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me.”
Chiamerei questa tappa “dello stato di grazia”, o se preferite della esperienza mistica.
Esistenziale, etica, sacrificale e mistica
Questa ultima mi pare di uno stato di grazia, difficile perfino da spiegare a chi non lo abbia veramente sperimentato.
Hai accolto Cristo nella tua casa. Hai cercato di essere un uomo/donna etico, imitandolo, l’hai seguito con coraggio anche quando c’era da soffrire e adesso semplicemente di abbandoni a lui. Non hai più paura degli uomini e della morte. Qualcosa ti dice nel profondo che gli appartieni e che niente e nessuno possono strapparti dalla sua mano. Puoi anche essere chiuso nel carcere della privazione, ma anche lì puoi cantare il tuo inno di lode. La gioia non è più il risultato di uno stato di benessere del corpo, ma viene dal fatto che Cristo abita in te e tu lo sai!. “Non sono più io!” è una frase straordinaria di grandissima pericolosità, se trasformata in ideologia. Pensate a quanto delirio di onnipotenza possa passare per questa pretesa quando, ad esempio una autorità ecclesiastica, reclama a sé il diritto di essere egli stesso il Cristo, con la pretesa di dominare sulla coscienza degli altri.
Ma quando invece è processo di intima adesione a Cristo, allora questo stadio racchiude la grazia di una libertà compiuta.
A me è subito venuto in mente quel bellissimo sermone di King il giorno prima di essere ammazzato, quando disse tra l’altro le seguenti parole:
“Non so quello che succederà ora. Abbiamo giorni difficili davanti a noi.
Ma davvero non mi preoccupa, perché sono stato sulla cima del monte. Non mi interessa. Come ognuno di noi, vorrei vivere una vita lunga (…).
Ma non m’importa in questo momento. Voglio solo fare la volontà di Dio.
Egli mi ha concesso di salire sulla cima del monte. E io ho scrutato l’orizzonte e ho visto la Terra promessa. Potrei non entrarvi insieme con voi.
Ma voglio che sappiate che noi, come popolo, entreremo nella Terra promessa. Sono così felice questa sera e nulla mi intimorisce. Non sono un uomo pauroso. I miei occhi hanno visto la gloria del Signore che viene.” (Memphis 3 aprile 1968)

Non tutti noi potremo dire di aver sperimentato questa unione mistica di Cristo, vero dono alla nostra fedeltà a lui. Ma non credo che questa sia una esperienza di élite.
Arriva il momento in cui è quanto conta di più, e la riceviamo come un dono che fa di persone fragili e peccatori quali noi siamo, degli strumenti nelle mani di Dio che fanno sgranare gli occhi a quanti ci stanno intorno.

“Tu sei qui”, torniamo alla nostra cartina del piano di evacuazione dell’edificio e chiediamoci, “dove siamo?” collettivamente come comunità, ma anche individualmente?