Salviamo il Natale o salvati dal Natale?
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- Scritto da Anna Maffei e Massimo Aprile
Testi: Luca 2, 21-32 (altri testi: Isaia 49, 6 e I Giov 4, 9-11 e 2, 15-17)
21 Quando furono compiuti gli otto giorni dopo i quali egli doveva essere circonciso, gli fu messo il nome di Gesù, che gli era stato dato dall'angelo prima che egli fosse concepito. 22 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, 23 come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore»; 24 e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani colombi. 25 Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest'uomo era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione d'Israele; lo Spirito Santo era sopra di lui; 26 e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore. 27 Egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, 28 lo prese in braccio, e benedisse Dio, dicendo: 29 «Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; 30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, 31 che hai preparata dinanzi a tutti i popoli 32 per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele»
Già dallo scorso novembre si cominciava a leggere in articoli di quotidiani, e sentire negli affollati talkshow televisivi, questa richiesta, quasi una preghiera: "Vi prego facciamo di tutto per salvare il Natale". Era diretta ai nostri governanti che si dessero strategie chiare sulla campagna vaccinale e sulle misure di prevenzione anticovid19, così da non dovere durante il periodo natalizio essere costretti ad eventuali lockdown che sarebbero stati disastrosi per l'economia e per i tantissimi coinvolti nelle attività alberghiera, di commercio, di ristorazione e così via. Salvare il Natale, cioè salvare l'economia che gira intorno al natale, salvare l'indutria natalizia.
Siamo al 26 gennaio con il Covid che incalza e ci chiediamo: ma poi l'hanno "salvato il Natale"? Lo stanno salvando ancora? Non so.
C'è anche un film di qualche anno fa' che è passato attraverso la programmazione di qualche canale televisivo in questi giorni che si chiama: "Qualcuno salvi il Natale" e si trattava di salvare Babbo natale da disavventure legate a un incidente alla sua slitta prima che fosse troppo tardi per la consegna dei doni.
Ma che senso ha questa espressione: siamo noi che salviamo il Natale?
Teniamo sospesa questa domanda e andiamo al testo che abbiamo scelto per questa celebrazione.
Si dice che otto giorni dopo il parto Maria e Giuseppe si recarono col piccolino nel tempio di Gerusalemme. Da Betlemme a Gerusalemme solo qualche chilometro. La circoncisione era parte del rito cui ogni maschio ebreo veniva sottoposto e si aggiungeva dopo 33 giorni un rito di purificazione dopo il parto (Lv 12, 2-5) che includeva un sacrificio animale che doveva essere un agnello, ma che per i più poveri poteva essere sostituito da un paio di tortore (Lv 12,8). E così fecero i genitori di Gesù. E qui viene presentato nella nostra storia un uomo anziano, Simeone, e si dice di lui che "aspettava la consolazione d'Israele". E Israele aveva di che essere consolata se da più di sei secoli non viveva politicamente alcuna libertà, ma era soggetta ai diversi imperi che si erano succeduti, dai Babilonesi ai persiani, dall'impero ellenista al giogo pesante imposto dai romani.
La consolazione attesa era nella speranza del messia che doveva venire. Ecco che l'evangelista ci dice che quest'uomo aveva vissuto tutta la vita serbando in cuore la personale profezia che lui avrebbe consciuto il messia prima di morire. Ed ecco, quel giorno, mentre i genitori presentavano il piccolo Gesù dedicandolo al Signore, Simeone andò al tempio e per lo Spirito santo intuì che ecco, la sua profezia si compiva quel giorno. E aprì il suo cuore alle parole del canto che l'evangelista riporta, il "nunc dimittis" dalle iniziali latine del verso di inizio: "Ora tu lasci andare in pace il tuo servo perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza". Aveva preso in braccio il piccolino mentre pronunciava queste parole. E così continuò: "La salvezza che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele".
Di che parlava Simeone? Di una salvezza attesa, anzi "preparata" da tempo. Il canto di Simeone parla certamente di una profezia particolare, quella contenuta nei canti del servo del Signore. Nella seconda parte del libro di Isaia ci sono i cosiddetti canti del Servo del SIGNORE, che sono brani profetici particolari. In linea di massima il servo del Signore si può identificare come il popolo di Israele tutto, in altri casi ci si riferisce a qualcun altro ma la sua identità rimane misteriosa. Ecco, in un canto in particolare al cap 49 di Isaia si legge (v. 6): "E' troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati di Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino all'estremità della terra".
