2 Corinzi 3
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- Scritto da Anna Maffei e Massimo Aprile
Cominciamo forse di nuovo a raccomandare noi stessi? O abbiamo bisogno, come alcuni, di lettere di raccomandazione presso di voi o da voi? 2 La nostra lettera siete voi, scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini; 3 è noto che voi siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro servizio, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne. 4 Una simile fiducia noi l'abbiamo per mezzo di Cristo presso Dio. 5 Non già che siamo da noi stessi capaci di pensare qualcosa come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio. 6 Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto, non di lettera ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica.
7 Ora se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, fu glorioso, al punto che i figli d'Israele non potevano fissare lo sguardo sul volto di Mosè a motivo della gloria, che pur svaniva, del volto di lui, 8 quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? 9 Se infatti il ministero della condanna fu glorioso, molto più abbonda in gloria il ministero della giustizia. 10 Anzi, quello che nel primo fu reso glorioso, non fu reso veramente glorioso, quando lo si confronti con la gloria tanto superiore del secondo; 11 infatti, se ciò che era transitorio fu circondato di gloria, molto più grande è la gloria di ciò che è duraturo. 12 Avendo dunque una tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza 13 e non facciamo come Mosè, che si metteva un velo sul volto perché i figli d'Israele non fissassero lo sguardo sulla fine di ciò che era transitorio. 14 Ma le loro menti furono rese ottuse; infatti, sino al giorno d'oggi, quando leggono l'antico patto, lo stesso velo rimane senza essere rimosso, perché è in Cristo che esso è abolito. 15 Ma fino a oggi, quando si legge Mosè, un velo rimane steso sul loro cuore; 16 però, quando si saranno convertiti al Signore, il velo sarà rimosso. 17 Ora, il Signore è lo Spirito; e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. 18 E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione del Signore, che è lo Spirito.
Al tempo in cui Paolo scrive queste righe nella chiesa di Corinto erano arrivati missionari cristiani che essi non conoscevano personalmente e quindi avevano portato con sé lettere di presentazione firmate da apostoli o comunque persone conosciute e stimate nella comunità. Non sappiamo molto di più, forse le lettere le avevano firmate Pietro o Giacomo o chissà e i corinzi avevano dunque dato credito a loro e, forse chissà avevano ridimensionato l'autorità di Paolo. Al centro sempre la questione controversa, se i cristiani di origine pagana dovevano anche seguire la legge di Mosè nella loro vita personale e comunitaria oppure no. Ci si riferiva alle usanze alimentari forse, o all'obbligo della circoncisione.
E dunque Paolo scrive questo brano e comincia con la questione delle lettere di raccomandazione.
Lui dice qualcosa di molto bello. Dice: voi non avete bisogno che qualcun altro scriva lettere di raccomandazione per me. Paolo che era il fondatore di quella chiesa dice: Voi, voi stessi siete la mia lettera di raccomandazione, voi siete lettere viventi scritte dallo Spirito, la vostra vita di credenti deriva dal Vangelo che io vi ho annunciato. Lettere scritte dallo Spirito nel vostro cuore, non scolpite su pietre, come fu nel caso di Mosè.
Questo è il primo importante punto: l'annuncio dell'Evangelo che giunge ai cuori e li converte a Dio è opera dello Spirito Santo. Non deriva dall'osservanza di leggi e precetti di chi riceve questo annuncio, ma dall'opera dello Spirito che rende efficace la parola della Grazia attraverso l'opera di Cristo.
Null'altro serve che la grazia di Cristo che è accolta nel cuore e produce rinnovamento, trasformazione.
Paolo parla di se stesso e di altri come ministri di un nuovo patto. L'espressione è la stessa usata nelle parole della Cena del Signore. Paolo stesso aveva ricordato l'antica tradizione agli stessi corinzi, di quando Gesù aveva detto: "Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue". Un nuovo patto, quindi, fondato sul dono di sé del Figlio per amore nostro, sul suo perdono, sulla riconciliazione con Dio, da Lui resa possibile.
