Il sussurro di Dio - Genesi 4, 1-15
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- Scritto da Anna Maffei
1 Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, e disse: «Ho acquistato un uomo con l'aiuto del SIGNORE». 2 Poi partorì ancora Abele, fratello di lui. Abele fu pastore di pecore; Caino lavoratore della terra. 3 Avvenne, dopo qualche tempo, che Caino fece un'offerta di frutti della terra al SIGNORE. 4 Abele offrì anch'egli dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso. Il SIGNORE guardò con favore Abele e la sua offerta, 5 ma non guardò con favore Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato, e il suo viso era abbattuto. 6 Il SIGNORE disse a Caino: «Perché sei irritato? e perché hai il volto abbattuto? 7 Se agisci bene, non rialzerai il volto? Ma se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!» 8 Un giorno Caino parlava con suo fratello Abele e, trovandosi nei campi, Caino si avventò contro Abele, suo fratello, e l'uccise.
9 Il SIGNORE disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?» Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» 10 Il SIGNORE disse: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. 11 Ora tu sarai maledetto, scacciato lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. 12 Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra». 13 Caino disse al SIGNORE: «Il mio castigo è troppo grande perché io possa sopportarlo. 14 Tu oggi mi scacci da questo suolo e io sarò nascosto lontano dalla tua presenza, sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così chiunque mi troverà, mi ucciderà». 15 Ma il SIGNORE gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui». Il SIGNORE mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse.
Questo testo che appare così semplice affronta in poche righe e con grande profondità temi fondamentali che possiamo nominare insieme: le relazioni fra fratelli, la competizione, la disparità, il culto a Dio, le profondità inconfessate dell'animo umano, le professioni diverse, il conflitto su basi religiose, nomi e destini, le insodabili decisioni divine. E potremmo continuare.
Uno dei temi, l'invidia, sarà affrontato dal culto che domenica prossima stanno preparando i giovani del gruppo adolescenti. E certamente si metteranno in gioco e avranno da insegnare qualcosa di importante a noi adulti. Io quindi non ne parlerò.
Il racconto lo abbiamo ascoltato. Sulla scena del mondo compaiono i primi fratelli e troviamo già che questi fratelli curino la loro relazione con Dio. Offrono le primizie di ciò che hanno, del frutto del loro lavoro. Tutti e due lo fanno. I loro due lavori, quello da agricoltore e quello da pastore, non sono due lavori qualunque, sono professioni primarie distinte e spesso nella storia, anche nella storia biblica, in conflitto. Ma il racconto si focalizza su due individui fratelli e non su conflitti più ampi.
I due fratelli sono presentati con i loro nomi. Caino ha un nome che richiama il verbo “acquistare” (qanah) e sembra che fosse stato chiamato così per esprimere lo stupore e la gratitudine a Dio per questa nascita, la prima, dunque per la sua mamma, miracolo e dono grande. Il nome Abel rispecchia invece il suo destino, è un nome che si può tradurre come “soffio”, quindi un nonnulla, un vapore evanescente. E’ la parola che nella Bibbia si usa per indicare la precarietà del vivere: “I giorni miei non sono che un soffio” dice Giobbe (7, 16). O Giacomo: “Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce (4,14).
Senza offrire nessuna spiegazione si dice che quando tutti e due i fratelli offrirono a Dio il meglio di ciò che il loro lavoro aveva prodotto - frutti della terra e primogeniti del gregge - Dio guardò con favore l’offerta di Abele e non quella di Caino. Di qui l’irritazione e il volto rabbuiato di Caino.
Fermiamoci per un attimo qui.
La nostra ci porta immediatamente a chiederci perché ma il testo non ce lo dice. In alcuni versi del Nuovo Testamento questo dato scarno del racconto viene spiegato attribuendo a Caino una cattiva disposizione nella sua offerta ed innalzando Abele come uomo di fede. Gli scrittori del Nuovo Testamento scelgono così di accusare Caino per non accusare Dio di essere stato ingiusto e parziale (cf. Ebrei 11, 4; I Giov 3, 12; Giuda 11).
Ma la realtà è che non è offerta alcuna spiegazione. Dio accoglie un dono con favore e non l’altro. Punto. Questo è il primo dato sconcertante su cui ritorneremo.