Ecco la profezia cui Simone si riferiva: non solo un messia per Israele, ma un messia per il mondo intero. L'orizzonte si allarga per comprendere il mondo intero. E anche gli altri autori degli scritti neotestamentari riconoscono in Cristo Gesù, il Messia del mondo. Giovanni ce lo dice in 3,3: "Iddio ha tanto amato il mondo che ha mandato il suo Figlio unigenito affinché chiunque creda in lui non perisca ma abbia vita eterna". E in I Giovanni noi troviamo quello stesso immenso orizzonte: "In questo si è manifestato per noi l'amore di Dio; che Dio ha mandato il suo figlio unigenito nel mondo affinché per mezzo di lui vivessimo". Brian Zandt in una predicazione su questo testo faceva una precisazione importante, particolarmente diretta al contesto nordamericano ma valido anche per noi, quando diceva di stare attenti a non restringere questo orizzonte così vasto dando a queste affermazioni carattere individuale come se Dio fosse venuto sulla terra per salvare le singole anime dei singoli credenti e basta. Non è una questione così "rattrappita" - dice Zandt. La parola dice che Dio ha amato il mondo, niente di meno che questo ed è il mondo che vuole redimere, rinnovare, salvare.
Allora per rispondere alla domanda che ci siamo posti sopra: "siamo noi che salviamo il Natale?", possiamo rispondere con certezza di no. Non noi salviamo il Natale, ma è il Natale che salva il mondo!
Che si intende con mondo? Tutto del mondo è da amare? In vari testi del Nuovo testamento ma in particolare in Giovanni troviamo affermazioni che sembrano contraddirsi. Da una parte che Dio ama il mondo, dall'altra che non bisogna amare il mondo. Dobbiamo convivere con questa apparente contraddizione. Per esempio in I Giov 2, 15-17.
15 Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui. 16 Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. 17 E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno.
Bisogna amarlo il mondo oppure no? Cosa è da amare e cosa non lo è? Qui si dice chiaro che non dobbiamo amare la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, cioè l'avidità e la superbia. Dunque desiderio smodato, avidità, superbia. Che sono poi i punti distintivi degli imperi di tutti i tempi. Compreso il nostro.
Amiamo il mondo che Dio ama, ma non seguiamo i fuochi fatui del mondo che lotta contro Dio.
Cristo ha amato il mondo per salvarlo e il Natale è la celebrazione di questa decisione di Dio. L'abbiamo detto, non siamo noi che salviamo il Natale, è il Natale che salva il mondo.
Qualche anno fa - qualcuno lo ricorderà - abbiamo raccontato un episodio che più di ogni altro ci fa comprendere cosa significa quanto abbiamo detto. Era la notte del 24 dicembre 1914, il contesto era la guerra di trincea nel nord della Francia. Le trincee nemiche erano luoghi orribili, si combatteva per conquistare ogni centimetro, si viveva per settimane, mesi, anni fra i topi uccidendo e morendo nel fango. Mors tua vita mea. Ma quella sera era la vigilia di Natale. Di fronte c'erano le trincee britanniche e quelle tedesche. Un soldato tedesco comincia ad intonare un canto di Natale: Notte benigna, notte tranquilla, o come brilla il tuo splendore...." Dall'altra trincea una cornamusa riprende la melodia e si risponde con lo stesso canto in inglese... e poi annunciando Gesù con il canto di Natale che scalda il cuore il primo soldato prende il coraggio ed esce dalla trincea cantando e va verso quella nemica... paura, incertezza, ma il soldato era disarmato e nessuno osa sparare. Allora dall'altra trincea esce un altro soldato con una divisa diversa e tutti cantando guardano la scena increduli. Poi altri dalle trincee imitano i primi e ci si va incontro... Il canto di Natale rompe l'ostilità della guerra. Si intuisce quella notte che tra l'uccidere e il morire, c'è un'altra via, vivere! Il giorno dopo, escono tutti dalle trincee, ci si scambia sigarette, si mostrano foto delle famiglie. Poi la mattina di natale si sotterrano i morti insieme, si condivide il pane della cena del Signore e si fa una partita di calcio. Il Vangelo del Natale ha il potere di portare pace...
Forse allora anche noi dovremmo ricordarci che in un mondo diviso e preda di guerre fratricide noi possiamo festeggiare il nostro Natale uscendo dalle trincee dove ideologie e interessi camuffati ci vogliono prigionieri e nemici. Allora, strano a dirsi, cantare i canti del Natale può essere una scommessa rischiosa ma abbiamo una parola di portare, c'è un Natale da festeggiare che si chiama amore, perdono, riconciliazione. Non l'impero con i desideri smodati, l'avidità, la superbia ma il Regno di Dio che ci viene incontro come un bambino. E a questi segni dell'impero contrapponiamo i segni del Regno che sono fede, speranza, amore. Amen