Poi Paolo parla della gloria dei due patti. Il patto del Sinai in cui Dio offriva allo stesso Mosè una luce riflessa sul suo volto quando lo incontrava, una luce che Mosè velava quando incontrava altri. Paolo dice che Mosè velava questo splendore nel suo volto perché questa gloria man mano svaniva.
Poi Paolo passa a parlare della gloria del nuovo patto. Il riferimento implicito è alla gloria del Cristo risorto che è una gloria che non svanisce. In quella gloria noi ci specchiamo a volto scoperto e questo continuo stare in presenza del volto di Cristo risorto illumina anche il nostro volto, di gloria in gloria. Cioè man mano che l'azione dello Spirito procede nella nostra vita noi siamo trasformati nella sua immagine. Come si sperimenta nel caso di marito e moglie che si amano e con il tempo si assomigliano, così vivere ogni giorno alla presenza di Cristo crocifisso e risorto ci fa assomigliare a Cristo ogni giorno un po' di più.
Tutto questo è opera dello Spirito che ci libera da costrizioni esteriori o da una obbedienza formale a regole scritte nell'antico patto, e ci fa vivere alla luce del sole - senza veli - specchiandoci in Cristo e da Lui graziati, da Lui illuminati, da lui glorificati.
Stamattina interroghiamo questo testo alla luce del tema della nostra liturgia contro l’omo-transfobia e ci chiediamo come esso parli al nostro contesto.
Il tema dell’omosessualità, all’interno delle chiese cristiane resta tra i più controversi. Accende appassionate opposizioni che arrivano fino alla reciproca scomunica.
Tutto quello che c’era da dire sull’argomento è stato detto, sia da un punto di vista biblico che teologico. Ma, dobbiamo ammettere, che ancora si fa fatica a comprendersi e rispettarsi reciprocamente.
Un cristianesimo che non solo considera l’omosessualità un peccato, ma lo considera tra tutti il peggiore.
Solo in virtù di un presupposto così estremo le parole di Kiril, primate della chiesa russa, che fa dell’omosessualità il peccato per eccellenza sono comprensibili. Egli arriva a dire che sono la ragione di uno scontro di civiltà con l’occidente che giustificherebbe la guerra contro l’Ucraina Naturalmente anche il cattolicesimo e il protestantesimo hanno la loro versione cirillica.
Cosa dire rispetto a questa posizione?
Dinanzi a questa posizione ciò che divide non è semplicemente un velo, ma un vero e proprio muro di incomprensione. Un muro invalicabile che divide il vero dal falso, la giusta dottrina dall’eresia. L’omosessualità in questo senso è un tabù tra i tanti, che nei secoli hanno generato dolore e persecuzione. Era così per la lebbra ai tempi di Gesù. In certi paesi dell’africa è così per gli albini, questi inspiegabili africani bianchi, considerati uno scherzo del diavolo. Una volta era così per gli
handicappati anche da noi, che venivano nascosti e quindi imprigionati dai genitori negli angusti confini della propria casa.
A chi la pensa così bisogna protestare le ragioni del Vangelo di Cristo. Egli viene a liberare tutti e tutte. Non c’è nessuno che sia maledetto per la propria condizione. Chi non vuole capire questo semplicemente rinuncia a Cristo e il fatto che lo faccia sulla base di un testo biblico rende la sua posizione ancora più grave e spiritualmente disperata.
Nella nostra chiesa non abbiamo persone del genere.
Per la verità qualcuno così ci è capitato. Qualcuno che, a mio avviso, aveva urgente bisogno, egli stessa di una terapia psichica e spirituale. Ma quando hanno capito che non raccoglievano consensi, dopo averci per un po’ denigrati sui social, sono andati via per la loro strada.
Ma c’è un’altra categoria di persone che preferirebbero semplicemente che della questione non se ne parlasse. Forse perché non riescono ad andare oltre una esegesi tradizionale dei testi biblici. Forse perché hanno ricevuto una educazione troppo forte e da persone di cui avevano e hanno stima spirituale. Forse perché preoccupati di una sorta di deriva permissiva indulgente verso di ogni sorta di nefandezza sessuale, compresa la pedofilia.