E subito dopo ci chiediamo: come comprese Caino che l’offerta di suo fratello era stata accolta con favore mentre la sua no? La risposta può essere trovata riflettendo sull’esperienza più antica dell’umanità, che è quella di lavori che hanno esiti diversi. Accade che un lavoro dia frutti, mentre l’altro ugualmente duro e impegnativo non ne dia. Il lavoro che ha successo viene compreso come lavoro benedetto da Dio, il lavoro che produce insuccesso in tutta evidenza non ha goduto della benedizione divina. A parità di impegno l’uno va bene e l’altro no. Il diverso esito del lavoro viene quindi preso come una benedizione o una mancata benedizione e questa disparità di benedizione è attribuita a Dio.
In questi due scarni versetti c’è il grande mistero della diseguaglianza.
Ecco – dice il testo – la grande domanda presente nell’umanità fin dai primordi: perché la disparità?
E dov'è Dio in tutto questo?
Caino era “molto irritato” e “il suo viso abbattuto”.
Perché Abele è benedetto e io no? Perché lui è accolto e io no? Lui ha successo in quello che fa e io no? Dio ama lui e rifiuta me: perché?
Semplicemente non è giusto! Dio non è giusto!
Caino era “molto irritato” e “il suo viso abbattuto”. Le due reazioni opposte condensate in una: rabbia e depressione. Sono reazioni umane, umanissime. Caino siamo noi quando non abbiamo risposta alle nostre domande e il mondo ci sembra avvolto nelle nebbie del non senso. Tutto ci appare ingiusto. E noi e anche tanti altri ne siamo le vittime. Con chi ce la prendiamo?
Caino che non può prendersela con Dio, comincia a guardare Abele e prova gelosia. Io ho lavorato duro e una grandinata ha distrutto tutto il mio raccolto. E guarda lui con i suoi agnellini in braccio! Guarda quanti sono. Se io, Caino, non avessi avuto Abele, sarei stato solo, beato, e non ci sarebbe stato confronto, né questo senso di ingiustizia che mi rode. Perché è venuto questo fratello? Stavo meglio prima, stavo meglio senza fratello.
Invidia e gelosia. Due sentimenti che fanno ammalare le relazioni, anche le più intime. Fanno ammalare anche noi a volte. Due sentimenti che nascono nel profondo, distruttivi e inconfessabili.
La frustrazione nei riguardi della vita, o se vogliamo, la frustrazione nei riguardi di Dio, ingiusto e parziale, si rivolge contro il fratello che con la sua sola esistenza ha causato tanto dolore.
Caino non parla, non sono riportate parole di Caino contro il fratello o contro Dio (Esaù invece espresse le sue intenzioni fratricide e la madre fece in tempo a spingere Giacobbe a scappare) ma cresce nel suo cuore un rancore sordo che piano piano occupa tutto il suo spirito.
Qui c’è il fulcro del racconto. Dio si rivolge al cuore tumultuoso di Caino per metterlo in guardia. Dio vede in Caino un pericolo grande e glielo indica. Lo fa sussurrando al suo cuore tre domande e uno svelamento che è anche un’esortazione. Le prime due domande sono queste:
Perché sei irritato? Perché hai il volto abbattuto?
Ma forse Dio non lo sa perché Caino è arrabbiato e depresso? Perché fa queste domande? Cosa vuole Dio da Caino con queste domande?
Forse Dio vuole che Caino se la prenda con Lui e lasci stare Abele! Forse Dio vuole ingaggiare un dialogo serrato con lui. Forse vuole che Caino faccia come Giobbe che esprime ad alta voce tutti i suoi perché rivolti al cielo. Dio vuole che Caino esca dal chiuso del suo rancore che Dio ha letto nel suo cuore e sa che è diretto al fratello. Dio non lo interroga per giudicarlo ma forse per aprirgli altri orizzonti di senso, più profondi forse di ciò che Caino aveva visto… Dio vuole che Caino si apra al confronto con Lui e dica la sua.
Potremmo dire parafrasando l’esperienza di Giobbe e la risposta di Dio: Il fatto che tu non sai il perché delle cose non significa che un perché non ci sia. Solo non lo conosci. Se non sai le risposte allora cercale! Sembra dire Dio.
Se agisci bene non rialzerai il volto? La terza domanda.
L’azione buona anche senza risultati concreti ha un valore di per sé, ti fa tenere la testa alta! Ascolta Caino! Ascolta la voce di Dio!
Quanto significa questo per noi!!!! Oggi, nel tempo in cui l’agire bene, l’agire in onestà, l’agire secondo giustizia è degli stupidi, e la nonviolenza è giudicata come buonismo, Dio ci dice: se agite bene rialzerete il volto! L’azione onesta, il lavoro fatto bene, il culto reso col cuore, il gesto di riconoscimento dell’altro, tutto questo – anche senza immediati risultati apprezzabili - ha un valore immenso, ti fa tenere la testa alta! Non covare nel tuo cuore sentimenti distruttivi, non farti dominare da sentimenti che tagliano il tuo legame con tuo fratello e con Dio. Continua ad essere integro, agisci per il bene e guarirai! Non avrai il volto rabbuiato e il cuore tormentato, ma anche se per un po’ avrai vissuto col viso contratto e orizzonti chiusi poi rialzerai il volto e ritroverai la luce che ti sembra perduta per sempre.
Ma se agisci male – ecco lo svelamento che è anche un’esortazione accorata e preoccupata – se agisci male il peccato è accovacciato come una bestia feroce alla tua porta pronta a ghermirti! Ma tu puoi dominarlo.
Attenzione ai dissapori anche e soprattutto a quelli fra persone molto vicine! La rabbia e la depressione che vengono dalla frustrazione hanno un potenziale distruttivo immenso! Dio parla al cuore di Caino e glielo svela.
Qui il peccato non è una trasgressione formale ad una legge, qui il peccato è una pulsione aggressiva sempre in agguato, è qualcosa che coviamo nel cuore chiuso, che nel buio si ingigantisce e come un animale feroce ci salta addosso e ci sbrana. Questa pulsione aggressiva è presente in tutti perché tutti noi possiamo vivere nella frustrazione, nel sentimento di essere vittime di ingiustizia. Tutti noi prima o poi nella vita ci sentiamo traditi da Dio perché qualcun altro ci supera e noi siamo certi che non lo meritava, o certo non lo meritava più di noi. La collera magari non la facciamo trasparire, non parliamo con nessuno e cresce e cresce e prende sempre più posto nel nostro cuore fino a fare sparire tutto il resto.
Le cose raccapriccianti di cui sentiamo, i feroci femminicidi con annessi commenti: “Ma erano persone normali, tanto gentili”, le liti da condominio che sfociano in assurdi assassinii, ma anche la violenza in tutte le sue infinite varianti, hanno qui in questo racconto antico il loro prototipo.
Il fratello geloso del fratello.
Il fratello che odia il fratello.
Il fratello che pensa sia meglio non avere più quel fratello.
Il fratello che fantastica di uccidere il fratello.
Il fratello che è preda di quell’animale selvaggio e mortifero che gli rode l’anima e distrugge il fratello.
Ma mentre distrugge il fratello, distrugge anche lui.
Attenzione, Dio ti parla, ascoltalo per favore, non ti distruggere! Quella pulsione mortifera tu la puoi dominare. Sì, è possibile! Questa è la buona notizia: è possibile! Ti prego, dominala!
Il Deuteronomio dice da parte di Dio: “Io ti ho messo davanti il bene e il male, la benedizione e la maledizione. Ma tu scegli la vita perché tu viva, tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, ubbidendo alla sua voce e tenendoti stretto a lui poiché Egli è la tua vita!”.
Sappiamo che Caino non ascoltò la voce del Signore, vinse in lui la voce degli istinti violenti, e da allora in poi dovette vivere senza fratello, visse come un fuggiasco inseguito dai suoi rimorsi nel paese di Nod, il paese dell’inquietudine, il paese dell’eterno esilio, il paese senza approdi.
Nonostante tutto Dio non lo abbandonò mai, anzi lo protesse mettendogli un segno perpetuo a sua protezione.
Alla tragica e triste storia di Caino Dio sempre contrappose la sua proposta, quella dei fratelli che si ritrovano, che si perdonano, si riconciliano, si amano e vivono in pace.
Questa volontà divina riecheggia nel salmo 133:
“Com’è buono e com’è piacevole che i fratelli dimorino insieme. E’ come olio profumato che sparso sul capo, scende sulla barba di Aronne, che scende fino all’orlo dei suoi vestiti; è come la rugiada dell’Ermon che scende sui monti di Sion, là infatti il Signore ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno”.
La storia biblica ci dice che Dio l’aveva desiderato sin dal primo nato, sin da allora. Ma i fratelli hanno continuato a covare gelosie, invidie, desiderio di potere. Sempre.
Lamec discendente di Caino cantò il canto della vendetta spropositata, della rappresaglia (Gen 4,23s)
“Sì, io ho ucciso un uomo perché mi ha ferito
E un giovane perché mi ha contuso.
Se Caino sarà vendicato sette volte,
Lamec lo sarà settantasette volte”.