Tra questi fratelli e sorelle, in assoluta buona fede, ce ne sono di molto cari e quindi la nostra riflessione non può e non deve neppure minimamente cedere ad un giudizio con aria di sufficienza.
In questo caso, effettivamente, c’è un “velo”. Alcune di questi aspetti enunciati creano un certo disagio. Si vorrebbe che noi evangelizzassimo, stando alla larga da questioni così controverse che secondo costoro non darebbero una buona immagine di noi.
Il testo di Paolo, è interamente giocato tra due glorie: l’una della parola scritta su tavole di pietra. Questa gloria però col tempo svanisce. E si capisce anche perché. Le trasformazioni culturali ed anche scientifiche, richiedono un continuo aggiornamento della lettera scritta. (Pensiamo al fatto che per secoli l’omosessualità è stata considerata una malattia da guarire, ed oggi è completamente derubricata come tale dall’OMS).
E l’altra gloria è quella che si riflette sul volto di Cristo. Questa gloria mediante l’azione dello Spirito si va rinnovando continuamente.
La lettera è importante, ma attenzione dice Paolo, voi siete la lettera di Cristo, scritta per la vostra generazione, nei vostri stessi cuori. Che significa? Significa che la lettera è importante, ma guidati dallo Spirito di Cristo e del suo amore, bisogna avere il coraggio di andare oltre la lettera scritta sulla pietra. Altrove Paolo dirà che “la lettere uccide ma solo lo Spirito vivifica”.
Gli omosessuali e tutte le altre minoranze sessuali, (e quante sono!) per secoli sono state costrette al silenzio, alla clandestinità, ai sensi di colpa personali di sentirsi creature sbagliate, se non addirittura indemoniate. Le chiese nei secoli hanno contratto un debito con costoro. Un debito fatto di storie dolorosissime, di solitudini incolmabili, di suicidi nascosti, di stati depressivi molto gravi.
Non è vero, infatti, che una volta, quando c’erano i valori spirituali, questa realtà non esisteva. E’ piuttosto vero che nelle chiese c’era una cappa moralistica o comunque indifferente a tanto dolore.
Non si tratta dunque di assumere atteggiamenti radicali e provocatori. Nessuno è chiamato ad ostentare la sua eterosessualità o la sua omosessualità. Nessuno è invitato a pensare che ogni comportamento sia indifferente.
La fedeltà, l’affetto che sa farsi solidale, il soffrire per l’altro e per l’altra, sono valori evangelici che valgono per tutti, qualsiasi sia l’appartenenza di genere. Tutti e tutte, eterosessuali e non, lottiamo per vivere questo amore concretamente.
C’è un’opera artistica conservata a Napoli, tra le più conosciute, anche tra i visitatori: è il Cristo Velato nella Cappella Sansevero.
Si tratta di un’opera straordinaria ed emozionante.
Il Cristo deposto è coperto a un velo, di marmo, che però aderisce talmente al suo corpo che si può vedere e riconoscere perfino il corpo piagato del Signore a motivo della crocefissione. Il velo dunque c’è. Ma se ti fermi a contemplare quella immagine, è come se ti fosse miracolosamente tolto, per incontrare il tuo Cristo, colui che ha dato la sua vita per te.
Ecco cosa siamo chiamati a fare.
Ognuno di noi, per una qualche ragione, ha un velo che ci impedisce la più completa visione. Chi non ha pregiudizi, incomprensioni, o non commettere errori sulla base anche di assunti scientifici non corretti.
E’ così, per le nostre limitazioni culturali, spirituali, esistenziali.
Non siamo però condannati a biasimarci l’un l’altro. Ma piuttosto a darci una mano d’associazione. Con carità ognuno di noi ha il compito di togliere il velo a favore dell’altro e dell’altra. E questo lo possiamo fare solo ascoltando, da una parte la Parola di Dio, e, dall’altro, le storie del nostro prossimo.
Ascoltarsi nel nome di Cristo, questo significa contemplare il suo volto e lasciare che il velo scivoli via per lasciare che la gloria di Cristo rifulga prima sul suo volto e poi, finalmente sul nostro.