Nonostante il diluvio e la sua fine, con il patto stabilito da Dio con l’umanità noachica, patto in cui Dio stesso si disarma (questo è il significato dell’arcobaleno), la storia biblica continua. E non è storia edificante. Fra le cose più raccapricciante c’è lo stupro di gruppo che si conclude con la morte della vittima ad opera di beniaminiti verso la compagna di un levita. L’episodio, narrato alla fine del libro dei Giudici, è fra i più tremendi che la Bibbia ci racconta. La storia già tristissima prosegue con una rappresaglia talmente violenta che rischia di fare estinguere un’intera tribù, quella appunto di Beniamino. E a questo si rimedia con un altro delitto di massa: il rapimento di donne di un altro popolo. D’altra parte anche nella leggenda fondativa della grande civiltà romana non c’è forse anche il ratto delle sabine?
Nulla è più lontano dall’originaria volontà divina. La violenza privata si fa violenza organizzata a prende forma nelle sanguinose faide tribali e poi nelle guerre.
Molte voci profetiche si levano inascoltate. I regni che si susseguono in Israele e Giuda, che prendono il posto delle confederazioni tribali, con poche eccezioni, sono monarchie tiranniche. Per il mondo della Bibbia l’idolatria è sempre cifra della tirannia e la tirannia è sempre cifra dell’idolatria.
Per la tradizione biblica cristiana accadde allora che nella pienezza dei tempi, nel cuore della storia, Dio mandò suo figlio. Il figlio parlava il linguaggio che negli orecchi gli sussurrava Dio, quello stesso Dio che aveva parlato inascoltato al cuore di Caino. Era un linguaggio tutto diverso, anzi capovolto.
Erano beati i poveri e non i ricchi, gli impuri e i reietti e non quelli per bene che tutti stimavano.
Erano scelti i miti e i misericordiosi, erano innalzati gli umili e abbassati i potenti.
Il primo inno di questo capovolgimento lo cantò sua madre profeticamente quando Gesù non era ancora neppure nato (Luca 1, 52-53):
“Egli ha detronizzato i potenti e innalzato gli umili.
Ha colmato di beni gli affamati e rimandato a mani vuote i ricchi”.
A chi gli chiedeva quante volte si sarebbe dovuto perdonare ripeté capovolto l’antico canto di Lamec e rispose che si doveva perdonare settanta volte sette (Mat 18, 22). Insegnò ai suoi che l’unico modo per spezzare la catena dell’odio è non rispondere alla violenza con la violenza, ma prendere su di sé la violenza mostrando che tutta la forza distruttiva di cui si dispone non può distruggere l’integrità del resistente.
Il suo insegnamento e l’intera sua vita fu espressione di questa convinzione:
“Non temete chi può uccidere il corpo ma oltre a questo non possono fare di più”. (Luca 12, 4)
Ma ancora una volta la storia del fratello che preferì vivere senza il fratello si ripeté, sempre uguale a se stessa. Gesù fu quel fratello che l’umanità non volle accogliere, la cui vita ebbe la consistenza di un soffio.
Gesù fu il fratello perso, ucciso dalla belva che prese completamente il sopravvento sull’umanità. Come il sangue di Abele anche il sangue di Gesù gridò dalla terra a Dio. Dio ascoltò quel grido, Dio ascolta sempre il grido del sangue degli uccisi. Ma quella volta qualcuno venne tre giorni dopo per portare l’annuncio buono: Cristo, quello che voi avete crocifisso, è risorto e vive per sempre.
Come avvenne per Caino, Dio continuò ad amarci. Dimostrò ancora una volta di odiare il peccato e la violenza e di amare appassionatamente i peccatori e anche i violenti. Rinunciò al giudizio, e non ci condannò. Al contrario Egli ci offrì il perdono e la sua grazia fu immensa: in Cristo risorto Egli ci restituì il fratello perduto.
Forse quel giorno in Cristo anche Caino ritrovò il suo fratello perduto e finalmente l’abbracciò!
Caino sono io perché nonostante ogni apparenza io non sono molto diversa da lui, ma Dio mi parla al cuore. Se apro il mio cuore e ascolto, nella parola che Dio mi rivolge e nel pensiero di Gesù mio fratello, il tumulto del mio cuore si calma e rialzo la testa. La bestia è scomparsa. Resta soltanto Gesù che dice: Ecco, Io sono alla porta e busso. Lasciami entrare. Io starò con te e con te cenerò. Staremo insieme. Non avere paura: non ho mai smesso di amarti!